Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le origini del positivismo

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Auguste ComteSi definisce “positivismo” un movimento non soltanto filosofico, ma anche scientifico e culturale nel senso più vasto del termine, affine sotto molto aspetti all’empirismo e al pragmatismo.

Il termine “positivismo” fu coniato da Saint-Simon e venne in seguito reso popolare nella prima metà del XIX da Auguste Comte, sociologo e filosofo francese che è considerato il padre del movimento positivista.

Comte è, tra l’altro, l’inventore della parola “sociologia”. Nella seconda metà dell’800 il positivismo si diffuse nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti.

Se vogliamo trovare nella storia della filosofia espressioni che anticipano chiaramente lo “spirito” del positivismo dobbiamo ricorrere alle seguenti parole di David Hume:

«Quando scorriamo i libri di una biblioteca, di che cosa dobbiamo disfarci? Se prendiamo in mano qualche volume di teologia o di metafisica scolastica, ad esempio, chiediamoci: ‘Contiene forse dei ragionamenti astratti intorno alla quantità o al numero?’. No. ‘Contiene dei ragionamenti basati sull’esperienza e relativi a dati di fatto o all’esistenza delle cose?’. No. Allora diamolo alle fiamme, giacché esso non può contenere nient’altro che sofisticheria e inganno.» (D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della morale).

Tratto distintivo del positivismo, almeno nella formulazione originale datane da Comte, è il proposito di descrivere la storia del pensiero umano come un’evoluzione attraverso tre stadi ben distinti.

 

Che cosa significa, infatti, “positivismo”? Secondo il pensatore francese, dalle origini fino all’800 il nostro pensiero si divide in tre grandi fasi: la prima è fase è quella “teologica”, la seconda è quella “metafisica”, mentre la terza è quella “scientifica” o, per l’appunto, “positiva”.

La prima fase teologica è caratterizzata dal predominio della mitologia e da una concezione della natura come “essere vivente” che manifesta gli attributi della divinità.

La seconda fase è invece dominata dalla “metafisica”; in essa gli esseri umani si propongono di conoscere la natura (che ha perduto nel frattempo ogni caratteristica divina) mediante il pensiero astratto.

In tale fase - sostiene Comte - vanno inclusi tutti i sistemi metafisici classici della filosofia occidentale.

Si parte dall’antichità con Platone e Aristotele e, passando attraverso S. Agostino e S. Tommaso d’Aquino, si giunge in epoca moderna con Spinoza, Leibniz, Kant e Hegel.

Ecco le parole di Comte a questo proposito:

«Tutte le nostre speculazioni, quali che siano, sono inevitabilmente soggette, sia nell’individuo che nella specie, a passare successivamente attraverso tre stati teorici differenti: teologico, metafisico e positivo. Sebbene dapprima indispensabile, sotto tutti gli aspetti, il primo stato deve ormai essere concepito come puramente provvisorio e preparatorio; il secondo, che non ne costituisce in realtà che una modifica dissolvente, comporta solo un ruolo transitorio, per condurre gradualmente al terzo; ed è questo, il solo pienamente normale, a costituire, in tutti i modi, il regime definitivo della ragione umana». (A. Comte, Discorso sullo spirito positivo).

Comte ritiene che nel XIX secolo la filosofia “debba” diventare positiva.

Non si tratta a suo avviso di svalutare il pensiero del passato, poiché esso ha percorso una strada “naturale” che l’ha condotto dal mito all’elaborazione concettuale astratta.

Diventando positiva, la filosofia deve invece riconoscere che l’unica e vera conoscenza è quella fornita delle scienze le quali, da Galileo in poi, si sono affrancate dalla tutela della filosofia. È una tesi molto importante, e che avrà ripercussioni enormi sul modo di concepire il lavoro filosofico nel XX secolo.

Occorre in altre parole che i filosofi rinuncino alla pretesa di conoscere oggetti “privilegiati” ed ambiti di realtà che sfuggono all’indagine scientifica.

Ciò significa che deve essere eliminata la “metafisica”, in quanto essa rappresenta il tentativo illusorio di indagare e conoscere la realtà mediante metodi di tipo non-empirico.

Comte annuncia, in termini quasi messianici, che la ricerca aristotelica dei princìpi più universali dell’essere-in-quanto-essere deve essere sostituita dalla scoperta delle grandi leggi della Natura. L’esempio paradigmatico è la legge della gravitazione universale formulata da Isaac Newton.

Tali leggi descrivono dei “fatti” sperimentali e consentono la previsione di altri fatti, mentre l’unica realtà è quella concreta e sperimentabile, che può essere spiegata senza bisogno di ricorrere a qualsiasi entità o principio trascendente.

Si noti, tuttavia, che questo compito non spetta al filosofo, ma allo scienziato. Se le cose stanno così, è evidente che il ruolo della filosofia è assai più modesto e limitato di quello ipotizzato dalla metafisica.

Il filosofo deve semplicemente promuovere lo “spirito scientifico” che ha consentito all’umanità di ottenere risultati decisivi nella conoscenza del mondo e di “dominarlo”, e deve altresì diffondere tale spirito in tutti i campi in cui esso non è ancora penetrato.

Quali sono tali campi, visto che il mondo della Natura viene indagato con successo dalla scienza, la quale non ha - almeno teoricamente - bisogno della filosofia per condurre le proprie indagini?

Si tratta ovviamente del mondo sociale. Come abbiamo in precedenza accennato, Comte è l’inventore di un termine destinato a riscuotere un enorme successo: “sociologia”.

