Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

I doveri dell'uomo. Una riedizione dell'opera mazziniana

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È appena uscito per la Pedrini editore una riedizione del testo fondamentale del pensiero di Giuseppe Mazzini, Doveri dell’uomo, a cura e con saggio introduttivo del prof. Pier Franco Quaglieni, docente di Storia contemporanea, saggista, giornalista.

Questi è stato, con Arrigo Olivetti e Mario Soldati, fra i fondatori del “Centro Pannunzio”, associazione culturale di tradizione laica e liberale, ed è autore di numerosi saggi fra cui spiccano quelli su figure, come Cavour o lo stesso Mario Pannunzio, del liberalismo italiano.

Il prof. Quaglieni nella sua introduzione al libro di Mazzini evidenzia un paradosso. Egli era un convinto repubblicano e teorico della repubblica, ma il suo pensiero conobbe la massima diffusione ed importanza sotto il regno d’Italia, cadendo invece nell’oblio nella repubblica italiana.

I Doveri dell’uomo, pubblicato da Mazzini nel 1860 a Lugano, divenne un testo basilare nell’educazione degli italiani. Il primo ministro dell’Istruzione e fondatore della scuola italiana unitaria, Francesco De Sanctis, dedicò un suo rilevante saggio proprio a Mazzini.

Doveri dell’uomo diventò persino un libro di testo obbligatorio a scuola, nel 1903, anche se non in forma integrale.

 

Anche durante il fascismo l’opera mazziniana fu altamente considerata, specie grazie all’apprezzamento di Giovanni Gentile, creatore della scuola fascista, e di Alfredo Rocco, il celebre giurista.

Il regime fascista prese di Mazzini ciò che poteva essere compatibile con sua concezione politica, escludendone il resto. Si trattò d’una appropriazione indebita del pensiero mazziniano, che era in quanto tale estraneo a quello fascista, pure fu una dimostrazione della sua vitalità e della pur ambigua stima che il fascismo aveva verso di esso. Anche l’antifascismo di tradizione liberale e democratica si disse e fu mazziniano.

La temperie politica e culturale della repubblica italiana divenne invece, paradossalmente, sfavorevole od indifferente a colui che ne era stato il teorico e profeta, il fondatore del repubblicanesimo italiano. «egli non entrò nei miti fondanti della Repubblica perché marxisti e cattolici, ispiratori principali se non unici della Costituzione, non lo amavano», scrive il prof. Quaglieni.

L’egemonia culturale marxista e gramsciana condusse ad un’emarginazione di Mazzini, che era incompatibile con Marx per la sua enfasi sull’idea di nazione, il suo concetto di cooperazione fra le classi al posto della lotta, la difesa della proprietà privata, la condanna d’ogni forma di dittatura.

Allargando la prospettiva, Mazzini fu coinvolto nella generale critica e contestazione rivolta al Risorgimento stesso da Gramsci e Gobetti, due pensatori (non storici!) i cui seguaci portarono nel secondo dopoguerra alla formazione di ciò che il prof. Dino Cofrancesco definì con formula efficace «gramsciazionismo».

Il cattolicesimo politico e culturale dal canto suo non poteva apprezzare colui che fu definito l’Apostolo laico.

Espunto dal dibattito politico dei maggiori partiti, Mazzini sparì anche nella scuola ed all’università. Cancellato o ridotto ad un nome evanescente nella scuola secondaria, anche all’università il pensatore genovese fu rimosso, ricevendo uno spazio minimo negli studi di storia della filosofia e persino in molti dipartimenti di storia.

In simile situazione socioculturale, rimase soltanto una molto minoritaria corrente liberal-democratica a continuare a conservare il pensiero di Mazzini, nonostante fossero idealmente mazziniani od avessero dimostrato attenzione ed interesse verso il genovese alcuni colossi della storiografia come Rosario Romeo, Renzo De Felice e Franco Venturi.

L’assurdo è che Giuseppe Mazzini, oggigiorno caduto nell’oblio in Italia, fu una figura di primissimo piano nel dibattito culturale e politico del secolo XIX, conosciuto ed apprezzato in tutta Europa, negli Usa ed anche in paesi come India, Cina ed altri ancora.

La distruttiva rimozione scientemente operata a suo danno è letteralmente antistorica, perché è la negazione dell’importanza oggettiva della sua opera ed attività.

Ciononostante, sostiene Pier Franco Quaglieni, il pensiero mazziniano non è per nulla anacronistico: «Oggi sulla lunga distanza vale il discorso di Giuseppe Galasso che evidenziò come, dopo il crollo delle ideologie totalitarie, Mazzini resta più attuale e valido di Marx perché riuscì a coniugare l’etica della responsabilità individuale con l’etica della solidarietà sociale.»

La riedizione de Doveri dell’uomo riporta come introduzione anche un articolo inedito di Renzo De Felice, Mazzini e il socialismo, in cui egli analizzò le cause per cui nel socialismo italiano il filosofo genovese fu così poco amato.

 

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