Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’Artemio Franchi di Firenze: uno stadio popolato di ricordi

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Nel bel libro del 2020 di Franco Marcoaldi, scrittore e poeta, e Tomaso Montanari, storico dell’arte, Un viaggio in Italia. Cento luoghi di-versi, Montanari afferma nella prefazione: «Abbiamo forse compreso che pubblica via, la chiesa, il parco o il teatro sono qualcosa di più che semplici contenitori: sono la nostra anima comune, la nostra identità collettiva».

Mi sono allora chiesto se anche gli stadi comunali, come ad esempio l’“Artemio Franchi” di Firenze, possono essere considerati allo stesso modo.

Sono nato nella stessa città, ma durante l’infanzia lo stadio comunale era presente solo nella mia fantasia. Mi aveva colpito nel libro di lettura della terza elementare nell’anno 1940 la descrizione, con particolari raccapriccianti, della morte di Giovanni Berta un giovane fascista avvenuta nel 1922 durante uno scontro con gli operai della Pignone, una fabbrica fiorentina.

Considerato martire per la violenza subita a lui era stato intitolato lo stadio comunale di Firenze progettato nel 1931.Ovviamente erano omesse nel libro le terribili violenze commesse nella città dagli squadristi in quel periodo.

Dopo la Liberazione lo stadio è stato intitolato ad Artemio Franchi, un noto dirigente sportivo e ne ho potuto avere una conoscenza diretta, abitando nelle immediate vicinanze.

In quel periodo la sua struttura architettonica mostrava in tutta la sua eleganza senza le modifiche esterne che l’hanno in seguito appesantita.

 

Da lontano svettava l’agile torre di Maratona, alta 75 metri di cui 55 di sola torre, le scale elicoidali di accesso al settore centrale sembravano sospese nel vuoto e colpiva l’arditezza costruttiva della pensilina che copriva la tribuna centrale, del tutto priva di sostegni intermedi.

Per paura che crollasse il giorno nel quale si dovevano togliere le armature di sostegno, il cantiere rimase deserto e il giovane e geniale architetto Pier Luigi Nervi, autore del progetto, dovette farlo con l’aiuto dei soli assistenti che credevano in lui.

Per le sue caratteristiche lo stadio comunale di Firenze è considerato un capolavoro dell’architettura italiana degli anni trenta e oggetto di ammirazione da parte di artisti ed architetti di tutto il mondo.

Nel dopoguerra la passione del gioco del calcio esplose, si giocava dappertutto, anche all’uscita della scuola, con una pallina di stracci nelle strade deserte e l’“Artemio Franchi” era l’epicentro delle manifestazioni calcistiche.

L’entusiasmo cittadino salì alle stelle quando la squadra cittadina, la “Fiorentina”, vinse lo scudetto nel 1956-57.

La storia della squadra coincide con quella dello stadio comunale ed è stata descritta in modo appassionato nel 2006 da Sandro Picchi nel libro Fiorentina 80 anni di storia.

Iniziavano a svolgersi anche le partite internazionali, interrotte durante il periodo bellico; ad una delle prime, l’amichevole Italia-Inghilterra nel 1952, parteciparono circa 95mila persone e ricordo che andammo presto al mattino per prendere posto.

La squadra inglese era molto forte, ma forse la perfida Albione, come veniva definito quel Paese nemico nel periodo bellico, poteva essere battuta sul campo di gioco.

Il pareggio accontentò tutti. L’invettiva «Dio stramaledica gli Inglesi!» lanciata da un noto radiocommentatore italiano durante la seconda guerra mondiale, apparteneva ai lugubri fantasmi del passato.

Lo stadio comunale di Firenze ha ospitato non solo innumerevoli partite di calcio nazionali ed internazionali, ma anche gli eventi più diversi  come la esibizione pugilistica di Joe Louis del 1945, quando lo stadio era gestito dagli alleati, o le visite pastorali di Papa Giovanni Paolo II nel 1986 e di papa Francesco nel 2015 di fronte a 50mila fedeli;  manifestazioni sportive di vario genere, come  baseball, atletica leggera, rugby, l’arrivo di alcune tappe del giro d’Italia; e ancora   concerti musicali con famosi artisti italiani e stranieri.

Uno dei primi fu Elton John nel 1973, seguito da Patti Smith nel 79, i Clash nell’81, De Gregori l’anno seguente. Nel 1987 David Bowie scelse l'impianto di Firenze per il suo primo concerto italiano, registrando il tutto esaurito, preceduto dai Duran Duran nello stesso anno e concluso da Madonna con il Who’s That Girl Tour, sempre col tutto esaurito.

