Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Cesare di Primo Levi

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Nel corso della breve intervista che Samuele Perugia (Lello), conosciuto come  il Cesare nell’opera di Primo Levi La Tregua, concesse a Fulvio Canetti, emergono tre interrogativi inquietanti, che vengono riproposti con una ricostruzione semplice e piena di sensibilità. E' difficile  per l'intervistato dare una risposta definitiva ai tre quesiti, volendo essere più un invito alla riflessione sulla tragedia umana della Shoà, che possa alla fine condurre i carnefici ad un sincero pentimento (teshuvà).

1- Perché i nazisti volevano far scomparire il popolo ebraico dalla storia del mondo?

In risposta alla sua stessa domanda, Lello osserva che questa volontà fu davvero qualcosa di diabolico, che va osservata con gli occhi dell'anima per trovare una spiegazione confacente alle aspettative umane. Di certo la volontà di commettere un genocidio non è prerogativa dell'universo nazista, se

ricordiamo il recente genocidio degli Armeni da parte dei Turchi. Tuttavia nella storia non esistono casi assimilibali alla ''soluzione finale'' progettata dal Nazismo contro gli ebrei, che durante il loro bimillenario esilio hanno saputo integrarsi e assimilarsi per sopravvivere. A meno che la moderna idea di genocidio non riguardi la volontà di cancellare dalla storia i propri nemici finanziari.

Ma anche in questo caso il progetto nazista della soluzione finale, avrebbe il crisma dell'unicità, in quanto gli ebrei tedeschi si sentivano parte integrante del popolo tedesco. Una possibile spiegazione che Lello fa intravedere, rimane confinata in campo spirituale, dove elementi di carattere religioso, insiti nell'inconscio collettivo del mondo cristiano, siano stati fatti emergere dalla micidiale dottrina nazista.

 

2- Perché il colonnello delle SS Kappler chiese alla Comunità di Roma cinquanta chili d'oro per scongiurare la sua deportazione nei Lager?

Secondo l'interpretazione di Lello, Kappler fu ispirato dal demone del male, che albergava nella sua anima nera. Il parametro 50  nella Tradizione ebraica è quello della luce, in questo caso ''oscura'', a cui Lello, che era un combattente laico, aggiunge qualcosa su cui bisogna mettere il punto (daghesh).

Sua madre Emma era contraria a consegnare quei 50 chili d'oro al signor Kappler, il cui ricavato in denaro sarebbe dovuto servire ad acquistare armi, per combattere i nazisti. Decisione questa oculata e lungimirante, ma che venne subito fatta abortire dagli ebrei, nella speranza che il carnefice sarebbe stato clemente.

3- Perchè la deportazione in massa degli ebrei, è avvenuta senza reazione?

Avendo Lello combattuto nelle formazioni partigiane Liberty, apparve ai suoi occhi inconcepibile lasciarsi massacrare, senza opporre alcuna resistenza. I dirigenti della Comunità ebraica, accettarono per buone le promesse di Kappler, scegliendo di pagare in cambio di aver salva la vita. Alla raccolta dell'oro partecipò anche il Vaticano, invece di condannare la richiesta criminale del tenente colonnello delle SS.

Il sommo Pontefice tenne la bocca cucita, pur sapendo cosa accadeva nei Lager nazisti di sterminio. Difatti  la deportazione degli ebrei di Roma avvenne alcuni giorni dopo, le cui responsabilità vanno attribuite  ai Poteri forti, che in questa circostanza drammatica, restarono in silenzio. [Sergio Magaldi]

 

 

L'intervista

 

Ho incontrato Lello Perugia nella sua abitazione romana insieme al suo cane Ugo, che stava tranquillo accanto a noi, come se volesse ascoltare le memorie del suo padrone.Ecco come  viene descritto da Primo Levi nel romanzo La Tregua:

''Cesare (Lello) invece lo conoscevo appena, perché era arrivato alla Buna da Birkenau pochi mesi prima. Mi chiese acqua prima che cibo. Acqua perché da tre giorni non beveva. La febbre lo bruciava e la dissenteria lo svuotava. Gliene portai insieme agli avanzi della nostra minestra e non sapevo di porre così le basi di una lunga e singolare amicizia.''

Lello Perugia, combattente ebreo, dopo gli insuccessi della Resistenza romana nella battaglia di Porta san Paolo, abbandonò la città di Roma per far parte delle formazioni partigiane Liberty, che operavano nel territorio dell'Appennino abruzzese, con azioni di sabotaggio contro le truppe di occupazione tedesche.

Durante un attacco ad alcuni convogli sulla via Marsicana, Lello venne catturato e rinchiuso nel vicino carcere di Borgocollefegato.

Nell'Aprile del 1944, ad un mese di distanza dalla strage delle fosse Ardeatine- mi dice Lello- venni trasferito nella prigione romana di via Tasso, luogo tristemente famoso per le crudeltà compiute dalle SS  ai comandi del tenete colonnello  Herbert Kappler. Il palazzo di via Tasso, proprietà del conte Ruspoli, nobile cattolico colluso con il Nazismo, venne adibito a prigione dove potevano mettere piede le SS tedesche e i fascisti repubblichini italiani, che fornivano spiate sulla organizzazione della Resistenza romana.

L'edificio, affittato dall'Ambascita tedesca,  divenne la sede degli addetti militari e della polizia nazista (Gestapo) in collaborazione con il Ministero degli interni fascista. La trasformazione di palazzo Ruspoli in prigione, venne organizzata e fatta eseguire in modo sbrigativo da Kappler.

Le finestre vennero ridotte di dimensioni (bocche di lupo), permettendo appena il passaggio d'aria necessaria  ai detenuti, mentre le stanze furono convertite in celle destinate  alla loro segregazione.

