Filosofia della storia e storicismo
Ogni volta che in filosofia si parla della “fine” di un’idea o di una certa corrente, si corre il rischio di essere clamorosamente smentiti dagli sviluppi successivi della storia del pensiero (i quali sono in larga misura imprevedibili). Né occorre insistere sul fatto che, in passato, tali sviluppi richiedevano decenni o addirittura secoli per manifestarsi, mentre ai nostri giorni l’accelerazione costante degli avvenimenti ha finito col coinvolgere anche un campo - come quello degli studi filosofici - che almeno in teoria dovrebbe essere stabile. Più che dare per scontata la fine dello storicismo occorre quindi chiedersi: «E’ davvero finito lo storicismo?» Non è difficile vedere che la risposta al precedente quesito dipende in sostanza dal punto di vista adottato. Un seguace fedele di Popper darebbe certamente una risposta positiva. Ma le critiche popperiane allo storicismo contengono, oltre a preziose illuminazioni, anche dei limiti. Pare quindi azzardato affermare, come molti autori dei nostri giorni fanno, che l’epistemologo austriaco ha definitivamente sconfitto lo storicismo.
D’altro canto le tesi storiciste hanno trovato negli ultimi decenni sostenitori nell’ambito del cosiddetto pensiero “post-moderno” dove, ad esempio, un filosofo come Richard Rorty ha tentato un’originale sintesi di storicismo e pragmatismo. Ciò detto, occorre pure chiarire che cosa si intende non solo per “storicismo”, ma anche per “filosofia della storia”, dal momento che la corrente storicista ha sempre insistito sulla necessità di sottoporre gli avvenimenti storici a un’analisi di tipo filosofico, senza ridurre la storia stessa a semplice elenco di date, personaggi ed eventi. Intesa nel senso storicista la filosofia della storia è la riflessione sulla natura della storia. Il termine venne già usato da Voltaire per indicare il pensiero storico di tipo “critico”, in quanto tale contrapposto alla semplice raccolta e ripetizione di dati concernenti il passato. La fiducia dell’illuminismo nella capacità della scienza di superare barbarie e superstizione portò quindi ad attribuire alla storia un carattere intrinsecamente progressivo e in seguito, grazie all’influenza di Herder e di Kant, quest’idea conobbe grande successo, al punto che la filosofia della storia venne identificata con l’elaborazione di grandiosi sistemi in grado di farci comprendere i successivi stadi di sviluppo della razionalità (o dello Spirito). È noto che spetta all’idealismo il merito (o il demerito: dipende sempre dal punto di vista adottato) di aver identificato nei concetti il “motore” del mutamento storico. A questo risultato, dovuto a Fichte, l’idealismo assoluto aggiunse l’identificazione del mondo naturale con quello del pensiero. In Hegel, infatti, la filosofia della storia altro non è che storia universale o “storia del mondo”. Il progresso morale dell’umanità diventa nel suo edificio speculativo la libertà entro lo Stato, vale a dire lo sviluppo dell’autocoscienza dello spirito, il cui cammino logico può essere rintracciato in una serie di stadi successivi e necessari. La struttura logica hegeliana è inoltre nettamente rintracciabile negli scritti di Marx e di Engels, nei quali il raggiungimento del fine della storia viene rimandato a un futuro in cui si daranno le condizioni socio-economiche per il conseguimento della libertà; dunque non più la “ragione”, ma i fattori economici rappresentano in questo caso il volano dinamico dell’intero processo. Osservò a questo proposito François Furet che «Il bolscevismo è un’idea duale, e proprio per questo è stata tanto seducente. Combina infatti l’idea di libertà e il determinismo della scienza; l’onnipotenza dell’uomo sul proprio destino e la necessità delle leggi della storia: sono due idee contraddittorie che però rispondono benissimo all’angoscia dell’uomo moderno, perché permettono di dare all’azione umana una sicurezza di tipo trascendente, con l’idea di scienza a fare le