Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

“Ad un Angelo”: il grande amore perduto di Goffredo Mameli

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Figlio di Giorgio Giovanni Mameli dei Mannelli e di Adelaide Zoagli, come di lui scrisse il fratello maggiore Giovanni Battista, Goffredo  Mameli aveva conquistato i cuori di tante fanciulle da giovanissimo, in quanto la sua poesia riusciva a penetrare nel profondo della loro anima. Tuttavia, egli sapeva nascondere i veri affetti  «sotto la brillante coperta della corte fatta in generale».

In quello che fu il suo tormentato anno 1846, Goffredo, che aveva solo 19 anni, nel componimento Un’idea raccontò di tre amori: Camilla Pinelli, una ragazza bionda e formosa, a cui inviò i suoi versi fino al 1848,  la moglie greca del console sardo a Candia, che «avea le chiome bionde e gli occhi grandi e cilestri”, che  come chi è stanco delle cose umane,  cerca scordarsi della terra, per rivolgerli al cielo», e di  una terza donna, di cui non rivelò l’ identità, ma che decantò come «una più di tutte […] Il suo pensiero soggiornò nella mia mente! E se talvolta la sua imago parea svanire, in fra le ardenti fantasie mi popolava il giovanil bollore».  

Ma fu il fratello Giovanni Battista a squarciare il mistero, rivelando che fu la marchesina Geronima Ferretto il vero grande amore della vita di suo fratello, un amore ostacolato dall’invidia, dall’inganno, e anche dal destino dal momento che anche lei molto giovane, due anni dopo la morte del ventunenne Goffredo nella difesa della Repubblica romana del 1849.

 

Giovanni Battista Mameli descrisse le circostanze che segnarono profondamente l’amore di suo fratello e della marchesina Ferretto:

«Fatto sta che molte signorine credettero di essere predilette e, sfogliando le sue poesie, non vi è dubbio che l’impressione della beltà e della gentilezza toccava facilmente una corda nel suo cuore. Ma fra tutte una sola mi è dato nominare come colei che più delle altre ebbe il dono d’impressionarlo e direi quasi influire sul suo avvenire. Questa è L’Angelo dell’Epitalamio. E forse alla stessa è dedicata Il sogno della vergine e forse anche quella romanza araba intitolata L’Amore. […] Ora, levando il velo poetico la chiameremo Geronima Ferretto. Questa graziosa persona era sua coetanea per una conoscenza di famiglia; dagli innocenti sollazzi del fanciullo nacquero gli amori dell’adulto. I parenti d’ambo le parti si erano abituati a vederli nascere l’uno per l’altra e l’unione loro era già prestabilita fino dalla più tenera età […]  Ma giusto quando si credeva più sicuro e che apertamente si parlava di nozze, una mano ghiacciata dall’invidia lo soffocò sotto il manto dell’amicizia».

Infatti, proprio nell’autunno del 1846, lo stesso periodo in cui Mameli aveva composto Un’idea, si era costituita a Genova l’Accademia Entellica, successivamente denominata Società Entelma quale luogo d’incontro e discussioni di giovani studenti e intellettuali, affiliati alla Giovane Italia di Giuseppe Mazzini.

In quel 1846 Goffredo iniziava ad entusiasmarsi per le idealità di Repubblica e Assemblea Costituente, di cui avrebbe scritto sul Diario del Popolo, giornale del quale avrebbe ricoperto l’incarico di direttore nel 1848, ma anche su altri giornali repubblicani.

Come riporta Gabriella Airaldi, un’altra madre aveva pensato a lui per sua figlia e fece di tutto per mutare la situazione, combinando le nozze di Geronima con Stefano Giustiniani, il vedovo di Anna Schiaffino, morta suicida per amore di Cavour».

Dato che la famiglia di Geronima Ferretto era molto religiosa e di idee estremamente conservatrici, la donna che intendeva dare sua figlia in sposa a Goffredo, lo aveva dipinto come un irreligioso e in preda a tutte le sfrenate passioni.

Le nozze tra Geronima Ferretto e Stefano Giustiniani furono celebrate in segreto in una chiesa della campagna di Fontanegli, dove i Ferretto avevano una villa e senza che le stesse sorelle di Geronima ne venissero a conoscenza, mentre la fanciulla che giunse all’altare piangendo, «invocava la grazia al Giustiniani di ricusarla, se aveva davvero affezione per lei».

Goffredo, quando seppe del matrimonio, si rifugiò nella sua casa di Polanesi, isolandosi per tre giorni, senza prendere cibo né dormire, secondo quanto dissero i contadini del luogo.

Il terzo giorno uscì per tornare a Genova a piedi sotto la pioggia, arrivando oltre la mezzanotte quando le porte della città erano chiuse. Passò la notte sdraiato nella spianata del Bisagno, ma al mattino rivelò una gioia, pur disperata, di aver composto l’epitalamio A un Angelo, in cui racchiudeva i suoi sentimenti di sincera disillusione, ma di propositi patriottici di elevata idealità, come si evince dalla penultima strofa, che «fu come un vaticinio della morte di entrambi».

 

La man di Dio ci separa;
Ognun di noi rovina,
Spinto da proprio turbine,
E per diversa china.
Dove si soffre e lacrima
Sarà la tua bandiera,
La mia – fra il sangue e il fremito –
dove si pugna e spera
Rivolti all’avvenir.
Pure il guerrier del Vero
Bella d’un gran pensiero
T’avrà nel suo sospir.
Oh già vicino è il Secolo
Che farà sacro il core,
E quanto dolce è all’anima
Non tornerà in dolore,
Dirà a voi pure, o povere
Schiave dell’uom, sorgete,
Chiamate al gran Battesimo,
Voi pur dal tempo siete
Di libertà e d’Amor
Splenderà alfine il Sole
Sovra l’umana prole
Ma sarà morto il fior!

«Chi poi conobbe la povera Geronima – concluse Giovanni Battista Mameli- pur troppo fu una crudele profezia. Io mi rammento d’averla sorpresa colle lacrime agli occhi in mezzo agli arazzi dei suoi salotti e del turbine dei balli. L’infelice sopravvisse due soli anni alla morte di Goffredo, l’ultimo suo sfogo era la pietà verso i miseri».

 

 

Bibliografia:

G. Mameli, Poesie d’Amore e di Guerra, a cura di Guido Davide Bonino, Rizzoli, Milano, 2010.

G.Airaldi, Goffredo Mameli poeta e guerriero, Salerno Editrice, Roma, 2019.

 

 

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