Le condizioni dei prigionieri erano disumane secondo le testimonianze del dottor Cardente a causa delle torture a loro inflitte, nonchè per le precarie condizioni igienico-sanitarie. Nella primavera del 1944 in seguito ad un forte affollamento del carcere di via Tasso, Lello venne trasferito a Regina Coeli, dove la Gestapo, venuta a conoscenza della sua identità ebraica, emise l'ordine di deportazione in Germania, nel Lager di sterminio di Auschwitz. 

''Alles Juden!'' sentii risuonare nelle mie orecchie mentre salivo la rampa di Auschwitz. Era il grido della SS, che ordinava agli ebrei appena arrivati, di mettesi in fila per la selezione tra coloro che dovevano morire e coloro che restavano in vita come schiavi momentanei del Reich tedesco.

Era un potente grido di richiamo, che veniva dalla parte oscura del carnefice, a cui gli ebrei erano obbligati ad ubbidire.

Arrivato che fui di fronte all'angelo della morte (Mengele), venni graziato forse per i miei occhi azzurri e spedito come un pacco postale verso un tavolo, dove una SS mi incise sul braccio  un numero: A15803. Ricevetti anche un pigiama a righe provvisto di cappello, degli zoccoli e una gavetta con cucchiaio, necessari per la sopravvivenza nel campo.

Una volta sistemato nella baracca, la prima cosa che feci fu quella di mettermi alla ricerca dei miei due fratelli deportati con la retata nel ghetto di Roma del 16 Ottobre '43. Riuscii a parlare attraverso un reticolato con Settimia Spizzichino. Mi disse che erano già passati per il camino e ora riposavano tra le nubi del cielo di Auschwitz. Fu un tremendo avvertimento!

Restai nel Lager per qualche mese. Ogni mattina, dopo appelli estenuanti, accompagnati dalle note della banda del campo e inquadrati dalle SS, si andava a compiere lavori pesanti per la  costruzione di baracche, necessarie ad ''ospitare'' i nuovi  deportati. Mentre  ascoltavo la fastidiosa musica, sento la voce di una ragazza che gridava:''Papà! Papà!'' Chiamava il padre, che era nella banda musicale, per avere un aiuto.

La giovane donna era sopra  un camion diretto verso la camera a gas e credeva che il suo papà avrebbe potuta aiutarla. Ma nulla, nemmeno un saluto d'addio! Il babbo continuò a suonare il suo maledetto strumento, indifferente al grido di aiuto della figliola, perché immerso nel totale abrutimento della micidiale e disumana realtà del Lager di sterminio nazista.

Nella baracca, non lontana dal terzo crematorio-continua Lello-conobbi un ebreo di Fiume, un certo Slesinger, il cui babbo era addetto allo sonder-commando del terzo crematorio, dove venivano bruciati i corpi assassinati nella camera a gas. Slesinger mi raccontò alcune cose  allucinanti.

Appena giunto ad Auschwitz, insieme ad altri detenuti, fu oggetto di un esperimento crudele. Il medico SS iniettò nel suo sangue il bacillo del tifo petecchiale, che gli  causò  un coma profondo e febbre elevata. Egli insieme ad altre due cavie, riuscì a sopravvivere al disumano esperimento. Il suo nome era Luigi, ma veniva chiamato Gigi per amicizia, alcune volte interessata, perché il padre, che lavorava nello Sonder-commando, ogni tanto gli faceva recapitare qualche pezzo di pane, che Gigi divideva con me, mentre mi raccontava cosa accadeva nel crematorio.     

Un giorno dopo la gassassione di un gruppo di deportate ebree dall'Ucraina, dopo aver con potenti ventilatori aereato la camera a gas, dove tutti erano morti, si sentì il vagito di un neonato.  ''Come mai è possibile una cosa simile'', si chiese mio padre? Il gas Zykhlon B avrebbe dovuto soffocare tutti!

Il neonato che piangeva, si era salvato grazie al latte che stava bevendo dalla mammella di sua madre. Difatti il gas prodotto dalla Farben tedesca in quantità industriali  per l'occasione, è inefficace quando viene in contatto con ambienti umidi come la bocca del neonato, che era piena del latte materno. Incredibile! Mio padre allora prese il bambino e chiese alla SS  di guardia cosa ne avrebbe dovuto fare.

La risposta fu allucinante: la SS estrasse la sua pistola dalla fondina, sparò a bruciapelo al neonato mentre ancora piangeva, ordinando a mio padre di gettarlo nel mucchio dei cadaveri da portare al piano superiore per essere bruciato insieme agli altri.

Questo episodio disumano e crudele, dette forza  ai componenti del Sondor-commando per accelerare i preparativi  della rivolta, che stava bruciando sotto la cenere degli ebrei assassinati. Mio padre - continua Gigi - aveva rapporti con dei polacchi cristiani  doppiogiochisti,  che badavano solo al loro guadagno, derivante dagli oggetti d' oro oppure di preziosi, che quelli del Sonder - commando riuscivano a trovare  tra le pieghe dei loro corpi moerti, aggirando la sorveglianza delle SS. Usavano questa ricchezza  come merce di scambio per avere dai polacchi materiale esplosivo (dinamite) per far saltare in aria  tutto il crematorio, e ritardare le gassazzioni nella speranza che qualche aiuto arrivasse.

Gli aerei alleati che partivano dall'Inghilterra-aggiunge Gigi- andavano a bombardare la Buna, luogo di produzione della gomma sintetica situato nelle vicinanze di Auschwitz, mentre nessuna bomba veniva sganciata  sopra i quattro crematori del Lager. Gli appartenenti al Sonder-commando, riuscirono a piazzare la dinamite sotto il terzo crematorio, che  venne  danneggiato, mentre  i rivoltosi, mio padre compreso, furono tutti passati per le armi da un plotone di SS sempre pronto e disponibile.

