Salvemini e la “teocrazia popolare” di Mazzini

Condividi

Gaetano SalveminiNell’Ottocento le idealità di Giuseppe Mazzini concernenti la libertà, l’Unità,  la repubblica, come anche  una certa  sensibilità verso le problematiche sociali, erano i suoi princìpi ampiamente riconosciuti  nel contesto del pensiero democratico italiano ed europeo.

Mazzini era l’apostolo dell’unità nazionale, a partire dalla sua adesione alla Carboneria e alla fondazione della Giovine Italia, a cui si affiliarono  tanti giovani, che presero parte  alle attività cospirative fino al  sacrificio estremo, in un  spirito di  fratellanza mirato al sacro dovere della conquista di quella Patria, che l’apostolo genovese aveva primariamente riconosciuto nella figura amata di Dante Alighieri.

Mazzini conobbe la “tempesta del dubbio” in cui si rivelava la disperazione per le sconfitte con conseguente sacrificio di tante giovani vite umane.  

Tuttavia, come evidenzia Denis Mack Smith, a quei giovani venivano offerti finalmente obiettivi concreti e chiari, «l’unificazione territoriale dell’Italia, la democrazia, una maggiore uguaglianza sociale, e la prospettiva dell’autodeterminazione per tutti i popoli europei».  

 

Partecipò alla Repubblica romana del 1849, apportando il suo considerevole contributo alla stesura della Costituzione.

Spesso esule, trovava consolazione nel sentirsi accomunato in quella condizione   a Dante e Foscolo.

Mazzini morì da clandestino in patria il 10 marzo del 1872. Intanto, nel 1860, negli anni determinanti per l’unificazione italiana, aveva pubblicato I Doveri dell’uomo, indirizzato “Agli operai italiani” in cui riassumeva, come evidenzia Giuseppe Galasso, «compiutamente i motivi della sua riflessione politica e morale, dalla patria alla giustizia sociale, dalla fratellanza all’educazione, dai diritti ai doveri».

Nei primi anni del Novecento, soprattutto quando I Doveri dell’uomo furono introdotti nel 1903 fra i testi per le scuole medie, in una edizione “espurgata”, nella quale erano stato convenientemente eliminati i passi antimonarchici e la dedica alle classi lavoratrici”, si avviò la riduzione “a brandelli”, come la definisce Simon Levis Sullam, del pensiero di Mazzini fino alla sua   appropriazione progressiva da parte del Fascismo.

Il regime fascista, tramite i suoi intellettuali, in primis Giovanni Gentile, e la stessa figura di Mussolini, operarono un’appropriazione del pensiero mazziniano “in chiave autoritaria e antidemocratica”, anche rilevando quelli che erano stati gli evidenti, continui e ovvi dissidi fra Mazzini e Marx.

Tuttavia, prima che il Fascismo ponesse in atto tale appropriazione, anche da parte degli storici antifascisti vi fu una interpretazione del suo pensiero, mirata in questo caso a sminuirne la completa valenza democratica, facendo soprattutto riferimento alle tesi esposte nei   Doveri dell’uomo.

Tra i più critici vi fu Gaetano Salvemini, il quale distingueva la funzione “rivoluzionaria” che Mazzini aveva rappresentato durante il lungo percorso che aveva portato all’ unificazione e il carattere “assolutamente conservatore” della sua teoria politica, come emergeva nel saggio sui Doveri dell’uomo.

Giuseppe MazziniAgli inizi del Novecento, Salvemini, pur essendo un grande ammiratore di Mazzini sul piano etico, definiva il mazzianesimo una “teocrazia popolare” nel testo più importante dedicato alla figura dell’apostolo genovese, ossia Il pensiero politico, religioso e sociale di Giuseppe Mazzini”, pubblicato nel 1905.

Riguardo alla religiosità presente nel suo pensiero, bisogna pur rilevare che Mazzini aveva già suscitato le critiche di Carlo Pisacane, prima dell’Unità, e del suo più intimo amico Alberto Mario negli anni postunitari.

Infatti Pisacane nei Saggi storici politici- militari sull’Italia, redatti tra il 1851 e il 1855, aveva scritto che «il fato di una nazione Mazzini nol cerca ne’ rapporti sociali e internazionali d’onde scaturiscono le guerre, le conquiste, le rivoluzioni, ma abbandona la terra e lo cerca in cielo».

Alberto Mario, che si riferiva a Mazzini in maniera intimamente  colloquiale, in una lettera a Francesco Campanella del 5 maggio 1863, ricordava che “Pippo” con cui si trovava sovente in disaccordo sulla questione religiosa,  durante la Repubblica romana del 1849 «fece esporre il suo Dio in sacramento a S. Pietro in Vaticano ad implorare l’ aiuto per la Repubblica Romana, e invitò, durante il periodo pasquale, l’ Assemblea costituente ad adorarlo nel santo sacrificio della messa».

