Fede e ragione in Joseph Ratzinger
Molti si stupiscono per la commozione che la scomparsa di Joseph Ratzinger ha suscitato tra i fedeli, e per la grande partecipazione popolare in occasione delle sue esequie. I motivi sono facilmente spiegabili. Benedetto XVI era un pontefice conservatore (nel senso più pregnante e filosofico del termine), sempre attento a mantenere intatto il nucleo più profondo del messaggio cristiano. Fu anche un teologo e filosofo di notevole statura intellettuale, sempre intento a scrivere opere di rara profondità e molto studiate. Era inoltre convinto che i cristiani meritassero di essere difesi in tutti i luoghi – e sono moltissimi – nei quali subiscono persecuzioni immotivate e dettate soltanto dall’odio religioso. Proprio per questo, è inutile nasconderlo, non era molto amato dal variegato mondo del cattolicesimo di sinistra, che da sempre insiste sul dialogo interreligioso anche quando esso si rivela pressoché impossibile. Convinto, questo mondo, che cedere le armi sia meglio che combattere. Il fatto è che Ratzinger non la pensava affatto così. Per lui la dottrina cristiana non si poteva assolutamente svendere, pena la fine stessa del cristianesimo. Lo dimostrò con la celebre lectio magistralis che egli tenne, in veste di “Visiting Professor”, all’università tedesca di Ratisbona (Regensburg) il 12 settembre 2006. In quella sede Ratzinger parlò innanzitutto da filosofo, e solo in modo mediato come teologo. Lo spunto fu un dialogo avvenuto nel 1391 tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un dotto persiano su cristianesimo e Islam e sulla verità di entrambi.
Il luogo era Ankara, l’attuale capitale turca che a quei tempi faceva parte dell’Impero di Bisanzio. In quell’occasione invitò, pur basandosi su un episodio storico lontano nel tempo, l’Islam a condannare il legame tra fede e violenza, sottolineando altresì che la fede non può essere imposta con la forza. Piuttosto naturale fu la reazione negativa del mondo islamico alle sue parole. Assai meno naturale quella del cattolicesimo progressista, che reagì al suo discorso con un fastidio malcelato. Ancora oggi alcuni dei suoi esponenti, intervistati dai mass media, ribadiscono che Ratisbona fu un errore. Altri invece – incluso chi scrive – pensano che Ratisbona rappresenti uno degli episodi più alti del suo pontificato. In ogni caso, una lezione ancora attuale e da non dimenticare. Si rammenti, inoltre, la sua ostilità nei confronti della “teologia della liberazione”, popolare soprattutto in America Latina, che Ratzinger accusava di eccessiva politicizzazione della visione del mondo cristiana. Quest’ultima, a suo avviso, conteneva un messaggio non politico, ma di salvezza universale. Contrario a ogni forma di sincretismo e di cedimento alle mode del momento, Benedetto XVI si sforzò non solo di salvaguardare l’originalità del messaggio cristiano, ma anche di impedire che esso venisse annacquato da elementi ad esso estranei. E il sincretismo, per l’appunto, costituisce forse il maggiore pericolo per il cristianesimo. Benedetto aveva poi un altro difetto imperdonabile agli occhi di alcuni. Era, a tutti gli effetti, un Papa “occidentale”, che guardava con angoscia alla scristianizzazione dell’Europa e dell’intero Occidente. Proprio per questo dedicò molte pagine alle radici cristiane dell’Europa stessa, dolendosi che la UE non recepisse il suo messaggio. Ovvio che un pontefice di quel tipo non piacesse al progressismo cattolico, e altrettanto ovvio che i conservatori in lui vedessero uno scudo prezioso contro ogni cedimento alle lusinghe della modernità. Non ci si deve quindi stupire della partecipazione commossa dei fedeli, molti dei quali hanno perfettamente capito la potenza e l’originalità del suo messaggio. Era timido e riservato, ma nei momenti cruciali sapeva farsi valere anche dialogando con la folla. Di lui ci restano non solo libri importanti per la filosofia e la teologia, ma pure un esempio di coerenza estrema nel vivere coraggiosamente il messaggio cristiano, di cui sottolineava sempre la bellezza basata su un fecondo rapporto tra fede e ragione. Rapporto indubbiamente difficile e problematico, ma decisivo e reso possibile, nel cristianesimo, dall’incontro con il pensiero classico greco, e in particolare, con quello di Aristotele.
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