Nell'ascoltare queste memorie, mi ritornarono alle mie orecchie gli spari dei mitra tedeschi, quando insieme alla mia famiglia eravamo fuggiti dalla guerra, per trovare riparo sulle montagne d'Abruzzo. Era il nostro un casolare dove fui testimone delle atrocità delle SS tedesche. Uccisero a sangue freddo un ufficiale dell'esercito britannico, paracadutato forse per errore in quelle zone.

Abbandonarono il suo corpo privo di vita sulla strada adiacente alla nostra abitazione, mentre una persona pietosa ricopriva il soldato con un bianco lenzuolo, che divenne subito maculato. Senza motivo, verso l'imbrunire, si presentarono sull'uscio di casa un ufficiale SS e un interprete accompgnato da un soldato che teneva un cane al guinzaglio. Cosa stavano cercando? Chiedevano alla popolazione del luogo se tra di loro fossero presenti degli ebrei. Incredibile!

A quel tempo i tedeschi erano in procinto di perdere la guerra e cercavano gli ebrei in un paesino sperduto sulle montagne dell'Abruzzo. Domandavano agli anziani del posto i nomi degli Evangelisti. Mio nonno non ne sapeva nulla. Stavano per arrestarlo, quando spuntò una giovane contadina di nome Malvina che sciolse il problema. ''Questo signore è mio padre -disse all'interprete- che non ricorda bene, perché è vecchio. Posso parlare per lui''. Venne ascoltata e da buona cristiana che era, non ebbe difficoltà a rispondere alla loro domanda.

Lello mi vide distratto e mi chiese se stavo sognando. ''Si -gli risposi-mentre il suo racconto mi aiutava a scavare nella memoria,  rivedendo la grotta e la  tana kafkiana che in questa mi ero ritagliato. La grotta fu la nostra prima abitazione e per diversi mesi, sulle colline dell'Abruzzo.

Era un ottimo rifugio contro i bombardamenti aerei ed era possibile soggiornarvi, considerate le temperature autunnali poco rigide. Ero riuscito a costruire in un angolo della grotta, con l'aiuto del piccolo Cerrone, una tana, dove giocavo al dottore con la mia piccola amica di nome Anna. La penombra della grotta era una nostra alleata: creava una separazione con il resto, permettendo a noi due un'intimità nel gioco, che mi arrecava piacere e tanta felicità, in barba alla violenza della guerra.

Ricordo ancora quando Silvio il muratore tolse lo stecconato che limitava la tana, per estrarre al di sotto di questa un baule, dove la mia mamma (z.l.) aveva interrato la sua ricchezza ricevuta in dono nel giorno delle nozze: stoffe pregiate, vasellame prezioso e monete di valore. Mentre Silvio con delle corde ben assestate, cercava di portare il baule in superfice, un signore presente alla cerimonia disse:''

Di chi è quel baule?'' Mio-rispose -la mamma. Non vede che il coperchio riporta il nome Noga?'' Visibilmente a disagio  il signore rifiutò qualsiasi commento, allontanandosi con un fare minaccioso. Avrebbe forse voluto appropiarsi del suo contenuto, ma il coraggio di mia madre nel rispondere, gli chiuse la bocca e per sempre.

Lello continuava ad accarezzare il suo Ugo, che stava buono e accovacciato ai suoi piedi, mentre Fulvio smetteva di sognare per tornare ad ascoltare le sue parole.

Era sulla fine dell'estate -riprende Lello-che venni trasferito a Monowitz alla Buna, piccolo Lager per la produzione della gomma sintetica, necessaria a sostenere la guerra del terzo Reich tedesco. In questa succursale di Auschwitz incontrai Primo Levi e il medico Leonardo De Benedetti, entrambi della Comunità ebraica di Torino. Si formò un piccolo gruppo di ebrei italiani e verso il tramonto era possibile incontrarci, essendo alla Buna il controllo delle SS meno rigido.

Leonardo raccontò tra la nostra incredulità, una sua storia a dir poco miracolosa. Alcuni giorni prima era caduto nel gruppo dei selezionati per la camera a gas. Ebbe il coraggio di uscire da questa , trovando la forza di dire a Mengele:'' Ich bin Arzt!'' (Sono un dottore). Per questo venne graziato e spedito alla Buna come lavoratore coatto.

Il senso dell'umorismo anche in quelle circostanze drammatiche non veniva meno. All'avvicinarsi della sera, mentre ero sul pianerottolo a discorrere con loro, venni colto da un forte stimolo ad urinare e dissi con naturalezza: ''Scusate, ma vado a pisciare''.

Giulio Jona direttore del banco san Paolo di Torino, mi riprese con tatto dicendomi:'' Non si dice pisciare bensì mingere!'' Umorismo ebraico a parte, stava per iniziare il terribile inverno polacco ed era la prima volta in vita mia che affrontavo un freddo polare. Mi sentivo stremato, avevo poche forze e la fame era la mia inseparabile compagna.

Ogni tanto rincorrero i cani delle SS per racimolare qualche briciola di pane che cadeva dalle loro bocche. Il lavoro coatto bruciava tutte le mie energie e mi resi conto che avrei dovuto inventare qualcosa per riuscire a sopravvivere.

Dissi alla SS di turno della mia baracca, che soffrivo di dissenteria e volevo recarmi nell'infermeria per chiedere una visita medica. Non mi credette. Mi condusse anvece lla latrina più vicina per accertarsi sulla veridicità della mia richiesta. Entrai nella latrina, accostando la porta per essere visto e gettai nella raccolta per gli escrementi della sabbia gialla antincendio, che avevo nascosto nelle mie tasche.

Uscii dal macomme fingendo di sistemarmi il pantalone-pigiama, mentre la SS andava a controllare. Il trucco funzionò. Mi permise di andare nell'infermeria, dove incontrai Primo Levi, affetto da una fastidiosa malattia della pelle. Restammo tappati nel Ka Be, ignorando cosa fuori stava accadendo. Si udiva il sibilo delle granate lanciate dall'Armata Rossa, che vittoriosa avanzava per regolare i conti con il super-uomo tedesco. Pensammo allora che la tanto sospirata liberazione fosse vicina.

