La demoghèla antiaustriaca

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Allo scoppio della prima guerra mondiale il grosso degli uomini validi della Venezia Giulia, chiamata dagli austriaci Küstenland, fu arruolato nell’Infanterieregiment n. 97 e spedito a combattere nei Carpazi a Leopoli, dove finì annientato per il 50% ed oltre già nel mese di settembre del 1914. L’unità si sfasciò e lasciò numerosissimi prigionieri nelle mani delle truppe dello zar.

Questo diede al reparto il soprannome di “demoghéla”, ossia “diamogliela a gambe”, “scappiamo”. In verità, i superstiti alla catastrofe dovuta agli errori dello stato maggiore austriaco rivendicarono apertamente il loro rifiuto di combattere per il kaiser con una canzone divenuta famosa appunto come “demoghèla” da una sua strofa: «zigheremo “demoghéla”».

I nostalgici dell’impero hanno cercato in ogni modo di negare la natura apertamente antiaustriaca della canzone dei militari del 97° reggimento ed hanno cavillato in modo arzigogolato nel tentativo di attribuirle valenze e significati diversi da quelli pure apertamente rivendicati. Tuttavia, l’espressione in vernacolo triestino di demoghèla è inequivoca e significa proprio fuggire, scappare. Ad esempio, il triestino Eugenio Laurencich fu chiamato alle armi. Salutando i familiari prima della partenza, egli annunciò loro che alla prima occasione avrebbe fatto “demoghella”, disertando.

 

Egli volle per questo portarsi dietro quanto più denaro possibile, perché riteneva che gli sarebbe stato utile nella prigionia. Dopo due soli giorni al fronte, nella terza giornata disertò assieme ad un gruppo di commilitoni e si consegnò prigioniero ai russi.

In verità, non vi è modo di contestare i contenuti politici ostili all’impero della canzone dei “demoghèla”, poiché essa è quasi la copia di un testo anteriore alla guerra. Si tratta di “La poesia del riservista che scalpita a otto mesi dal richiamo”, composta nel 1913 da autore ignoto, diffusa da un foglio volante finito subito sequestrato dalla polizia imperiale per motivi politici.

La posteriore canzone del 97° è la sua copia quasi esatta, soltanto con poche variazioni. Il testo è quasi uguale alla canzone del tempo di guerra, con l'eccezione fondamentale di due strofe, quelle finali, che recitano: «zigaremo "viva quèla/quando il termine sarà», poi divenuto «zigaremo demoghéla/fin che l'ultimo sarà». Il “Viva quèla” da cantare al termine della ferma era un’allusione erotica inserita in un testo scopertamente antimilitarista, che fu sostituita nel tempo di guerra da un invito alla diserzione di massa.

Cadono così le ipotesi bizzarre degli austriacanti che vorrebbero attribuire a “demoghèla” il senso d’incitare allo scontro con il nemico (!) o ridurlo ad uno sfogo conseguente alla distruzione di metà del reggimento. La canzone antiaustriaca circolava in realtà sin dal 1913 almeno, da prima della guerra, ed era stata sottoposta alla censura della polizia imperiale per la sua evidente connotazione ostile all’impero.

Vi sono inoltre precise e numerose testimonianze che confermano come fra i coscritti italiani del 97° fanteria fosse spesso assente la volontà di combattere per un regime avvertito estraneo ed ostile. Alcuni fanti di questo reggimento disertarono per dichiarate ragioni politiche, come fece Giuseppe Passerini quando si diede prigioniero ai russi il 15 giugno del 1916, dopo aver scritto nel suo diario: «La partita con l’Austria è liquidata».

Le memorie dell’ufficiale austriaco Artur Brosch, il cosiddetto memoriale Brosch, confermano che il 97° reggimento aveva fama nell’esercito imperiale di essere poco disposto a combattere. Inoltre furono numerosi gli italiani caduti prigionieri dei russi che si arruolarono spontaneamente nel Regio esercito.

Fu creata ed inviata a San Pietroburgo (ribattezzata Pietrogrado durante la prima guerra mondiale) nell’agosto 1916 una speciale Commissione, chiama “Missione militare italiana in Russia” che in prosecuzione dell’attività già svolta dall’ambasciata italiana aveva il fine di rintracciare i militari di nazionalità italiana ma sudditi del kaiser Francesco Giuseppe che fossero caduti prigionieri dei russi. Già entro la prima metà del 1917 vi furono 3500 uomini originari della Venezia Giulia, del Trentino e della Dalmazia, che chiesero di avere la cittadinanza italiana.

 

 

Bibliografia essenziale

Il testo originale della canzone è riportato nell’archivio di stato di Trieste, Luogotenenza del Litorale, Atti presidiali, Busta 379.

G. Bazzani, Soldati italiani nella Russia in fiamme 1915-1920, Trento 1933;

S. Ranchi, «La luna vista a girarsi». L’avventura galiziana negli scritti e nelle memorie degli infanteristi del Litorale, in Sui campi di Galizia (1914-1917). Gli Italiani d’Austria e il fronte orientale: uomini popoli culture nella guerra europea, a cura di G. Fait, Rovereto 1997;

M. Rossi, Irredenti giuliani al fronte russo. Storie di ordinaria diserzione, di lunghe prigionie e di sospirati rimpatri (1914-1920), Udine 1998;

A. Di Michele, Tra due divise. La Grande Guerra degli italiani d'Austria, Roma-Bari 2018.

 

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