4 maggio 1861, nasceva l’esercito italiano

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L’Esercito Italiano nacque storicamente con la proclamazione nel Primo Parlamento Nazionale del Regno d’Italia, della Patria una, libera, costituzionale, indipendente, con Vittorio Emanuele II re di essa e con Torino prima capitale, il 17 marzo 1861.

La prima successiva e formale denominazione la si riscontra nella nota n. 76 del 4 maggio 1861 del Ministro della Guerra Manfredo Fanti, che recita: «Vista la legge in data 17 marzo 1861, colla quale Sua Maestà ha assunto il titolo di Re d’Italia, il sottoscritto rende noto a tutte le Autorità, Corpi ed Uffici militari che d’ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di ‘Esercito Italiano, rimanendo abolita l’antica denominazione di ‘Armata Sarda. Tutte le relative iscrizioni ed intestazioni, che d’ora in avanti occorra di fare o di rinnovare, saranno modificate in questo senso. Il Ministro della Guerra. Manfredo Fanti.»

Non a caso in tutte le biografie su Manfredo Fanti, nato a Carpi (Modena) nel 1806 e morto a Firenze nel 1865 (dove un grande monumento lo ricorda) lo definiscono come “il fondatore” del Regio Esercito Italiano.

Fanti aveva una biografia simile a quella del meridionale Enrico Cosenz, altro creatore dell’Esercito Italiano e suo primo Capo di Stato maggiore e fondatore di esso, di militare patriota e di formazione specialistica come lui, con laurea in ingegneria ed esperienza nell’arma del genio, che aveva partecipato al moto nel Ducato di Modena con Ciro Menotti del 1831 e fu condannato a morte, riuscendo peró a sfuggire in Francia, dove si avvicinó al mazzinianesimo.

È storicamente falsa, ideologica, di origine clericale, gesuitica, borbonica, assunta acriticamente anche da ambienti storiografici, la denominazione di ‘Esercito Piemontese’.  

La falsità è tripla, sia perché non è mai esistito storicamente un formale ‘Esercito Piemontese’, perché si chiamava ‘Armata Sarda’, sia perché era formata non solo da militari piemontesi, ma da quelli provenienti dalla Sardegna, dalla Liguria, dalla Val d’Aosta’, dalla Savoia, dal Nizzardo, sia perché, poi, dal 1859 al 1860 conobbe l'afflusso da militari della Lombardia, della Toscana, dell’Emilia Romagna, dell’Umbria, delle Marche, della Campania, dell’Abruzzo, della Puglia, della Basilicata, della Calabria, della Sicilia.

Bisogna notare poi che i creatori fondamentali dell’Esercito Italiano, formalmente e nella carica più importante, sono stati un emiliano ed un meridionale (Fanti e Cosenz).

 

È stato l’Esercito Italiano così nazionalmente costituito nel 1861 ad affrontare i nemici stranieri e gli insidiosi nemici interni: gli Austriaci, durante la Terza Guerra d’Indipendenza del 1866, con la quale fu liberato il Veneto, e i briganti filoborbonici e filoclericali, guidati e finanziati nella Roma papalina non ancora Italiana, capitale del nemico Stato della Chiesa, dal detronizzato sovrano borbonico Francesco II e dal papa-re Pio IX, dal 1861 in poi.

L’Esercito Italiano, in collaborazione con la coraggiosa e italianissima Guardia Nazionale meridionale, riuscì a stringere in modo permanente e definitivo il Sud alla nuova Italia. 

I briganti filoborbonici e filoclericali erano nemici dell’Italia una e libera, al servizio di uno Stato straniero e nemico dell’Italia una e libera, e contro di essi non poteva non essere usata la stessa decisa azione militare, come quella contro gli Austriaci.

I caduti dell’Esercito Italiano nella lotta contro gli Austriaci nel 1866 e contro i briganti filoborbonici, filoclericali, filopontifici, dal 1861 in poi, sono ‘Caduti della Patria Una e Libera’ e vanno onorati doverosamente, come lo sono tutti i Martiri e i Caduti delle Guerre di Indipendenza e del Risorgimento.

Il meridionale Enrico Cosenz aveva questi sentimenti e fu decisamente in primo piano nella lotta contro il brigantaggio, come fu in primo piano nella Terza Guerra di Indipendenza e poi nella presa di Roma il memorabile 20 settembre 1870, con la fine del nemico e insidioso Stato della Chiesa. Così fu reciso il suo legame profondo ed organico anche con il brigantaggio meridionale filoborbonico e filoclericale, che non a caso perse definitivamente da allora il suo aspetto di pericolo interno.

 

 

 

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