Tirai inavvertitamente un sospiro di sollievo nell'ascoltare questo racconto. Fu anche per me una liberazione dalla mia angoscia, che ancora portavo dentro.  Mi ricordai  della grotta, da dove udivo il fischio  dei proiettili provenienti dal fronte di Montecassino, sfondato dai soldati marocchini al comando del generale Jouin.

La zia Silvana, sorella della mamma, mi faceva il verso del fischio, per togliermi e togliersi la paura. Qualche proiettile sarebbe potuto cadere nelle vicinanze della nostra grotta, cosa questa che grazie a D-o non accadde. Al rombo del cannone arrivarono durante la notte i primi soldati dell'esercito alleato, insieme ai loro muli, che trasportavano armi e vettovaglie.  Presero d'assalto il pozzo della famiglia Cerrone per abbeverare le loro bestie e pur essendo armati fino ai denti, non incutevano timore a nessuno.

Ricordo bene questa situazione a differenza di quella dei soldati tedeschi della Herman Goering Division, che pur girando disarmati nella nostra contrada, davano a noi bambini, paura e terrore. Erano stati programmati per distruggere tutto ciò che non apparteneva al disumano super-uomo teutonico,  che aveva costruito sul sangue e sulla razza una ideologia di morte per colpire tutti gli altri popoli della terra.

Lello sembrava leggermi nel pensiero, tanto era la nostra affinità nel detestare questo mostro che ha provocato lo sterminio di milioni e milioni di esseri umani. Erano demoni comandati da altri demoni oppure da D-o stesso? Finora è stato impossibile rispondere a questa domanda dal sapore metafisico.

 

 

La liberazione

 

Era il 25 del mese di Gennaio del 1945 (5706 anno della luce) quando il Lager di Auschwitz venne liberato dai valorosi soldati  dell'Armata Rossa. Era un Sabato (Shabat) e in tutte le sinagoghe del mondo libero si leggeva la parashà di Beshallah, un paragrafo della Bibbia ebraica, riguardante l'obbligo di cancellare il nome di Amalek di sotto il cielo, come sta scritto. Il Signore disse a Moshè : ''Scrivi in un libro il ricordo di questo grande avvenimento e trasmettilo oralmente a Giosuè perché I-o ho stabilito di cancellare il ricordo di Amalek di sotto il cielo''. (Es 17,14)

Chi era Amalek? Un discendente di Esaù, nato da una relazione proibita (adulterio), che è riuscito a formare una tribù di individui reticenti al pentimento (teshuvà) e pertanto impossibile da integrare nel processo di Redenzione(Gheullà).  Amalek attaccò il popolo ebraico nel deserto del Sinài nelle sue retrovie cioè nella sua parte più debole, per impedire a questo di raggiungere la terra Promessa.

L'abbinamento con i nazisti pertanto appare evidente. Il grande ''avvenimento'' di cui parla la Torà è la vittoria del popolo ebraico contro l'aggressione di Amalek, mentre il grande avvenimento a cui oggi stiamo assistendo, è la liberazione di Auschiwtz con la disfatta del Nazismo.

Il genocidio degli ebrei d'Europa è iniziato subito dopo l'incontro di Hitler(un cristiano) con il Gran mufti Hamin(un musulmano) a Berlino nel novembre del 1941, che oggi, facendo i dovuti distinguo, potrebbe somigliare all'incontro di Papa Bergoglio con il Gran mufti Al Tayyeb.

Cosa mai si son detti   Hitler e Hamin durante il loro funesto incontro? Hitler  voleva liberarsi degli ebrei anche spedendo costoro in Palestina, a cui si oppose il mufti Amin, che con zelo jiadista stava già massacrando i pochi ebrei presenti in Terra Santa. Sarebbe stato un grosso dono fatto agli ebrei, quello di invaire costoro in Palestina, per cui l'unica soluzione fu ''la soluzione finale'', decisa  a Wansee (Berlino) dal Ghota nazista, a soli pochi mesi di distanza (Gennaio 1942) dall'incontro dei due demoni del male.

Il gran mufti di Gerusalemme promette a Hitler aiuti e collaborazione, creando una divisione di SS musulmane che avrebbe agito nel territorio della Bosnia-Erzegovina nel catturare gli ebrei, assassinarli sul posto oppure spedirli, con carri bestiami, nei diversi Lager di sterminio nazisti funzionanti nell'Europa orientale.

Uscii insieme a Primo dall'infermeria-continua Lello- quando ai nostri occhi si presentò uno spettacolo allucinante: cumuli di cadaveri sparpagliati ovunque, accompagnati da un odore nauseabondo dovuto a resti umani lasciati a bruciare dalle SS in fuga. Avvolto con una coperta presa dall'infermeria, mi sedetti accanto ad una baracca per ripararmi dal freddo e avere  un attimo di tregua per riflettere sulla tragedia vissuta.

Lungi dal fare teorie metafisiche, che non spiegherebbero nulla, punto il dito sulle responsabilità umane, legate all'indifferenza di molti, ai silenzi di pochi e alle connivenze di classe con il  Nazi-fascismo. Il Lager di Auschwitz fu in procinto di annientare la mia identità di uomo combattente per la libertà, a causa  della forza del male che riusciva a sprigionare, riuscendo con la sua gravità, a fermare  il tempo. Sono stato in questo maledetto campo della morte per circa sette mesi, sembrandomi una eternità.

Le stimolanti parole di Lello, misero in moto  la mia memoria, che mi riportò al tragico passato della guerra. Ero sul pianerottolo della mia abitazione, intento a giocare con Anna, quando sentii un grido disperato di una giovane donna, il cui volto stava prendendo fuoco. Restai basito, mentre un odore ripugnante di capelli e pelle bruciata si spandeva nell'aria. Cosa stava accadendo?