Precedentemente al suo saggio più importante su Mazzini, in una lettera a Bissolati del 1903, Gaetano Salvemini aveva sottolineato che «quando si consideri il rapporto con il grande movimento scientifico e sociale europeo, Mazzini è un arretrato, è un conservatore: la sua filosofia è la filosofia di Chateaubriand e della Santa Alleanza».

Sempre in tale lettera, Salvemini si chiedeva, in rapporto al “Dio e Popolo” di Mazzini: «Il Dio mazziniano nebuloso e impalpabile, senza paradiso e soprattutto senza inferno, riuscirà nella lotta contro la classe proletaria meglio che non sia riuscito il Dio cattolico […] Il dovere mazziniano soffocherà i diritti che prorompono dalla suggestione rinnovatrice dell’industrialismo trionfatore?».

In seguito Salvemini approfondiva tali sue considerazioni, evidenziando che Giuseppe Mazzini, pur appartenendo alla democrazia, ma oppositore del socialismo, era da collocare anche lui in quella «vasta ondata di misticismo che aveva caratterizzato il pensiero europeo della prima metà del XIX secolo».

Per Salvemini si poneva la seria questione, il rischio che «la repubblica democratica unitaria emanante dal popolo» potesse apparire come una «nuova teocrazia dogmatica», seppur elettiva. 

Simon Levi Sullam evidenzia che il giudizio finale di Gaetano Salvemini, a tal riguardo, si mostrava quindi inequivocabile: «il mazzianesimo contraddiceva pericolosamente fondamentali conquiste del pensiero politico moderno»,  soprattutto in relazione a quel «suo Popolo interprete della divina volontà».

Nel saggio sul pensiero politico, religioso e sociale di Mazzini Salvemini era altresì diretto nell’esprimere che l’anteposizione dei Doveri ai diritti e massime quali Dio e Popolo erano da considerarsi pericolose, in quanto «deriverebbe a fil di logica l’annullamento di ogni libertà».

In un insieme ibrido e composito del pensiero di Mazzini, osservava ancora Salvemini, «ciascuno attingeva e adottava quelle parti che corrispondevano al proprio stato d’animo, e trascurava o non comprendeva il resto».

In tal modo l’unità, la repubblica, il popolo, Dio, il dovere, la missione dell’Italia, la terza Roma, «divisi l’uno dall’altro e divelti tutti dal tronco» rischiavano di assumere anche per i suoi stessi seguaci significati diversi e a volte opposti all’autenticità del suo pensiero.  

In effetti, emergeva nelle preoccupazioni di Salvemini il rilievo che il concetto di nazionalità avrebbe potuto essere frainteso e assumere conseguentemente il significato di un nazionalismo autoritario.

Come rileva Simon Levis Sullam, negli anni successivi, segnatamente nelle sue lezioni all’Università popolare di Firenze del 1922-23, lo storico Salvemini denunciava la “disgrazia” che il pensiero di Mazzini era stato fatto proprio «dai nazionalisti e gli imperialisti di casa nostra», i quali, isolando parti dell’insieme delle idee mazziniane, «hanno fatto di Mazzini uno di loro, perché Mazzini fa dell’Italia e di Roma il centro dell’umanità».

Tuttavia, già a metà degli anni trenta del Novecento, artefice di una decisa rivalutazione di Mazzini nell’ambito dell’antifascismo fu Luigi Salvatorelli, il quale, reagendo all’interpretazione di Giovanni Gentile, collegava in maniera irrinunciabile i concetti di patria e libertà, scrivendo che «essi erano per Mazzini termini imprescindibili e che si trattava di un rapporto intimo fra amor patrio e libertà dell’individuo».

In anni più recenti è stato Giuseppe Galasso a rimarcare, in relazione ai Doveri dell’uomo, che, se in tale opera emerge un «confuso pensiero teologizzante, anche con qualche tendenza misticheggiante», purtuttavia «il dovere mazziniano presuppone la libertà, senza la quale non esiste vita morale, né fratellanza e associazione, e quindi neppure vita sociale degna dell’uomo. Per Mazzini ogni governo deve essere anche per ciò un’espressione della volontà popolare, sottoposta al giudizio di tutti».

 

Bibliografia:

G. Salvemini, Il pensiero politico, religioso e sociale di Giuseppe Mazzini, Libreria editrice Antonio Trimarchi- Messina, 1905

D. Mack Smith, Mazzini. L’uomo, il pensatore, il rivoluzionario, Rizzoli, Milano, 1993.

S. Levis Sullam, L’apostolo a brandelli. L’eredità di Mazzini tra Risorgimento e Fascismo, Laterza, Bari, 2010.

S. Levis Sullam, Mazzini profeta del Risorgimento e del fascismo? in «Antirisorgimento. Appropriazioni, critiche, delegittimazioni» a cura di Maria Pina Casalena, Bologna, 2013.

G. Galasso, L’Italia Nuova per la storia del Risorgimento e dell’Italia unita, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2013.

 

 

Statistiche

Utenti registrati
137
Articoli
3178
Web Links
6
Visite agli articoli
15294393

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 946 visitatori e nessun utente online