Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Guarigione, convalescenza e long-COVID-19

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Guarigione e convalescenza sono intimamente legati tra loro in medicina: per guarigione s’intende la scomparsa dello stato morboso e per convalescenza quello intermedio tra la fine della malattia ed il recupero delle forze.

Le malattie si definiscono acute quando la loro durata non sorpassa tre mesi di durata.

La comparsa della sindrome del long COVID-19, persistenza della sintomatologia nei pazienti dopo la fase acuta della malattia, ha mostrato le difficoltà di definire la scomparsa di uno stato morboso e sottolineata l’importanza della convalescenza.

Dal punto di vista etimologico convalescenza proviene dal latino tardo convalescentia, derivato di convalèscere ‘riprendere forza, ristabilirsi’, ma anche ‘acquistare valore’, composto di con- e valescere ‘rinforzarsi’.

Per la semantica la parola suscita tenerezza, se non compassione.

Ovviamente fanno eccezione le convalescenze eroiche del passato come quella di Ernst Hemingway: ferito in guerra dove combatteva per la libertà e che trova nella lunga degenza ospedaliera l’amore e l’ispirazione per il suo più celebre romanzo Addio alle armi.

Il concetto di convalescenza sembra appartenere al secolo scorso come i convalescenziari oggi scomparsi.

 

La etimologia di guarire, è riconducibile all’antico germanico warjan, mettere al riparo, difendere, proteggere e, a sua volta, dalla radice var (guardare e anche coprire entrambi nel senso di curare, proteggere).

Identica radice si trova nell'inglese to ware - curare, proteggere. In questa lingua si usa di solito recovery nella letteratura scientifica, healing per indicare la cicatrizzazione di una ferita e cure per indicare la guarigione completa.

La parola guarigione ha una notevole potenza semantica: evoca qualcosa di religioso, di sacro, basta pensare ai miracoli evangelici della guarigione del lebbroso o del non vedente.

Per Eric Pearl, considerato “guaritore ufficiale”, presenza fissa nei programmi televisivi degli Stati Uniti, comunque quotato in wikipedia, la guarigione è addirittura «il rilascio e la rimozione di un blocco che ci ha tenuti separati dalla perfezione dell’Universo.»

Al di là della discutibile enfasi, è innegabile il senso di felicità che pervade ognuno di noi quando la malattia scompare.

Nella società attuale la guarigione è considerata un trionfo del progresso medico ed un “utile” ritorno alla produttività.

La diversa popolarità in rete di “guarigione” rispetto a “convalescenza” (digitando su Google si ottengono 18 milioni di risultati per la prima e solo 1,8 per la seconda) sembra confermare la messa in ombra attuale della convalescenza.

La pandemia denominata COVID-19, sigla scientifica dell’inglese Corona Virus Disease - (20)19, provocata negli esseri umani dal virus SARS-CoV-2 virus, appartenente al genere Coronavirus, identificato nel 2019, a parte i devastanti problemi sulla vita civile di rilevanza mondiale,  è stata considerata inizialmente come una malattia virale acuta che si risolveva con la guarigione nella maggioranza dei pazienti ;morbilità e mortalità colpivano prevalentemente pazienti in età avanzata e  co-morbilità con il  conseguente drammatico l’impatto sulle strutture ospedaliere mentre erano praticamente risparmiate le classi di età giovanile.

Nel gennaio 2021 secondo i dati della John Hopkins University il numero dei contagiati nel mondo era di oltre 350 milioni, quello dei decessi di circa 5 milioni e mezzo con un rapporto tra contagiati e decessi di 1.6 %; la pandemia influenzale di origine asiatica del 1957-60 fece tra 1-4 milioni di morti.

Le infezioni batteriche, di solito controllabili mediante gli antibiotici, rientrano nella categoria delle malattie a decorso acuto, come pure le infezioni virali.

Un aspetto particolare della recente pandemia da virus SARS-CoV-2 è rappresentato dal long COVID-19 una sindrome caratterizzata dal persistere della sintomatologia dopo la fase acuta della malattia.

Secondo il NICE inglese (National Institute for Health and Clinical Excellence) si tratta di «Segni e sintomi che si sviluppano durante o dopo un’infezione compatibile con COVID-19, continuano per più di 12 settimane e non sono spiegati da una diagnosi alternativa. Di solito si presenta con grappoli di sintomi, spesso sovrapposti, che possono fluttuare e cambiare nel tempo, oltre ad essere in grado di interessare qualsiasi sistema ed apparato dell’organismo.»

Potrebberoessere conseguenza di un danno d’organo, una risposta infiammatoria o addirittura autoimmune persistente, le cause sono ancora allo stato d’ipotesi, anche se è stato dimostrato che il virus SARS-CoV-2 è in grado di attaccare il corpo in vari modi, causando ad esempio danni diretti ai polmoni, al cuore, al sistema nervoso, ai reni, al fegato e ad altri organi.

Secondo gli esperti l’incidenza del long Covid-19 è difficile da stabilire e occorre cautela nella definizione di tale stato per il rischio d’includervi altre situazioni morbose; si preferisce parlare allora di complicazioni post- COVID-19.

Negli Stati Uniti è stato calcolato che la sintomatologia persisterebbe per almeno tre mesi nel 7.5 % dei casi; nel Regno Unito l’incidenza è stata valutata nel 10% dei pazienti.

Ricercatori italiani hanno riscontrano persistenza di tre o più sintomi, come dispnea, dolore toracico e ridotta qualità della vita nel 55% dei pazienti dimessi dall’ospedale 60 giorni dopo l’inizio della malattia.

Se si estrapolano queste percentuali al numero globale dei contagiati si può desumere come la sindrome long COVID-19 rappresenti un problema sanitario e sociale tutt’altro che trascurabile.

I sintomi sono numerosi e di varia intensità, a carico dei vari organi ed apparati, i più frequente astenia marcata, palpitazioni, dolori a petto, alterazioni dell’olfatto e del gusto, mal di testa, insonnia, difficoltà nella concentrazione, disturbi dell’attenzione e della memoria, ansia, depressione.

La qualità della vita può essere notevolmente ridotta. Non vi sono terapie efficaci contro questa sintomatologia, la vaccinazione sembra ridurne l’incidenza.

Nella grande maggioranza dei pazienti i sintomi scompaiono gradatamente, ma sono riportati casi nei quali sono presenti nel lungo periodo.

  

Ogni evento morboso, sia esso fisico che psichico, lascia un segno sul nostro organismo, di entità e durata variabili, accertabile o meno con i metodi diagnostici disponibili.

La comparsa del long COVID-19 mostra l’importanza del periodo della convalescenza.

Per questi pazienti è necessario un approccio multidisciplinare da parte dei servizi di riabilitazione, psicoterapia e terapia occupazionale.

Un periodo di follow-up è indispensabile dopo la dimissione dall’ospedale.

Occorre evitare di accorciare il periodo di convalescenza: i cardini sono la dieta appropriata, il riposo, la ripresa graduale dell’attività motoria, la serenità dell’ambiente, la presenza costante dei rapporti affettivi.

Bisogna dare, insomma, alla vis medicatrix natura, alla “forza guaritrice della natura” il tempo sufficiente per eseguire il suo compito; un principio che viene dalla medicina ippocratica, sempre attuale.

 

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