Hegel tra universale e individuale
Hegel fa spesso ricorso allo schema dialettico del passaggio dall’universalità all'individualità: «Lo spirito naturale si articola nelle distinzioni generali delle specie umane, e perviene negli spiriti dei popoli a una distinzione che ha la forma della particolarità. Il terzo momento è quello per cui lo spirito naturale progredisce fino a una singolarizzazione, e si contrappone a se stesso come anima individuale.» In tale schema è possibile scorgere una connessione ben precisa tra la configurazione geografica delle diverse parti della terra, le caratteristiche razziali dei popoli e il tipo di organizzazione sociale. Se l’ambiente complessivo del nostro pianeta possiede una rilevanza antropologica assai limitata, l’ambiente specifico determinato dalla divisione in continenti condiziona il carattere, e quindi le stesse possibilità di esistenza storica dei singoli popoli. Hegel, ovviamente, non ha remore a parlare di razze: «La distinzione delle razze umane è ancora una distinzione naturale, che riguarda cioè anzitutto l’anima naturale. In quanto tale, essa è in rapporto con le distinzioni geografiche del terreno sul quale si raccolgono in grandi masse gli uomini: queste distinzioni costituiscono ciò che noi chiamiamo “continenti”». In questo contesto viene enunciata, nelle sue linee generali, la teoria hegeliana del differente significato storico-geografico dei continenti, fondata sulla contrapposizione tra vecchio e nuovo mondo e sull’individuazione della diversa struttura fisica (cioè orografica e idrografica) di Africa, Asia ed Europa. Per un verso «l’America ha un aspetto più giovane del vecchio mondo, e sta indietro ad esso nella sua formazione storica», cosicché «i popoli indigeni di questo continente vanno estinguendosi; in esso il vecchio mondo si configura in forma nuova.» D’altra parte, questo si distingue dall’America per il fatto che si presenta come un insieme articolato in distinzioni determinate, cioè si divide in tre continenti, di cui il primo, ossia l’Africa, appare come una massa organizzata in forma di unità compatta, come un’alta montagna chiusa verso la costa.
Il secondo, ossia l’Asia, è caratterizzato dall'opposizione tra l’altipiano e grandi vallate percorse da ampi corsi d’acqua, mentre il terzo, ossia l’Europa - in cui la montagna e la vallata non sono distinte tra di loro, al pari che in Asia, come due grandi metà del continente, ma si compenetrano continuamente - rappresenta l’unità dell’unità senza distinzione propria dell’Africa e dell’opposizione senza mediazione propria dell’Asia. «Questi tre continenti sono non già separati ma congiunti dal Mediterraneo, intorno al quale sono situati.» Da tale distinzione deriva quella tra le diverse razze umane, “«a razza caucasica, la razza etiopica e la razza mongolica - a cui si aggiungono ancora quella malese e quella americana, che però costituiscono un aggregato di particolarità quanto mai diverse piuttosto che razze ben distinte.» Se si tiene presente che sia l’Africa settentrionale sia l’Asia anteriore appartengono entrambe all’Europa, e partecipano però delle caratteristiche razziali della sua popolazione, vien subito in luce la triplice corrispondenza tra Africa e razza etiopica (o nera), tra Asia e razza mongolica, tra Europa e razza caucasica. E questa diversità non ha soltanto una portata fisiologica: la distinzione fra le tre razze del vecchio mondo implica infatti anche una successione di gradi di sviluppo spirituale, e perciò il progressivo distacco dalla natura. La razza etiopica rappresenta l’infanzia dello spirito: «I Neri devono essere considerati come una nazione infantile che non si solleva al di sopra della sua semplicità disinteressata e priva d’interesse.» Questo carattere infantile si esprime tanto nella vita religiosa quanto in quella politica, in cui «domina il più spaventoso dispotismo». La razza mongolica procede invece “sopra questa semplicità infantile”, e quindi «lo spirito comincia ormai a svegliarsi, a separarsi dalla naturalità»: in essa si perviene per la prima volta alla rappresentazione della divinità, concepita però in forma umana o personificata, in ogni caso, in qualche sembiante sensibile. Proprio questo modo di considerare il divino segna il limite dello sviluppo spirituale asiatico. «Lo spirito non si coglie ancora nella sua assoluta libertà, non è ancora consapevole di sé come universale concreto per sé esistente, non ha ancora assunto come oggetto il suo concetto nella forma del pensiero. Dio diventa invero oggettivo, ma non nella forma del pensiero assolutamente libero, bensì in quella di uno spirito finito che esiste immediatamente.» Il distacco dalla naturalità assume quindi l’aspetto dell’antitesi priva di mediazione. «Soltanto nella razza caucasica lo spirito perviene all’assoluta unità con se stesso - soltanto qui lo spirito si pone in antitesi completa rispetto alla naturalità, si coglie nella propria assoluta autonomia, si sottrae all’oscillazione avanti e indietro da un estremo all’altro, perviene all’auto-determinazione, allo sviluppo di se stesso, e produce in tal modo la storia universale.» Le due sottospecie fondamentali della razza caucasica, quella medio-orientale (rappresentata soprattutto dagli Arabi) e quella europea, costituiscono due momenti successivi di tale sviluppo - contrassegnati rispettivamente dalla religione maomettana e dal Cristianesimo. È perciò chiaro che la configurazione spirituale delle varie razze riproduce sostanzialmente la struttura fisica dei continenti che esse abitano. Il carattere infantile della razza etiopica, la sua incapacità di progresso, «corrisponde alla massa compatta e indistinta del continente africano.» Per quanto riguarda la razza mongolica, «l’Asia rappresenta, sotto l’aspetto spirituale come sotto quello fisico, il momento dell’opposizione, l’opposizione senza mediazione, la compresenza non mediata delle determinazioni opposte.» Infine, la compenetrazione di elementi opposti propria della configurazione geografica dell’Europa si riflette nella capacità di mediazione dello spirito europeo, il quale «contrappone il mondo a sé, si rende libero da esso, ma risolve di nuovo quest’opposizione, riprende il suo altro, il molteplice, in sé, nella sua semplicità.» La medesima connessione vale anche per il nuovo mondo, dove all’immaturità della struttura fisica fa riscontro l’incapacità di resistenza della razza americana, «una stirpe debole.» Non soltanto le caratteristiche generali delle varie razze, ma anche quelle particolari dei popoli in cui esse si suddividono risultano parimenti condizionate dal rapporto con l'ambiente geografico. Hegel prende in esame il duplice significato - naturale e storico - del «carattere nazionale» che costituisce lo “spirito” di ogni popolo, e che contiene il nucleo da cui si sviluppa la storia delle nazioni. Lungi dall'essere un prodotto storico, il carattere nazionale è in primo luogo una «disposizione condizionata naturalmente»; anzi, lo sviluppo storico di ogni popolo presuppone questa disposizione originaria e rimane vincolato ad essa. Hegel insiste sulla costanza del carattere nazionale nel corso della storia, e la riporta al legame con un particolare ambiente geografico.
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