veci della religione». Tuttavia, tranne alcune eccezioni come la celebre opera di Oswald Spengler Il tramonto dell’Occidente le grandi opere sistematiche di filosofia della storia sono state sostituite da interessi più circoscritti, volti ad accertare la natura della conoscenza storica e i fattori che la differenziano da altri tipi di conoscenza. I rappresentanti dello storicismo del tardo ’800 come Simmel e Dilthey intendevano dimostrare che le scienze umane, pur essendo oggettive al pari di quelle naturali, se ne differenziano per una ragione di fondo. Dal momento che lo storico si occupa del pensiero e delle azioni di soggetti vissuti nel passato, ciò che gli serve è la capacità di immedesimarsi con tali soggetti rivivendone il pensiero, le azioni e le deliberazioni. Ne consegue che la spiegazione storica è diversa da quella delle discipline naturali, poiché le leggi generali, in base alle premesse appena menzionate, hanno un ruolo di scarso rilievo nelle scienze umane. Tornando ora alle diverse accezioni del termine “storicismo”, possiamo notare che esso assume nel dibattito contemporaneo due significati diversi. Il primo è proprio quello che abbiamo brevemente esaminato poc’anzi, vale a dire un approccio che sottolinea l’unicità dei fenomeni storici. Ogni epoca dovrebbe quindi essere interpretata in base ai suoi stessi principi ispiratori, il che significa che le azioni dei soggetti vissuti nel passato non vanno spiegate facendo riferimento ai principi e alle credenze del periodo in cui vive lo storico che se ne occupa. Ciò che lo storico deve proporsi di conseguire è la “comprensione”, e non una spiegazione concepita sulla falsariga di quella vigente nelle scienze naturali, dal che segue inoltre che ogni tentativo volto a dar vita a delle scienze sociali che usano lo stesso metodo delle discipline naturali è votato al fallimento. È pure interessante notare che lo storicismo, inteso in questo senso, conduce al relativismo storico e culturale. Se infatti credenze e principi sono validi soltanto qualora vengano riferiti a una ben determinata epoca, allora non vi sono princìpi di validità universale, né è possibile parlare di una verità in quanto tale. A questo punto, tuttavia, è necessario rilevare che l’accezione oggi più popolare del termine “storicismo” è un’altra. Si tratta del significato attribuito a questa parola da Karl Popper, per il quale lo storicismo si identifica con la credenza in leggi dello sviluppo storico di portata universale, siano esse lineari o di tipo ciclico, come ad esempio quelle rinvenibili nei grandi sistemi di filosofia della storia elaborati da Hegel, Marx e Engels, Comte e Spengler. Ecco perché nella visione popperiana «lo storicismo è tutto un errore. Lo storicista vede la storia come una specie di corrente d’acqua, come un fiume che scende, e crede per questo di poter prevedere dove passerà l’acqua a partire da quel momento. Lo storicista pensa di essere molto intelligente, vede l’acqua scendere e pensa di poter anticipare il futuro. Questo atteggiamento è moralmente del tutto sbagliato. Si può studiare la storia quanto si vuole, ma quella del fiume rimane niente più che una metafora e non contiene alcuna realtà. Si può studiare quello che è stato, ma quello che è stato è finito e da adesso in avanti non siamo in condizione di anticipare un bel niente, non siamo in grado di seguire la corrente, dobbiamo semplicemente agire e cercare di rendere le cose migliori. Il momento presente è quello in cui la storia finisce e noi non siamo affatto in grado di poterlo prevedere seguendo la corrente». Il filosofo austriaco vede nei sistemi dianzi citati i fondamenti intellettuali delle ideologie totalitarie del secolo scorso, sia di sinistra che di destra. A suo avviso il corso della storia è influenzato in modo essenziale dalla crescita della conoscenza umana, mentre lo sviluppo della conoscenza stessa è in larga misura imprevedibile.
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