La "notte dei cristalli". Strage di una dittatura vera

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia Contemporanea
Creato Giovedì, 11 Novembre 2021 13:16
Ultima modifica il Giovedì, 11 Novembre 2021 13:17
Pubblicato Giovedì, 11 Novembre 2021 13:16
Scritto da Stefano Marchesotti
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La notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938 si verificò un’ondata di violenza antisemita che si propagò in tutta la Germania, nell’annessa Austria e nella regione dei Sudeti della Cecoslovacchia, da poco occupata dalle truppe tedesche.

In tutto il Reich tedesco centinaia di sinagoghe furono attaccate, soggette ad atti di vandalismo, saccheggiate e distrutte. Molte furono date alle fiamme. Ai vigili del fuoco fu ordinato di lasciar bruciare le sinagoghe, ma di evitare che le fiamme si propagassero agli edifici vicini. Le vetrine di migliaia di negozi ebrei furono distrutte e la merce rubata. I cimiteri ebraici furono profanati. Molti ebrei furono attaccati da squadre di truppe d’assalto (SA).

Venne in seguito chiamata “la notte dei cristalli”, dalla parola tedesca Kristallnacht, espressione che deve il suo nome alle schegge dei vetri frantumati che tappezzavano le strade tedesche all’indomani del pogrom e che provenivano delle finestre delle sinagoghe, delle case e delle vetrine dei negozi di proprietà di ebrei e che erano stati saccheggiati e distrutti durante i disordini.

Il governo nazionalsocialista dichiarò nei giorni successivi che la Kristallnacht era stata la reazione emotiva dell'opinione pubblica all’assassinio di Ernst vom Rath. Vom Rath, un funzionario presso l’Ambasciata tedesca di Parigi, assassinato in un attentato il 7 novembre da Herschel Grynszpan, un diciassettenne ebreo polacco. Ma non era andata così.

Gli atti di violenza furono istigati soprattutto dagli ufficiali del Partito Nazista, dai membri delle SA e dalla Gioventù hitleriana. Nonostante l’apparenza di “disordini spontanei” che il pogrom assunse, le direttive generali impartite dai vertici nazisti contenevano indicazioni ben precise: i rivoltosi “spontanei” non dovevano commettere azioni dannose verso persone o proprietà di cittadini non ebrei; non dovevano attaccare gli stranieri (anche nel caso di ebrei stranieri) e dovevano sequestrare gli archivi delle sinagoghe prima di distruggerle insieme alle altre proprietà delle comunità ebraiche e inviare tutto il materiale d’archivio ai Servizi di sicurezza (Sicherheitsdienst o SD).

 

Gli ordini includevano che i poliziotti dovessero arrestare gli ebrei, soprattutto giovani e di buona costituzione fisica, fino a riempire le carceri.

Le unità delle SS e della Gestapo, seguendo queste direttive, ne arrestarono oltre 30.000 e trasferirono la maggior parte di loro dalle prigioni locali a Dachau, Buchenwald, Sachsenhausen e ad altri campi di concentramento.

La Kristallnacht rappresenta il primo caso in cui il regime nazista imprigionò in massa gli ebrei basandosi solo sulla loro etnia. A centinaia morirono nei campi in seguito ai brutali trattamenti ricevuti. Altri furono rilasciati nei tre mesi successivi, a patto che avviassero le pratiche per espatriare dalla Germania.

Quasi nessuno rammenta oggi questo avvenimento, che fu il principio di un cammino che condusse alla “Shoah”. Ricordarlo è invece necessario, perché ci mostra come da episodici disordini, ancorché manovrati, nasce spesso il cammino lastricato d’odio che conduce alle più terribili aberrazioni umane.

Lo è ancor più in questi giorni, in cui folle di dimostranti, sparute ma ignoranti, percorrono le vie delle nostre città accusando di comportamento nazista il governo italiano ed evocano scenari da campi di sterminio. Offendendo, con tali mascalzonate, la memoria e la vita di coloro che veramente furono vittime dei perfidi regimi del Novecento.

Se realmente fossimo governati da un sistema di tipo dittatoriale e nazista dubito fortemente che domattina questi figuri si sveglierebbero sereni nei loro letti.

Quasi a fare da contraltare alla Kristallnacht, in questi giorni si celebra anche il ricordo di un evento ben più lieto: la caduta del muro di Berlino.

La sera del 9 novembre 1989, nel corso di una conferenza stampa, il portavoce del governo della Germania Est, Guenter Schabowski, incalzato dall'allora corrispondente dell'ANSA a Berlino Est, Riccardo Ehrman, annunciò, forse per un malinteso, la modifica con effetto "immediato" delle "norme per i viaggi all'estero": in particolare sarebbero state permessi gli spostamenti a Berlino Ovest per qualsiasi motivo.

Tale dichiarazione spinse decine di migliaia di berlinesi dell'est verso i posti di frontiera fra le due parti della città. Le guardie, colte di sorpresa da un afflusso così massiccio, chiesero ordini su come comportarsi, ma comunque alzarono le sbarre bianche e rosse permettendo a tutti di passare senza controlli.

Per tutta la notte, una marea festante attraversò il varco proibito, unendosi ad altrettante migliaia di cittadini dell’Ovest che applaudivano. Abbracci tra parenti e amici, costretti a vivere divisi per decenni. Fiaccole, birra e spumante, accompagnarono la folla. In quelle stesse ore fu distribuito un tabloid stampato a tempo di record, con il titolo “Berlino è di nuovo Berlino".

Le immagini di quella notte sono rimaste scolpite nella memoria di tutti noi: sono quelle dei tanti giovani che scavalcarono il muro aiutandosi a vicenda, poi i picconi e i martelli usati dalla sommità della barriera, ormai demolita nelle mente e che presto lo sarebbe stata nei fatti.

Un muro, quello di Berlino, che era rimasto in piedi per 28 anni, causando la morte di 943 persone: i tedeschi della Germania dell'Est che negli anni della Guerra Fredda vennero uccisi nel tentativo di fuggire in Occidente.

Questi due episodi devono essere un monito: è lenta e spesso impercettibile la deriva verso i regimi, ma ancor più lungo e doloroso è il cammino verso la libertà.