Nei versi della poesia Una stella Alessandro Poerio esprimeva il suo forte sentimento cosmico e si faceva interprete dello spirito romantico, di quella consapevolezza della caducità degli esseri viventi, della constatazione del limite umano di fronte all’infinito.
Il poeta si sentiva parte dell’universo e il suo animo si riempiva di gioia e di speranza nell’ammirare il cielo stellato di notte. Contemplava incantato la bellezza di una stella solitaria come se fosse il volto di una donna innamorata.
La pallida luce di quella stella apportava serenità nel suo cuore e sembrava giungere sulla terra per consolare gli uomini della loro sofferenza. Ma, fortificato dalla fede, si distaccava nettamente dal pessimismo cosmico del suo caro amico Leopardi, così come il poeta francese Lamartine, che leniva i propri dolori attraverso l’ammirazione della Natura e delle bellezze dell’Universo, trovando in esse conferma dell’esistenza di Dio.
Anche la poesia leopardiana de L’Infinito comunicava il profondo senso di solitudine e di dolore con una forte risonanza cosmica, come se nella sua infelicità il poeta esprimesse lo sconforto di tutta l'umanità.
Ma la natura eterna appariva serena ed indifferente di fronte al pianto e alle sofferenze dei mortali.
Il luogo della meditazione del poeta era il monte Tabor di Recanati e la siepe rappresentava l’impedimento, che poneva dei limiti insormontabili alla conoscenza, ma che nello stesso tempo suscitava nel poeta l’immagine dell’infinito spaziale e temporale, permettendogli di volare con la fantasia.
In questo modo l’animo del Leopardi superava i limiti della sua fragilità e si perdeva, smarrito, nell’immenso. Rifuggendo la triste verità, si immergeva nell’infinito e, seppur momentaneamente, trovava una sospirata pace interiore.
Una stella. A. Poerio
Una stella. A. Poerio
Da una stella lontana e come ascosa
Fra gli splendori del notturno Cielo,
Mi viene una pensosa
Gioja, che sboccia come fior da stelo;
E come di confuse alme fragranze,
Empiemi di memorie e di speranze.
S’ella non fosse eterna, io breve cosa,
La crederei per la mia pace nata,
Tanto cara mi giugne e innamorata
La sua pallida luce.
Finch’ella non tramonti in lei son fiso,
Come tra mille aspetti
Occhio rivolto a desiato viso.
L’altre eteree sorelle,
Assai di lei più belle,
Supreme intelligenze radïanti
Paiono al mio pensier; ma questa sola
Questa viene al cor mio, come Pietade
Che della terra i pianti
Intende e racconsola.
L’Infinito. G. Leopardi
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
de l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio;
e il naufragar m'è dolce in questo mare.