Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vico e la “Scienza Nuova”

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Possiede indubbiamente grande rilievo la riflessione sulla storia condotta da Giambattista Vico. C’è nella sua opera un’intenzione polemica contro i seguaci di Bacone e di Cartesio, persino nel titolo della sua famosa opera, la Scienza Nuova.

La polemica riguarda quel vasto orizzonte di realtà che sfugge al dominio dimostrativo delle scienze naturali ed esatte. Si tratta della storia di ciò che l’uomo fa, della “storia ideale eterna”, equivalente del mondo umano reso intelligibile grazie alle retorica, ed irriducibile al sapere dimostrativo della fisica e della geometria.

Da tale punto di vista il pensatore napoletano è un precursore della distinzione tra scienze umane e scienze naturali.

Occorre aggiungere, inoltre, che la comprensione delle humanae auctoritates pertiene direttamente alla ragione umana e non alla fede, come pretendeva Bossuet.

In questo senso si può asserire che Vico, più di Voltaire, può essere ritenuto padre della filosofia della storia modernamente intesa.

Un’altra sottolineatura della novità della Scienza Nuova rispetto al pensiero illuministico è data dal fatto che, per Vico, la traiettoria storica non muove semplicisticamente dalla superstizione religiosa alla scienza newtoniana della natura, ma procede a spirale, con una serie di ascensioni e di involuzioni.

 

Vico considera la storia come un grandioso teatro delle realizzazioni umane. Egli trova il criterio ermeneutico per dominare i fatti logicamente mediante la coincidenza metodologica del vero e del fatto: verum ipsum factum.

Utilizza la filologia per accertare i fatti e la filosofia per inverare il certo: «la filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l’autorità dell’umano arbitrio, onde viene la coscienza del certo.»

Di che cosa si occupa la Scienza Nuova? Possiamo individuare alcune questioni di primaria importanza:

a) Teologia civile ragionata della Provvidenza, ossia lo studio delle forme sociali e civili attraverso le quali la Provvidenza educa l’umanità. Di tali forme le principali sono l’istituzione del matrimonio, la pietà verso i morti, l’amministrazione della giustizia.

b) Filosofia dell’autorità, ossia la legittimazione dell’autorità per il bene e l’incremento dei corretti rapporti sociali.

c) Storia delle idee umane quali si sono venute rivelando soprattutto attraverso le esperienze religiose, essenziali per l’umanità.

Qui c’è la polemica di Vico contro Pierre Bayle e i circoli libertini che pretendevano fare a meno delle religioni ed esaltavano l’ateismo.

Vico risponde che con l’ateismo non è sorta alcuna civiltà, mentre le religioni più rozze hanno contribuito all’evoluzione dei costumi umani.

d) Critica filosofica delle tradizioni religiose: c’è negli antichi miti una sapienza riposta che si è poi manifestata consapevolmente ed in forma elaborata nelle generazioni dei popoli progrediti.

e) Una storia ideale eterna che scorre nel tempo attraverso le storie delle singole nazioni: è la legge razionale che attraversa il destino di ogni epoca e di ogni civiltà.

Si tratta per il filosofo della storia di scoprire ed esporre in modo adeguato tale schema, che non è certamente quello ciclico dei pagani.

f) Un sistema della legge naturale delle nazioni, ossia del dinamismo antropologico e culturale che vivifica il processo di incivilimento dei popoli, valorizzando miti, fantasia e linguaggio poetico.

Il discorso di Vico acquista rilievo alla luce del ripudio del metodo astratto di Cartesio basato sul cogito, ergo sum.

Per il sapere concreto occorrono scientia e conscientia che orientano incisivamente l’agire.

Per Vico la coscienza umana è informata strutturalmente dall’idea di Dio, dal sentimento del pudore e dal rispetto dell’autorità. Essa agisce orientata da tali presupposti.

L’analisi della mente manifesta un tipico modo di evoluzione antropologica.

L’uomo dapprima vive e si esprime istintivamente, quindi avverte il mondo concitato dei sentimenti e infine ragiona con mente serena. Si hanno così gli stadi della teologia poetica, della mitologia eroica e della scienza moderna.

