Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il brigantaggio nel salernitano

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Dopo l'annessione del regno delle Due Sicilie al Piemonte nel 1860 si sviluppò il fenomeno che impropriamente e genericamente fu definito "Brigantaggio".

Esso lungi dall'essere nato come mero fenomeno delinquenziale, fu una vicenda molto più complessa e oggetto di varia lettura e sotto diverse angolazioni di studio.

In sintesi briganti furono definiti i soldati sconfitti e sbandati del regno delle due Sicilie che, a differenza dei loro commilitoni, sfuggirono alla ghettizzazione nella prigione sabauda di Fenestrelle.

Tra questi soldati/briganti bisognava poi distinguere coloro che, pur senza avere ideali, non potevano tornare a casa perché disertori e quindi per sfuggire alla pena capitale si davano alla macchia; coloro che non avevano rinnegato il giuramento al loro re Francesco II e non erano passati nell'esercito piemontese preferendo combattere per onor di patria; coloro che,  reduci delle bande garibaldine, non furono ammessi nell'esercito meridionale ed erano anch'essi sbandati e delusi; soldati e avventurieri pagati dalla Corte in esilio a Roma o dalle iniziative che in Francia svolgeva il Duca della Grazia che reclutava uomini e contrabbandava armi da spedire nel Sud Italia.

 

Ma briganti erano anche  definiti coloro, contadini e piccoli artigiani, che pur non essendo soldati avevano inizialmente perorata e ben accolta la prospettiva unitaria e le promesse fatte loro nel periodo dittatoriale di distribuzione delle terre baronali e della abrogazione dei privilegi feudali ed ecclesiastici, ma che in breve erano rimasti delusi per le stesse parole che Giuseppe Tomasi aveva fatto dire al nobile Gattopardo: «tutto deve cambiare affinché le cose rimangano tali e quali.»

E di questo tutti se ne erano accorti.

Il Governo Piemontese affrontò con estremo rigore quella che fu chiamata la prima questione meridionale e gli anni 1861-1863 fino all'adozione ad agosto, della durissima legge Pica, furono certamente tra i più  duri e cruenti, stante anche l'impreparazione militare delle truppe piemontesi, supportate dalle orde della legione ungherese, ad affrontare la guerriglia in un ambiente impervio, ostile e poco adatto all'educazione dei fanti e dei bersaglieri usciti da caserme e scuole militari.

La provincia salernitana, specialmente nella zona del Cilento degli Alburni e dei Picentini fu uno dei territori più difficili da gestire e controllare.

A Salerno fu incaricato della repressione del brigantaggio, il trevigiano colonnello Carlo Alberto Radaelli (1820-1909) che aveva fama di uomo duro e deciso.

In gioventù era stato amico dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera e nel 1848-49 aveva partecipato attivamente all'insurrezione di Venezia contro gli Austriaci, partecipando alla battaglia di Mestre in cui fu ferito a morte Alessandro Poerio.

Nel 1860 era sceso con l'armata piemontese del generale Fanti ed aveva conquistato le Marche e l'Umbria e nel 1862 era a Salerno incaricato di reggere il comando militare della provincia.

Nel bando qui pubblicato con firma autografa, del 28 agosto 1862, indirizzato al sindaco di Fisciano (analogo bando fu trasmesso a tutti i sindaci) il comandante ordinava a tutti i cittadini «che non hanno legale autorizzazione» di consegnare le armi in loro possesso, pena la confisca delle stesse e l'arresto del detentore.

In virtù di un analogo proclama del Generale Alfonso La Marmora, fu chiaramente una misura preventiva e repressiva del brigantaggio, che proprio nel 1862 era molto diffuso e radicato nella provincia salernitana.

A confortare detta tesi, si pubblicano due originali documenti ufficiali dello stesso anno della Sotto Prefettura di Campagna relativi alla presenza di briganti nel territorio di San Gregorio Magno e di Romagnano.

 

 

 

 

 

 

 

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