Morte all’estetica. Riflessioni su una scritta non usuale
La grande scritta bianca a caratteri cubitali “morte all’estetica “, ben visibile sulla fiancata del sovrapassaggio ferroviario al termine del viale Malta, un tranquillo viale alberato che costeggia Campo Marte a Firenze, è inusuale e merita alcune riflessioni. Tra le tante scritte sui muri, oggi dette impropriamente graffiti, chi ha avuto in dono una lunga vita ricorda quelle di propaganda del “ventennio”, diffuse in tutto il Paese, nere sulle pareti bianche delle case, le sole permesse, per le altre si rischiava carcere o peggio. Una era particolarmente perentoria: “Credere, Obbedire, Combattere”, a caratteri squadrati con firma Mussolini in corsivo per dimostrare che Lui ne aveva il copyright (poi si è visto come è andata a finire!). Tanti anni dopo sono fiorite quelle della contestazione giovanile, dell’“immaginazione al potere”, contro la guerra al Vietnam, di solito di colore rosso, accompagnate alle invettive al Presidente degli Stati Uniti, e poi l’infinità delle scritte politiche, su temi di costume, più raramente religiosi o filosofici o sulla condizione femminile. Anche se uno scritto può avere uno spessore artistico è utile precisare che il termine writer, in italiano scrittore/scrittrice, significa genericamente qualcuno che scrive qualcosa e non può essere confuso con street artist, autore di strada, che di solito dipinge murales, distinzione necessaria per evitare cancellazioni inopportune.
Quale potrebbe essere la personalità del writer di “morte all’estetica”? Per esempio quella di uno studente molto infervorato che ha deciso di realizzarla in seguito a qualche lettura o a un corso universitario. Un gesto del genere può destare un senso di simpatia o almeno di tenerezza, ma rimangono incerti i motivi che lo hanno spinto ad impiegare il tempo ed energie nell’impresa compiendo un reato e comunque rischiando di cadere dall’alto e farsi del male. «La muraille est le papier de la canaille» e poiché ogni proverbio ha il suo contrario, ne esiste anche uno arabo che afferma «Les murs sont les cahiers de tous». Ambedue si trovano su Wikipedia, non gli autori, di solito assenti nei detti popolari. D’altra parte da quando l’uomo ha avuto il dono della scrittura, dai graffiti delle antiche civiltà a quelli dei condannati a morte sulle pareti delle celle, questi messaggi rappresentano molto spesso la necessità di lasciare una traccia nel mondo. Poi vi sono altre infinite motivazioni, protesta, approvazione, condanna etc., non sempre facili a decifrare; per esempio chi scrive sulle opere d’arte, deturpandole, crede erroneamente di associarsi alla loro grandezza. Forse le donne sentono meno la necessità dei graffiti perché sanno che possono lasciare ai posteri una traccia molto più concreta. Essendo il nostro writer anonimo si possono fare solo ipotesi sulle motivazioni del gesto, come per esempio una protesta contro il degrado: all’interno del sovrapassaggio ferroviario, lungo circa cinquecento metri, sono presenti innumerevoli scritte, senza significato, che lo deturpano e il manufatto stesso non è certo uscito dallo studio di Enzo Piano. Ma allora avrebbe dovuto scrivere “L’estetica è morta” o più precisamente “Qui è morta l’estetica”. Qualche volta i writers trascurano il lessico, anche per la concitazione dell’atto e questo potrebbe spiegare l’errore. Dato comunque che il lessico non è un’invenzione dei letterati, la scritta, correttamente interpretata, risuona come un’invettiva contro l’estetica. Chissà cosa avrebbe pensato o detto Benedetto Croce, se per ipotesi si fosse trovato a passare di lì. Ora, se le asserzioni generali e assolute che condannano o salvano discipline consolidate sono discutibili, che dire di imprecazioni come «Morte all’etica» o «Morte alla metafisica?» Più interessanti in questi casi sono gli approcci più analitici, che tendono a rinnovare queste discipline vetuste, individuandone gli sviluppi, le regole interne, le caratteristiche nonché adeguandole ai tempi. L’estetica è una disciplina, che porta questo nome da quasi tre secoli, cioè almeno da quando alla metà del Diciottesimo secolo il filosofo berlinese Alexander Gottlieb Baumgarten pubblicò il suo capolavoro