Allorché questo schema antropologico viene proiettato sui contenuti delle varie civiltà, se ne riscontrano le forme civili oggettive: religione, filosofia e scienza.

Studiando le varie epoche in chiave comparativa, si scoprono analogie sorprendenti, come, per esempio, tra l’età omerica e il Medioevo: ad ambedue succedono epoche classiche, e a queste periodi di decadenza.

Parimenti, il destino di ogni nazione conosce sei tappe fondamentali: forza bruta, forza eroica, senso della giustizia, originalità, riflessione dispiegata, decadenza. Queste tappe non costringono la storia nell’orizzonte della ripetitività ciclica, ma la correlano alla libertà dell’uomo, e al fatto che ogni involuzione temporale resta pur sempre un livello di civiltà più elevato rispetto alle barbarie precedenti.

Nell’indagare sulla storia bisogna evitare taluni pregiudizi fatali, che possono generare errori imperdonabili: non mitizzare l’epoca preferita dallo storico rispetto alle altre, tenersi lontani dalla “boria delle nazioni”, ossia dall’esaltazione del popolo di appartenenza, non proiettare sui popoli antichi le nostre esperienze, non determinare la successione scolastica di due civiltà simili in un rapporto di causa-effetto, non credere che i testimoni dei fatti fossero meglio informati di noi.

La conoscenza storica più appropriata è data dall’evoluzione delle istituzioni, e non dal criterio della contemporaneità, come riteneva Tucidide.

Secondo Vico, per Provvidenza si deve intendere l’ordine stabilito da Dio, secondo cui ogni cosa viene conservata nel suo essere e orientata a raggiungere le sue intrinseche finalità.

Le realtà naturali sono governate da leggi fisiche, quelle sociali da leggi storiche.

Gli esseri umani, nella visione di Vico, conoscono ciò che fanno. Pertanto il loro dominio più proprio è quello delle realizzazioni sociali e civili, messe in atto con il sostegno divino, giacché «l’uomo è l’artefice, ma la Provvedenza è l’architetto della storia.»

Alla base della creazione delle città e delle civiltà c’è il senso religioso. Il sapere metafisico viene in un secondo tempo senza sostituire il primo.

La dimostrazione che “avvi Provvedenza” è la cosiddetta eterogenesi dei fini, cioè il fatto che l’uomo, guidato dalle sue passioni, si propone di raggiungere fini egoistici immediati, mentre la Provvidenza volge al bene sociale e civile delle nazioni tali passioni.

Ne consegue che la libidine sensuale genera l’istituto matrimoniale, l’aggressività si converte in valore militare, la cupidigia incentiva lo spirito mercantile, la superbia si trasforma in autorità politica.

Fattore complesso di intreccio tra l’elemento divino e quello umano, la storia assume una scansione dialettica sui generis di corsi e ricorsi di eventi, in una processualità ascendente. Prendendo in considerazione la mitologia e la storia della Grecia e di Roma, in maniera particolare, Vico scopre che le società attraversano tre stadi:

quello degli dei, o teocratico, in cui l’uomo vive in diretto contatto col divino tramite la divinazione;

quello degli eroi, o mitologico, in cui si consolidano le organizzazioni aristocratiche;

e quello degli uomini, o razionale, nel quale prevalgono criteri democratici.

Procedendo da uno stadio all’altro, si consolida il dominio della ragione finché questa, divenuta “tutta dispiegata”, ossia intrinsecamente scaltrita, produce la conclusione di un corso e l’inizio di un ricorso, ossia di un nuovo processo ascensionale di incivilimento, grazie alla capacità che l’uomo conserva di alzare gli occhi della mente a Dio e di custodire il senso della famiglia.

Questa prospettiva non va confusa né con la ciclicità pagana, né col progressismo illuministico. E’ una riflessione ardita, e per quei tempi inconsueta, che salvaguarda contemporaneamente sia la libertà umana che la trascendenza divina.

Oggi siamo in grado di comprendere meglio il pensiero di Vico, dopo la lezione di Herder e del romanticismo filosofico.

 

 

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