Una giovane donna di nome Anita era sul ciglio della strada bianca carrozzabile per chiedere  qualcosa da mangiare a dei soldati tedeschi, alloggiati nell'abitazione adiacente.

Dopo la sua richiesta, vidi uscire un soldato da un grosso portone, avvicinarsi alla donna e gettarle qualcosa sul viso. Era nafta non pane, per cui il suo volto prese fuoco. Le grida piene di dolore raggiunsero subito le nostre orecchie, mentre la giovane donna venne presa da qualcuno e gettata in una vasca piena d'acqua, che spense il fuoco.

Ancora oggi si possono vedere le cicatrici presenti sul volto di questa donna, testimoni di una barbarie mai conosciuta prima dal genere umano. E' sconcertante come la Germania, una Nazione progredita sia in campo scientifico che civile, abbia potuto barattare la sua democrazia (Weimar),con la crudele e spietata dittatura nazista.

E' davvero incomprensibile -riprende Lello- Nonostante sia un ateo, qualche  dubbio sull'esistenza di un disegno di D-o nella storia del mondo, ogni tanto fa capolino tra le pieghe della mia mente. E' difficile trovare una spiegazione sul fatto che Hitler, un caporale dell'esercito tedesco, sia potuto arrivare alle vette del Potere in questa Germania, con un programma apertamente antisemita e liberticida.

Dobbiamo caro Fulvio, prendere atto che questi demoni spuntano ogni qualvota gli ebrei godono di una certa agiatezza e libertà. Gettiamo uno sguardo sulla storia. In terra d'Egitto, per merito di Giuseppe, gli ebrei godevano di benessere e autonomia. Con l'arrivo al trono del nuovo Faraone, che non aveva conosciuto Giuseppe, la realtà cambiò drasticamente. Gli ebrei vennero accusati di un fantomatico  tradimento, alleandosi con Nazioni straniere contro l'Egitto. Come è fattibile un simile tradimento? Gli ebrei stavano bene, per cui avrebbero protetto l'Egitto in caso di guerra, mai tradito!

E' un copione che si ripeterà nei secoli fino ai nostri giorni. Chi non conosce il caso Dreyfus? Un capitano ebreo dell'esercito francese, Alfred Dreyfus, viene accusato di tradimento dalla giustizia trans-alpina, degradato pubblicamente e condannato al carcere duro. E  la Shoà, caro amico che mi ascolti, dove la mettiamo?

Lo Stato maggiore tedesco nella persona del generale Ludendorff, avendo perso la guerra per sue incapacità, accusò gli ebrei di tradimento, quando costoro erano stati in prima fila a difendere la Germania del Kaiser Guglielmo II°.  

L'infame generale aveva sempre l'ultima parola sulle strategie militari della guerra, imponendosi persino sul suo diretto superiore, von Hindenburg. Ebbe l'idea peregrina di inviare Lenin in Russia per scatenare una rivoluzione, in modo da  chiudere il fronte orientale tedesco, che costò agli italiani la disfatta di Caporetto.  

A guerra perduta Ludendorff  creò la leggenda (presa in prestito dai Protocolli), secondo cui a determinare la sconfitta della Germania sarebbe stata una cospirazione ordita dal popolo ebraico. Alleato e sponsor di Adolf Hitler, promosse la nascita del partito nazista, sostenendo la necessità di una nuova guerra mondiale, che il caporale austriaco, osannato dai Tedeschi, sposò e portò in porto fino al suo suicidio nel bunker di Berlino.

Mi dispiace-dice Lello- che non è presente con noi Primo, che sicuramente avrebbe qualcosa da aggiungere. Ho nominato Levi perché tempo fa mi ha scritto una lettera riguardante  il contenzioso con la industria farmaceutica Farben tedesca oggi Bayer, sul gas Zyklon B. La ditta vendeva impunemente al terzo Reich, quantità industriali di questo gas letale, facendo lauti guadagni sulla vita di esseri umani, che venivano assassinati nelle camere a gas.

Oggi un tribunale tedesco, per sbiancare i crimini commessi durante la Shoà, ha condannato la Farben-Bayer per collaborazione con il nazismo, obbligandola a risarcire in modo simbolico, le vittime gassate nei Lager tedeschi. Lello mi mostra la lettera di Primo, chiedendomi se oggi qualcosa sia cambiato. Non credo-gli risposi- constatando l'ostilità portata avanti contro  lo Stato d'Israele dalla Società delle Nazioni  (ONU) nel trovare un assetto di pace e prosperità con i suoi vicini.

Su trenta condanne inflitte agli Stati del pianeta dalla commissione Giustizia ONU, per violazione dei diritti umani, venticinque riguardano solo Isreaele, mentre le altre cinque condanne (specchietto per le allodole) sono state sparpagliate, con il contagocce, tra le diverse Nazioni del mondo.      E' credibile una simile storia?

Al primo sentore dell'arrivo imminente dell'Armata Rossa, le SS erano fuggite. Smontate che ebbero  in tutta fretta le finte docce della camera a gas per eliminare ogni traccia dei loro orribili crimini commessi contro l'Umanità, dettero inizio alla marce della morte. I prigionieri già malandati e sfiniti che cadevano nella neve, incapaci di proseguire il cammino, venivano assassinati sul posto con un colpo di pistola alla nuca, come raccontano alcuni testimoni appartenenti al Sonder-commando di Auschwitz. Bruno Venezia, che era uno di questi, si ero mescolato con gli altri deportati nella confusione generale.

Le SS cercavano costoro con ogni mezzo, perché sapevano bene che erano i veri testimoni delle loro nefandezze. Chiedevano spesso chi tra di loro fosse appartenuto al Sonder-commando, per farli tacere per sempre. Bruno non cascò in questa trappola, conoscendo bene il sistema di morte che i nazisti riservavano ai prigionieri, ed avendo la forza di marciare, perché ben nutrito, arrivò nei pressi di Matahusen, dove venne liberato dagli Alleati.