Bruce Springsteen nel 2003, fece tappa nel capoluogo toscano, di fronte a 40mila persone.

Claudio Baglioni aveva cantato al “Franchi” nel 1985 e successivamente nel 2003.

Nel 2013 lo stadio fiorentino ha ospitato Jovanotti, Luciano Ligabue lo ha scelto per cinque volte per il suo concerto, dal 2002 al 2014, Vasco Rossi cinque volte da 1999 al 2015, Renato Zero ha tenuto tre concerti, nel 1999, 2004 e 2013.

In occasione delle manifestazioni, folle variopinte invadevano il quartiere intorno allo stadio.

Dalle finestre della nostra abitazione entravano la musica dei concerti e i boati sonori tutte le volte che venivano segnati goal vittoriosi nelle partite di calcio.

Nei volti delle persone che hanno sfilato per decenni davanti ai nostri occhi si poteva osservare eccitazione per l’avvicinarsi dell’evento agognato, entusiasmo o delusione al ritorno, la soddisfazione latente per aver partecipato al rito collettivo.

Non sono mai stato un tifoso e la giovanile passione per il gioco del calcio si era affievolita con la maturità. Dopo il 1960 il grande ospedale di Careggi, era divenuto per me il luogo dove si svolgevano le “partite” decisive tra la difficolta della professione medica e l’impatto con la sofferenza e la morte. Al distacco contribuivano la crescente violenza dentro e fuori gli stadi, l’eccessiva quantità di denaro in circolo, i giocatori sempre più lontani dalla gente comune.

È stato comunque impossibile non partecipare alle grandi emozioni nazionali come per la tragedia del Grande Torino nel 1949, la vittoria dell’Italia nel campionato mondiale nel 1982 e quella per la morte improvvisa del capitano della Fiorentina, Davide Astori, nel 2018 che ha coinvolto la città, ma non solo.

Lo stadio rimaneva sempre un punto di riferimento. A metà degli anni 70, un periodo terribile per il nostro Paese, i cosiddetti anni di piombo, partecipai ad una manifestazione per il discorso che avrebbe tenuto Giulio Andreotti, proprio allo stadio comunale di Firenze.

Nel 1976 era stato raggiunto un compromesso con l’appoggio esterno del PCI al governo monocolore DC di solidarietà nazionale e la manifestazione venne indetta in sostegno dell’accordo.

Nello stesso periodo, nell’anniversario della liberazione di Firenze, con la famiglia, abbiamo partecipato più volte alla cerimonia che  si svolgeva al sacrario esistente sotto le gradinate dello stadio. Era stato eretto nel dopoguerra dove furono fucilati cinque giovani il 22 marzo 1944 dalla milizia della Repubblica Sociale fascista perché renitenti alla leva.

Sono entrato nuovamente nello stadio e rivisto lo smeraldo verde del campo di gioco solo nel maggio 2017, una bella giornata primaverile, l’ingresso era libero.

Con passo lento ho percorso le agili scale elicoidali e dall’alto ammirato nuovamente le colline fiorentine che circondano la città, risparmiate come per miracolo dalla speculazione edilizia.

Mi è tornata alla mente una poesia giovanile, scritta senza alcuna pretesa:

«Gioco del calcio/macchia verde d’erba/su di essa danzano i giocatori come libellule/ partecipano davanti le colline /e dietro la città si stende».

Quel giorno le squadre femminili della Fiorentina e del Brescia, giocavano la finale per lo scudetto. Il gioco era piacevole, arioso, qualche ingenuità tattica, ma lontano dall’agonismo eccessivo e dalla rissosità di quello maschile.

Alla fine diecimila spettatori sorridenti e allegri hanno applaudito la vittoria della squadra cittadina. Come fiorentino doc vorrei essere scusato se per un momento quella salita mi è parsa l’ascesa di Dante al Paradiso, e ho scambiato Beatrice con le giovani atlete, veloci e aggraziate.

Spero di aver portato un contributo affinché anche gli stadi comunali ed in particolare quello di Firenze non siano considerati dei “semplici contenitori”.

Negli ultimi anni vi sono state molte polemiche sul futuro dell’ “Artemio Franchi”, compresa la proposta di una sua demolizione; le ultime notizie sono tuttavia consolanti: verrà effettuato il necessario restauro e le modifiche con un concorso internazionale.

 

 

 

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