Non si tratta però della sociologia come viene oggi intesa, vale a dire la scienza storico-sociale che studia i vari aspetti della società, ma di un concetto molto più vasto, in quanto la sociologia comtiana prende in considerazione sia l’ordine sociale che il “progresso” sociale; quest’ultimo dipende a sua volta dalla diffusione dello spirito positivo-scientifico. Sul piano politico l’ordine sociale stesso viene immaginato secondo i criteri che sono propri delle scienze.

Ecco perché, nell’ultima parte della sua vita, Comte ritenne necessario dar vita ad una sorta di “religione dell’umanità” di cui egli stesso era il Gran Sacerdote.

La necessità di restringere l’oggetto della ricerca - che è poi unicamente quella scientifica - agli aspetti “positivi” della realtà pone la dottrina comtiana in aperto contrasto con qualsiasi visione religiosa della vita.

Né Dio né la “causa prima” risultano esperibili e, stando così le cose, non si può ricorrere a concetti di quel tipo per fornire una spiegazione dei fatti.

Come ho precedenza notato, la religione scientifica comtiana ha influenzato in misura rilevantissima la visione del mondo e la concezione della vita che vengono comunemente accettate nelle nazioni industrializzate e socialmente sviluppate nel XIX e nel XX secolo.

Tale influenza della mentalità positivista non si limita agli ambiti filosofico e scientifico, ma ne investe anche altri: per esempio quello letterario. È sufficiente menzionare le opere di Jules Verne e di Arthur Conan Doyle per trovare una conferma immediata.

La fiducia illimitata nel progresso scientifico viene automaticamente riversata nel progetto di riformare la società e di migliorare la qualità della vita dell’umanità, mentre della rivoluzione industriale si vedono solo gli aspetti positivi.

Il positivismo, d’altro canto, trovò ben presto un prezioso alleato nell’evoluzionismo darwiniano, che presenta caratteri sia descrittivi che normativi.

Esso descrive come il pensiero umano si è in effetti evoluto nel corso del tempo e, contemporaneamente, stabilisce delle norme su come dovrebbe continuare ad evolvere in futuro.

Ecco allora manifestarsi la connessione tra la concezione del “progresso inevitabile” e un’etica di tipo evoluzionistico. Dovere dell’uomo diventa favorire un processo storico-naturale al quale è comunque impossibile opporsi, poiché è insito nell’ordine stesso della Natura.

Questa sottolineatura dell’inevitabilità del progresso, a sua volta basato su leggi storico-naturali “immanenti”, si ritrova anche nel marxismo, pur se è stato notato che l’influenza positivista è assai più netta nelle opere di Friedrich Engels che in quelle di Karl Marx.

Ed è nota la polemica condotta nel nostro secolo da K.R. Popper contro lo “storicismo”, inteso come la tesi secondo cui la storia ha una meta, un piano che deve attuarsi seguendo qualche modello coerente e dotato di un carattere di inevitabilità.

Nella seconda metà dell’800 la diffusione del positivismo fu quindi favorita dalla teoria evoluzionistica di Darwin. Grande influenza ebbe ad esempio il filosofo britannico Herbert Spencer, secondo il quale esiste una legge generale dell’evoluzione valida per “ogni” ambito della realtà, mentre Darwin si era limitato ad enunciare la legge dell’evoluzione delle specie viventi sulla Terra.

Tuttavia il culmine della mentalità positivista si ha, sempre nella seconda metà dell’800, con l’affermazione del “meccanicismo”, che fornì ai positivisti lo strumento per proporre una sintesi unitaria di tutta la conoscenza scientifica.

Prese quindi corpo il progetto volto a comprendere nel modello meccanicistico del mondo ogni fatto naturale noto, inclusi quelli che la ricerca scientifica allora stava scoprendo.

A questo punto divenne ovvio che, a dispetto delle enunciazioni teoriche, i positivisti stavano proponendo una “nuova” metafisica di tipo materialistico e immanentistico. Il modello meccanicistico intende infatti conoscere i princìpi ultimi della realtà, proprio come si propongono di fare, per esempio, la metafisica aristotelica o quella hegeliana.

La realtà viene pur sempre concepita come un “intero” che presenta i caratteri classici del monismo materialistico: “tutta” la realtà è materia, e soltanto la scienza è in grado di indagarla.

Di qui la crisi del positivismo classico del secolo XIX, dovuta ad alcuni fatti evidenti. In primo luogo la constatazione che esso, invece di eliminare la metafisica, ne adottava invece una nuova che poteva parimenti essere criticata e rifiutata. In secondo luogo, non tutti erano disposti ad accettare un approccio di tipo così spiccatamente “monistico” alla realtà.

In terzo luogo, l’atteggiamento quasi “religioso” dell’ultimo Comte apparve ben strano a coloro che consideravano invece il positivismo uno strumento per liberare l’umanità dall’influenza della religione.

A tutto questo si può aggiungere che furono proprio i progressi della ricerca scientifica a porre problemi di grande portata. In fisica il modello newtoniano dell’azione a distanza fu sostituito da quello del campo di forze per l’elettricità e l’elettromagnetismo. In matematica la scoperta delle geometrie non-euclidee revocò in dubbio la concezione euclidea dello spazio.

E anche in filosofia si verificò una reazione anti-positivista ad opera di spiritualismo, neoidealismo e neokantismo.

Dal canto loro i pensatori pragmatisti come Peirce e James, pur essendo vicini al positivismo sotto alcuni aspetti, notarono che il sapere scientifico, essendo intrinsecamente fallibile, non può trasformarsi in una nuova metafisica.

Al positivismo dell’800 si ispira nel XX secolo il neopositivismo, o empirismo logico, che ne aggiorna le tesi in sintonia con le più recenti scoperte scientifiche.

 

 

 

 

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