Lello e Primo, rimasti nascosti nel Ka-Be, ebbero maggiore fortuna. Liberati dai sovietici, furono trasferiti a Katowice, dove esisteva un campo di raccolta per i soldati  dell' Armata italiana in Russia (Armir), come  prigionieri di guerra, voluta dal governo fascista di Mussolini. La grande steppa russa diventò un cimitero per i nostri soldati, che affondavano nella neve sfiniti dal freddo e dalla fame.

Katowice è una cittadina del sud della Polonia, capitale dell'alta Slesia, dove verso la metà del 19° secolo, in virtù delle sue ricchezze minerarie, venne industrializzata e provvista di una rete ferroviaria per gli scambi commerciali.

Nel 1939  Katowice venne occupata dalle truppe tedesche della Wehrmacht, che in collaborazione con le SS, nella parte orientale del suo territorio,  costruirono diversi Lager per sterminare gli ebrei.

A Katowice-dice Lello- cominciai a stare meglio. I sovietici offrivano ai prigionieri un vitto adeguato alle loro esigenze causate dalla fame insieme ad un alloggio confortevole ed umano. Si era alla periferia della città, in una fattoria agricola collettiva, conosciuta come kolkhoz sovietico, simile ad un kibbuz israeliano.

La mia salute presto migliorò a tal punto che riuscii ad avere anche un'avventura erotica con una ''segnorina'' polacca. Ne fui molto contento perché credevo che la permanenza nel lager di Auschwitz mi avesse in qualche modo danneggiato.

Questa mia gioia venne condivisa anche da Levi e dal gruppo, che manteneva il segreto sulle mie lunghe assenze dal campo, senza fare denuncie alle guardie sovietiche, che gestivano il campo.  Dopo la quiete la tempesta. Si alzarono venti di guerra tra l'Unione Sovietica di Stalin e l'Occidente di Truman a Potsdam in Germania, dove si ritrovarono i vincitori della seconda guerra mondiale. Discussero sulle frontiere della nuova Europa liberata dal Nazismo, sui risarcimenti dovuti dalla Germania per i danni di guerra e sulla conduzione delle ostilità nel Pacifico ancora in corso.

La conferenza oltre alla presenza di Curchill, Truman e Stalin, ebbe un convitato di pietra, cioè la prima bomba atomica della storia, collaudata dagli USA nel deserto del Nuovo Messico.

Le dure parole di Truman contro il Giappone, con cui era ancora in guerra, erano rivolte anche al signor Stalin, che stava preparando un piano per mettere  piede sull'intera Europa. L'esplosione della bomba nucleare su Hiroshima,avvenuta qualche giorno dopo la conferenza di Potsdam, segnò la fine delle ambizioni di Stalin e l'inizio della ''guerra fredda''.

I sovietici  continuarono le preparazioni  militari e pretesero di unirmi a loro  per armare la katyusha, considerata la mia esperienza  come partigiano. Ero palesemente stanco e mi nascosi in un deposito di legna per sfuggire alla cattura.

Venni scoperto e condotto sul posto di combattimento, dove restai per qualche giorno. Barattai allora la mia pagnotta con due sigari, di cui uno venne subito ingoiato, mentre l'altro, lascito macerare  nell'acqua, fu messo tutta la notte nel cavo ascellare.

Al mattino seguente febbre alta con vomito, accompagnata da coliche addominali, furono sufficienti per restare a letto, finchè l'intossicazione da tabagismo non venisse smaltita. Tornato a Katowice Primo fece in modo da farmi sistemare nella sua camera e da allora, non ci separammo più fino al nostro viaggio di ritorno.

Chiesi a Levi-continua Lello- di venire con me in città e precisamente al mercato, dove erano sistemate le bancarelle della frutta. Assaggiai una fragola, poi ancora un'altra, e così via, invitando Primo a fare ugualmente per vincere la nostra fame ossessiva. Non era questo l'argomento principale di cui volevo parlare con lui, bensì  dell'attività commerciale che stavo mettendo  in piedi  con un ex-deportato greco, conosciuto nel Kolkhoz.

Presi da questo signore tre oggetti da vendere: una penna che non scriveva, una camicia con un buco al collo e un contasecondi. Levi non volle entrare nell'affare, ma accettò di buon grado di partecipare alle mie vendite, anche per sfuggire alla noia del campo, nel tentativo di riconciliarsi con la vita, che Auschwitz aveva spento dentro di noi.

Vendetti la penna a primo colpo con un incasso di venti zloty, mentre con la camicia ho dovuto sfoderare tutta la mia maestria appresa a Porta Portese. Dopo aver avuto il denaro dal compratore, alzai le gambe insieme a Primo per scomparire.

Gli affari andavano a gonfie vele. Ebbi un posto fisso al mercato e una clientela affezionata, godendo anche di un certo  prestigio.  Molti mi affidavano la merce da vendere sulla fiducia in modo che il denaro circolasse più veloce. In questa situazione favorevole, Primo si prese un forte malanno forse dovuto alla pioggia battente, che lo aveva raggiunto durante il tragitto per tornare nel campo.

Aveva febbre alta con difficoltà a respirare che continuava ad aumentare. Insieme al dottor Leonardo andammo in città a caccia di sulfamidici e durante tale ricerca trovammo  il dottor Gottlieb, anch'egli deportato ad Auschwitz. Parlava la lingua italiana e capì la situazione, venendo subito in aiuto di Levi. Studiò prima il caso e poi tornò altre volte munito di fiale e siringhe, finchè Primo non riuscì a respirare bene e senza dolore.

