Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Kazakistan tra Russia e Cina

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Strano destino quello delle Repubbliche ex sovietiche del Caucaso e dell’Asia centrale. Indipendenti da Mosca dopo la fine dell’Urss, ma fino a un certo punto.

Se vuoi comunicare senza eccessive difficoltà devi parlare russo che, nonostante tutto, è ancora la lingua veicolare (a me è parsa più diffusa di quelle locali che pur sono state ampiamente riscoperte negli ultimi decenni).

Se non parli la lingua di Tolstoj qualche problema sorge, inutile nasconderlo, soprattutto se vai nei negozi o devi spiegare il percorso a un conducente di taxi.

A tre anni di distanza torno a Almaty nel Kazakistan – la vecchia Alma Ata dei tempi sovietici – ancora invitato da un’università locale con cui ho rapporti di cooperazione.

A prima vista la città non è cambiata dall’ultima volta. Stessa selva di grattacieli, parecchi dei quali in costruzione. Fast food americani (ma pure turchi) ovunque, con i giovani che fanno volentieri la coda per addentare il solito panino.

Tanti negozi di lusso con le grandi marche in bella vista, e con una certa prevalenza dei brand italiani. Stesse auto di lusso che sfrecciano nelle strade molto ampie, e in questo caso la supremazia è nettamente tedesca.

Mi dicono che Almaty non ha un vero centro storico perché, com’è noto, i kazaki erano nomadi almeno sino agli inizi del ’900, e la città è stata quindi costruita in tempi relativamente recenti.

È facile accorgersi che è proprio così giacché per vedere reperti veramente antichi occorre andare al museo. Per il resto mi viene mostrata come antica la cattedrale ortodossa che risale, per l’appunto, all’inizio del secolo scorso.

 

E antichi, secondo il metro locale, sono alcuni mezzi militari della seconda guerra mondiale esposti nelle piazze.

C’è un grande parco in cui sorgono diversi monumenti eretti in onore dei tanti soldati locali caduti combattendo nell’Armata Rossa contro i tedeschi, che pur erano lontanissimi dal loro territorio. E mi viene spigato che il contributo kazako alla vittoria sovietica fu notevole, come del resto Mosca ha sempre riconosciuto.

È noto che, quando si trovarono in difficoltà dopo l’aggressione nazista, Stalin e il comando dell’esercito ricorsero ampiamente alle risorse dell’Urss asiatica.

I libri di storia denominano “siberiane” le divisioni fatte affluire dall’Oriente e che consentirono, per esempio, di rovesciare la situazione a Stalingrado.

Ebbene, quelle divisioni provenivano in gran parte proprio dal Kazakistan e da altre Repubbliche limitrofe come Uzbekistan e Kirghizistan.

A differenza degli Stati vicini, tuttavia, il Kazakistan è davvero multietnico. I kazaki superano di poco il 60% del totale, mentre i cittadini di etnia russa rappresentano quasi il 24%. Poi ci sono tatari, uzbeki, uiguri e moltissimi altri gruppi (persino i tedeschi del Volga, deportati qui nel periodo staliniano).

Il risultato è che, per strada, v’imbattete in una quantità incredibile di fisionomie.

La maggior parte con caratteri mongolici che gli occidentali faticano a distinguere tra loro, anche se mi dicono che tra kazaki e uzbeki c’è una notevole differenza. Ma è assai frequente incrociare persone dai tratti chiaramente slavi con capelli biondi e occhi azzurri o comunque chiari.

Mi spiegano che tutti hanno il passaporto della Repubblica e non vi sono discriminazioni negli uffici pubblici o altrove.

All’università si parla inglese ma, ancora una volta, fino a un certo punto. I docenti più anziani restano russofoni, mentre quelli giovani usano l’inglese con disinvoltura.

Tutti, comunque, sanno il russo, anche perché le targhette sulle porte (come le insegne stradali) sono in caratteri cirillici e non sempre affiancate da traduzioni in inglese.

La presenza e l’influenza russa sono molto forti, cosa del resto naturale se si pensa che il Paese fu conquistato dagli zar già nel ’700. A differenza dell’Azerbaijan caucasico, non ho trovato qui animosità antirussa.

Del resto l’ex presidente Nursultan Nazarbayev, in carica dal 1990, già segretario del locale Partito comunista ai tempi dell’Urss e ora spodestato, ha sempre mantenuto con la Russia un rapporto quasi simbiotico.

I maligni dicono che abbia spostato la capitale da Almaty alla gelida Astana nel Nord per essere più vicino al confine russo in caso di rivolte.

Non si trovano nemmeno tracce evidenti di fondamentalismo islamico, anche se è noto che parecchi dei foreign fighters asiatici presenti in Siria e Iraq provengono dal Kazakistan. Nazarbayev, pur rendendo omaggio alla religione, aveva sempre praticato una politica laica e tollerante.

Concludo rilevando che anche qui – come in tutta l’Asia – ciò che preoccupa realmente è l’espansionismo cinese. Il confine con la Cina è assai vicino a Almaty, che si trova nella parte sudorientale del Paese. Anche in questo caso i kazaki sono assai attento a mantenere buoni rapporti, incoraggiando gli scambi commerciali, gli accordi interuniversitari e lo studio del mandarino.

Quando, tuttavia, Nazarbayev firmò un accordo per “affittare” vaste porzioni di territorio kazako a imprenditori cinesi che, a quanto pare, vorrebbero insediarvi contadini connazionali per coltivare la terra, gli abitanti non gradirono.

Di qui critiche e manifestazioni di piazza, al che l’ex presidente tornò sui suoi passi.

Per comprendere le paure locali rammento che il Kazakistan ha solo 17 milioni di abitanti su un territorio di 2 milioni e 700mila chilometri quadrati, a fronte dei 3 miliardi e mezzo di cinesi stipati in poco più di 9 milioni di chilometri quadrati.

Il timore è che un Paese così spopolato (ma ricchissimo) soccomba in futuro al colosso asiatico, e che l’affitto della terra si trasformi poi in occupazione.

È interessante notare, per l’appunto, come in Asia la Cina sia ormai diventata lo spauracchio principale, fatto del quale in Occidente si stenta a capire la portata.

 

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