Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Empirismo ed ermeneutica nelle scienze umane

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Gli empiristi sottolineano il ruolo delle generalizzazioni per spiegare i fenomeni che costituiscono l’oggetto di studio delle scienze umane e sociali. Vi è tuttavia un altro approccio, oggi popolare, che attribuisce invece importanza primaria agli aspetti specifici e particolari delle varie culture, sostenendo che il vero compito dell’indagine sociale è l’interpretazione delle pratiche sociali dotate di significato.

Si manifesta allora un’antitesi radicale tra “spiegazione” da un lato e “comprensione” dall’altro.

La spiegazione si basa sulla capacità di identificare le cause generali di un evento, mentre comprendere significa scoprire il significato di un evento (o di una pratica) all’interno di un particolare contesto sociale. Il compito delle scienze storico-sociali diventa pertanto quello di ricostruire il significato delle pratiche sociali.

L’approccio di cui stiamo parlando si chiama ermeneutico: esso tratta i fenomeni sociali come “testi” (si pensi per esempio a un testo letterario) che devono essere decodificati mediante la ricostruzione (basata sulla nostra immaginazione) della significanza dei vari elementi che fanno parte di un’azione o evento sociali.

 

Non è difficile allora capire che per i sostenitori dell’approccio ermeneutico le scienze sociali e quelle naturali sono radicalmente diverse, giacché le prime dipendono inevitabilmente dal processo interpretativo - tipicamente umano - del comportamento significante e delle pratiche sociali che su tale comportamento sono fondate. In altri termini, la scienza naturale si occuperebbe di processi causali oggettivi, mentre quella sociale riguarderebbe azioni e pratiche significanti.

Soltanto i processi causali possono essere spiegati e descritti oggettivamente; azioni e pratiche richiedono invece interpretazione e comprensione. Per riassumere: la spiegazione è l’obiettivo delle scienze naturali, e la comprensione è lo scopo di quelle sociali. Ne consegue, tra l’altro, l’impossibilità di applicare il modello nomologico-deduttivo (o “modello Popper-Hempel”) della spiegazione a storiografia, sociologia, scienza politica, antropologia, etc.

Un resoconto adeguato dell’azione umana dovrebbe pertanto rendere comprensibile ciò che gli individui-agenti fanno; da un simile punto di vista, lo scopo delle scienze sociali non può ridursi alla predizione di eventi, siano essi considerati isolatamente o in quanto inclusi in modelli: una spiegazione soddisfacente deve dare un senso alle azioni degli individui. Questi sono i punti principali - tra loro correlati - comuni ad ogni programma di tipo ermeneutico:

 

1) Le azioni e le credenze individuali possono essere comprese soltanto mediante una procedura interpretativa, grazie alla quale lo scienziato sociale punta a scoprire il loro significato per l’agente (colui che compie l’azione o intrattiene la credenza).

2) Tra le varie culture si manifesta una radicale diversità circa il modo in cui la vita sociale viene concettualizzata, e tali differenze generano mondi sociali diversi.

3) Le pratiche sociali (promesse, regole lavorative, legami di parentela, ecc.) sono costituite dai significati che i partecipanti attribuiscono ad esse.

4) Non esistono “fatti bruti” nella vita sociale, cioè fatti che non rimandino a specifici significati culturali.

 

Le conseguenze sono piuttosto chiare. Per ottenere un’analisi soddisfacente di un certo fenomeno sociale, risulta necessario interpretare i significati che gli individui di un gruppo attribuiscono alle loro azioni e relazioni. La scienza sociale, pertanto, non può evitare di essere ermeneutica, e gli approcci che non adottano questo metodo, come quelli empiristici, sono semplicemente fuorvianti.

Si noti che, seguendo questa strada, uno scienziato sociale (per esempio un antropologo) che si trovi ad analizzare una pratica di un certo gruppo non si chiede quali siano i processi che l’hanno generata, poiché il modello che egli ha in mente non prevede spiegazioni causali. Il modello non fornisce alcuna spiegazione della pratica stessa, ma una sua lettura contestuale, intesa a chiarirne il significato per i membri del gruppo sotto indagine. Dovrebbe a questo punto essere evidente che gli empiristi giudicano l’approccio ermeneutico del tutto inadeguato.

Per gli studiosi di credo ermeneutico gli esseri umani sono individui che attribuiscono alla dimensione simbolica della vita un ruolo essenziale, e agiscono in base alla loro capacità di interpretare la realtà circostante. La comprensione è a sua volta fondata su fattori quali: (a) una rappresentazione del mondo (sia naturale che sociale) nel quale si trovano a vivere; (b) un insieme di valori e di scopi che caratterizzano i loro bisogni; (c) un complesso di norme che fissano i limiti oltre i quali un’azione diventa trasgressiva; (d) una concezione dei loro poteri e delle loro capacità.

Diventa quindi necessario descrivere i valori, le visioni del mondo e le assunzioni di fondo riferendosi sempre, tuttavia, ad una particolare cultura o a un certo gruppo sociale. Fornire l’interpretazione di un’azione significa descrivere un contesto culturale e lo stato d’animo dell’agente (o degli agenti) in modo tale da rendere intelligibile a noi le sue (o le loro) azioni. Interpretare è discernere il significato di una pratica sociale entro un sistema di simboli e rappresentazioni culturali.

 

 

 

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