Lello si interrompe, chiedendomi a cosa stessi pensando. Alla mia infanzia-risposi-quando venni assalito da una forte febbre e mi addormentai tra le braccia della mamma. Restai per un tempo imprecisato in letargo, con la comparsa di sporadiche convulsoni generalizzate. Al risveglio mi ritrovai sul mio letto accanto alla mamma e alla zia Silvana, che con dolcezza mi stavano guardando.

Avevo un forte prurito sulle dita della mano, mi grattavo continuamente e chiesi dell'acqua da bere che mi venne data, mentre del cibo era inutile parlare. Ero guarito spontaneamente, anche se sembravo  tornato dal regno dei morti. Scesi dal letto e cominciai a camminare per la stanza. La mamma tirò un sospiro di sollievo e ringraziò Dio per la mia pronta guarigione. Il giorno seguente, ancora traballante, uscii sulla stradina adiacente alla mia grotta-rifugio.  Sentii nell'aria un delizioso profumo, proveniente dalla casa della famiglia Cerrone.

Come un animale in cerca di cibo, mi diressi verso la sorgente, quando vidi un soldato tedesco venirmi incontro, prendermi per mano, salire una lunga gradinata per entrare nella stanza da dove proveniva il paradisiaco odore.

Vidi allora, stupefatto, un grosso tavolo su cui erano disposte tante, ma tante torte. Non può essere-pensai- perché fino all'altra settimana avevo azzannato pane fatto con farina di ghiande. Il soldato tedesco si avvicinò al tavolo, tagliò una grossa fetta di torta e la mise tra le mie piccole mani, dicendomi in italiano stentato di darne anche alle persone di famiglia. Mi allontanai  e scesi la scalinata velocemente, ma senza cadere.

Iniziai  a divorare il dolce caduto dal cielo sulle mie mani ancora sofferenti e mi accorsi di averlo tutto terminato, prima ancora di giungere sull'uscio di casa. Provai un certo rimorso per il mio comportamento, che giustificai  con la fame e con il buon sapore del dolce, che sembrava infinito.

Lello si stava chiedendo, se il racconto sul soldato tedesco non fosse stata una mia invenzione infantile, dovuta alla fame. Certamente no- gli risposi- ma ne ho voluto  capire la ragione, interrogando le persone a quel tempo presenti. Ho appreso che il soldato era in amicizia con una donna del posto, una certa Maria Luigia, bionda con occhi azzurri, in linea con i suoi presunti principi razziali. Costei  era la proprietaria del forno, dove erano state cotte le squisite torte, particolare secondario, mentre l'attenzione  va focalizzata sul rapporto umano, che il soldato era riuscito a creare con gli abitanti del posto.

E' vero che una rondine non fa primavera, ma ben ricordo che costui mi prese in braccio quando ero nella stanza, per farmi ammirare il tavolo ricolmo di dolci, senza farmi sentire  alcuna paura. Cosa stava  accadendo? I rapporti umani basati sulla collaborazione e sulla responsabilità, possono vincere la guerra, usata da Hitler e camerati, come una base per dare inizio alla Shoà.

Il  binomio guerra e Shoà è stato poco messo in luce e poco studiato. Il mondo intero era già a conoscenza del genocidio degli Armeni  compiuto da Turchi agli inizi della Prima guerra mondiale, quando l'impero Ottomano, alleato della Germania del Keiser, compì questo crimine.

La Shoà può essere considerata un copione di genocidio degli Armeni, aggravata dalle conoscenze tecnologiche del gas Zikhlon B, che hanno permesso ai nazisti uno sterminio di massa ancora maggiore.

E' vero -risponde Lello- e devo dirti che avevo sottovalutato questo paragone importante, che sarebbe stato utile  per capire la  e correre ai ripari.

La memoria è un dono per pochi! Ancora oggi stiamo giocando con il fuoco, perché si uccide in nome di D-o.( Allah hu Akbar) L'uomo dimentica e  guarda fino alla punta del suo naso, preso dai suoi interessi e dalle sue credenze. Per tornare a noi, voglio dirti, che con tutta quella farina in possesso del soldato, si poteva fare del pane per distribuirlo alle persone affamate, ma sarebbe stato chiedergli troppo, considerata la crudele realtà della guerra a cui egli era sottoposto.  

Non appena ebbi finito di tragugiare le ultime briciole della squisita torta, sentìì venire dal cielo un rombo a dir poco assordante. Alzai gli occhi e vidi un aereo in fiamme che volava a bassa quota sulle nostre teste, dirigendosi verso la vicina collina, dove si schiantò.

Ne seguì un enorme boato e un pauroso spostamento d'aria, che fece volare in aria il cappello dello zio Giulio. L'aereo veniva dal fronte di Cassino, dove era stato a bombardare le postazioni strategiche tedesche attestate sull'Abbazia, che tenevano in scacco matto l'esercito degli Alleati, attestato  nella valle del fiume Liri-Garigliano. Forse aveva perso la rotta ed era finito sotto il tiro dei cannoni tedeschi, che lo avevano colpito a morte, facendolo precipitare nelle nostre contrade.

Questo mio racconto portò alla mente Lello il ricordo degli aerei, che andavano a bombardare le fabbriche di gomma sintetica alla Buna, attraversando il cielo del Lager di Auschwitz, senza gettare un ordigno sugli impianti dei forni crematori.

Questo fatto- dice Lello- mi arrecava angoscia e costernazione, perché dimostrava l'indifferenza sulla sorte degli ebrei da parte del mondo. Una situazione davvero allucinante: sembrava che persino D-o si fosse distratto e guardasse  altrove, mentre l'esistenza del suo popolo era in pericolo di morte.

Ti sembrerà quanto meno strano, che un laico possa  nominare  D-o, ma voglio ricordarti- continua Lello- che la parola ateo nella lingua ebraica è inesistente. Per defininire un ateo si usa un'espressione greca ''epicoros'' da Epicuro, secondo il quale il mondo era regolato dal caso, senza un ordine Divino presente nella Creazione, anch'essa avvenuta per caso.