dal titolo appunto Aesthetica. Pronunciamenti a favore della “morte” dell’arte ci furono storicamente più tardi, a partire da Hegel e, come noto, la critica della mimesi artistica risale addirittura a Platone. Nelle sue lezioni tenute all’Università di Berlino e pubblicati postumi nel 1835 con il titolo “Estetica”, Hegel saldò tra loro arte e filosofia, pronunciando la celebre sentenza secondo cui l'arte si sarebbe estinta nel suo concetto. Il dibattito è poi proseguito. L’allievo di Hegel, Karl Rosenkranz pubblicò nel 1853 la sua Estetica del brutto. Alludeva a questa forse il nostro writer? Ma allora ha senso riproporre questa problematica ad un pubblico generale e non piuttosto a cultori della materia? Per i non addetti ai lavori, l’estetica è un ramo della filosofia che indaga il bello naturale e quello artistico. Una definizione analoga si trova anche su Wikipedia: «L’estetica è tradizionalmente un settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale o artistico». Se quindi l’estetica non è l’arte e non è la bellezza, può tuttavia accadere, col pensiero “rapido” oggi dominante, di identificare i tre termini. Voleva allora il nostro writer criticare la bellezza e l’arte e non l’estetica? In questo caso la scritta “morte all’estetica” avrebbe il significato opposto all’affermazione dostojewskiana “la bellezza salverà il mondo”! Un’ ipotesi più benevola per l’autrice o l’autore è che consideri l’estetica una premessa all’Estetismo, un atteggiamento che tende a valorizzare l’arte fine a se stessa ed è spesso accompagnato da posizioni politiche conservatrici o reazionarie, per quanto si siano dati esteti che si definivano apolitici o socialisti libertari, come Oscar Wilde, o rivoluzionari, per quanto sui generis, come Gabriele D’Annunzio, che ammirava i “tiranni”, da lui descritti come decadenti e sensuali. Gli esteti possono essere considerati libertini del passato, con simpatia per epoca stanche e raffinate e attrazione per l’esotismo. Di qui l’attacco del writer verso tutto quello che è solo apparenza, bellezza superficiale, il superfluo della società attuale. La scritta “morte all’estetica” è quindi sicuramente inusuale e mantenerla potrebbe continuare a suscitare curiosità e riflessioni come è avvenuto per chi scrive. Sulla decisione riguardo all’opportunità di cancellarla pesa la parola “morte”, di una potenza semantica indiscutibile. La morte dovrebbe essere qualcosa d’intimo, molto personale, una “sorella” che ci accompagna durante la vita, dandole vigore. Quando la si invoca in pubblico occorre tener presente la dicitura che è sui colli fragili, handle with care, maneggiare con attenzione; anche il suono della pronuncia inglese è soft, delicato. Nella storia dell’umanità è risuonata troppe volte diretta contro persone, movimenti politici, civili, etnici o religiosi. Lo ricorda un episodio della guerra civile spagnola del secolo scorso, prodromo dei massacri della seconda guerra mondiale. Nell’ottobre 1936 Miguel de Unamuno, filosofo, politico e scrittore spagnolo, rettore della prestigiosa università di Salamanca, fu chiamato a pronunciare il discorso di apertura dell’anno accademico. Unamuno aveva in precedenza lanciato un appello agli intellettuali perché appoggiassero i falangisti del regime di Franco. Venuto a conoscenza delle atrocità del regime, intervenne sdegnato quando durante la cerimonia il fondatore della Legione gridò: «Viva la muerte». Egli affermò: «Ed ora sento un grido necrofilo e insensato: Viva la morte! Ed io che ho trascorso la mia vita a creare paradossi che suscitavano la collera di coloro che non li afferravano, io devo dirvi, come esperto in materia, che questo barbaro paradosso mi ripugna … Questo è il tempio dell'intelletto. E io ne sono il sommo sacerdote. Siete voi che profanate il sacro recinto. Voi vincerete perché avete soverchia forza bruta. Ma non convincerete. Perché, per convincere, bisogna persuadere. E per persuadere occorre quello che a voi manca: ragione e diritto nella lotta. Io considero inutile esortarvi a pensare alla Spagna. Ho finito». Destituito dalla carica di rettore, Unamuno morì nel dicembre dello stesso anno.
Alberto e Vieri Dolara
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