Iniziava il nostro rocambolesco ritorno, la cui rotta fu invertita dalle circostanze. Andammo prima verso Nord per poi di nuovo discendere verso Sud in direzione dei Balcani. Ricordo che faceva talmende caldo da pernottare dui campi  della aperta campagna, adiacente  alla strada, che portava a Doroghi, vicino Minsk. Stanco di mangiare il solito brodo, volevo festeggiare la partenza con una gallinella arrostista, che i contadini del posto avrebbero potuto scambiare con qualche nostro dono.

Raccolsi alcuni piatti in terracotta che avevamo e insieme a Primo tentammo la sortita al calar della sera. Dopo qualche kilometro di cammino, ci imbattemmo in un casolare. Gridammo per avere una risposta, ricevendo in cambio uno sparo. Per non rinunciare alla nostra impresa,  ci avvicinammo al cosolare dove era presente un uomo armato di un lungo fucile. Italianski-dissi-nella speranza di essere capito.

Si presentarono allora sulla piazzetta alcune donne anziane in visibile allarme. Passai la palla a Primo affinchè parlasse, ma aveva studiato per niente. Era impossibile trovare nel vocabolario la parola gallina, per cui Levi, sempre geniale, fece allora sulla terra un disegno del volatile che tutti capirono.

Quando poi le donne videro i piatti l'affare venne subito concluso. Tornare in baracca, svegliare i compagni, accendere il fuoco e cucinare la gallina per mangiarla insieme, fu solo un attimo.

Guarda che strano-dissi a Lello-tra i miei ricordi della guerra, è assente il fuoco, cosa questa che soltanto ora riesco a notare. Eppure di fuoco ne ho visto tanto a principiare da quello sprigionato dal bombardamento di Montecassino, per terminare con quello acceso dal nonno nella stanza semi-buia della nostra cucina che i tedeschi avevano utilizzato come infermeria per i loro soldati feriti al fronte di Cassino.

Anche il nostro ritorno nella primitiva abitazione nel paese, per restare in tema con Lello, fu rocambolesco. Stavamo per abbandonare la grotta quando militari del genio civile americano fermarono i nostri preparativi di ritorno per fare verifiche sulla presenza di mine sistemate dai tedeschi nella nostra casa e altrove.

Dapprima andò la nonna Elvira, con l'aiuto di un asino, che aveva preso in prestito dai vicini. Trasportò tutta la nostra roba consistente in pentolami, coperte, rimasugli alimentari e cose simili, sistemate  in due cesti messi sul dorso dell'asino. La strada mulattiera era un percorso di guerra e si poteva facilmente cadere, ma tutto andò per il meglio, eccezione fatta per la mia tristezza nel rivedere la casa semidistrutta.             

I giocattoli, compreso il triciclo, che era il mio cavallo di battaglia, tutti perduti. La bicicletta dello zio Benvenuto su cui spesso venivo scarrozzato, scomparsa. Mi sembrava di stare nel deserto dei Tartari, dove l'unico contatto umano era quello con Coccolina la mia nuova amichetta, che amava farsi abbracciare.

Una volta colpiti da un temporale improvviso ci siamo rifugiati nel pollaio in fondo al nostro giardino, privo di galline perché razziate dai tedeschi. Iniziammo i nostri giochi al dottore, sotto lo scroscio continuo dell'acqua, mentre  venivamo  cercati e chiamati. Non sentimmo nessuno fino al termine dell'acquazzone, ma ricordo che la mamma  mi dette un ceffone per la paura presa dal non  sapere dove mi trovassi in quel momento di pericolo.

I nostri racconti-mi dice Lello- sembrano collimare su di un piano umano, pur essendo diversi nella realtà e nella drammaticità della situazione.

E' ingiusto sminuire e banalizzare le sofferenze dei bambini  che hanno una sensibilità maggiore nel percepire la relatà, perchè essi guardano questa con gli occhi dell'anima e tacciono senza reagire. Molte violenze devono ingoiare e in silenzio, mentre gli adulti stanno a pontificare, senza sensibilità alcuna, sulle loro lacrime piene di dolore.

Le mie emozioni ancora non erano finite, per l'arrivo improvviso dello zio Americo, fratello della mamma, dal Lager di Bergen Belsen. Alto e magro con un fagotto tra le mani potevano insieme pesare una quarantina di kili. Venne da tutti abbracciato tra la gioa generale, si sedette su di un divano e cominciò il suo racconto.

Capivo che parlava della guerra, di un posto dove aveva conosciuto gli stenti, la fame, mentre la morte gli era stata risparmiata forse dalla fortuna. Era l'ora del pranzo, ma sulla tavola non c'era parvenza di cibo. La nonna Elvira aveva nascosto in un piccolo baule delle pere con cui riuscimmo a consumare qualcosa in onore dello zio Americo, tornato graziato dai campi della morte.

Restammo a Doroghi per circa due mesi, dove accaddero storie di un tram-tram rutinario  e di poco interesse, come raccogliere funghi nel bosco, andare a vendere pesci al mercato, oppure cercare rapporti di amicizia, anche intima, con le donne del posto. Il nostro treno partì da  Doroghi verso la metà del mese di settembre diretto a Iasi in Romania, dove arrivò dopo interminabili soste.

Il treno del ritorno riprese il viaggio e arrivati a Curtici ai confini con l'Austria, decisi di abbandonare il gruppo, Primo Levi compreso. Tornai in Italia con un volo aereo, pagandomi il biglietto. Dall'aereporto telefonai a mia madre Emma, che non riconobbe la mia voce. Non mi scoraggiai per questo e dissi con forza:'' Mamma sono Lello!'' Avevo  ritrovato la mia identità di ebreo, che il Lager di Auschwitz avrebbe voluto spegnere e per sempre.

 

 

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