Il viaggio in Italia del principe elettore di Baviera (1715-1716)

Categoria principale: Storia
Categoria: Storia XVIII sec.
Creato Giovedì, 01 Ottobre 2020 13:50
Ultima modifica il Domenica, 11 Ottobre 2020 15:49
Pubblicato Giovedì, 01 Ottobre 2020 13:50
Scritto da Antonio Mileo
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Già nel primo Settecento il viaggio in Italia rappresenta un momento importante dell’educazione dei nobili e dei principi: esso costituisce la tappa conclusiva del percorso di formazione dei giovani aristocratici, i quali possono finalmente vedere, con i propri occhi, quanto fino ad allora hanno appreso dai libri.

Li attendono al di là delle Alpi i luoghi simbolo della classicità e della cristianità.

Il viaggio in Italia rappresenta, però, anche un momento decisivo nella messa a punto di competenze che oggi chiameremmo know how: l’elaborazione e il perfezionamento, cioè, di conoscenze e di abilità pratiche e tecniche rilevanti in un determinato ambito, e che nel XVIII secolo risultano nella capacità di “stare a corte” e di prendere parte alla sfera pubblica e politica della comunità.

 

Il viaggio è, cioè, un’esperienza formativa che sfocia, oltre che nell’ampliamento del bagaglio culturale del viaggiatore, nella tessitura di una rete di contatti e di relazioni funzionale all’ascesa politica in patria.

Per questi motivi, la comprensione delle dinamiche di consolidamento dell’equilibrio internazionale che prendono forma all’inizio del XVIII secolo è soggetta alla considerazione anche dei viaggi che i giovani principi intraprendono, muovendosi da una corte all’altra dell’Europa, nel tentativo di rafforzare le proprie alleanze e le proprie chance di carriera.

I giovani aristocratici – i rampolli di una nobiltà che nel corso del secolo sarà alle prese con lo sconvolgimento delle strutture di antico regime e che dovrà fronteggiare gli urti e gli scossoni dei moti rivoluzionari francesi – partono alla volta dell’Italia e fungono, lungo il percorso, da rappresentanti (da agenti, quasi) della propria dinastia.

Lo dimostra, sulla base del caso specifico del principe elettore di Baviera Karl Albrecht, il volume miscellaneo a cura di Andrea e di Jörg Zedler, Prinzen auf Reisen. Die Italienreise von Kurprinz Karl Albrecht 1715/16 im politisch-kulturellen Kontext, Böhlau Verlag, Köln Weimar Wien, 2017.

Partendo dalla constatazione delle tribolazioni affrontate dalla Baviera nel 1715 per motivi finanziari e politici dovuti in particolare alla guerra di successione spagnola appena conclusa, il volume fa emergere con chiarezza la funzione politica del viaggio che il principe elettore Karl Albrecht intraprende in Italia negli anni 1715 e 1716.

Lungi dall’essere un viaggio esclusivamente di formazione culturale, esso rappresenta un caso esemplare dell’usanza dei Reichstfürsten tedeschi di ricorrere al viaggio dei propri discendenti come uno strumento per comunicare e per rendere noto, nel contesto internazionale, il rango ambito all’interno delle gerarchie dell’alta nobiltà europea.

Proprio questo, accanto ovviamente all’intento educativo, aiuta a spiegare la dettagliata organizzazione del viaggio in Italia del principe elettore e le elevate spese che la famiglia si decise, a tal fine, a sostenere.

La preparazione del viaggio di Karl Albrecht ad opera della famiglia ha una data precisa e comincia con il compimento del diciottesimo anno di età del principe: è il 6 agosto 1715 e i festeggiamenti organizzati a corte sono anche l’occasione per celebrare il recente completamento del percorso di studi del giovane, che ha appena dato gli ultimi esami di latino (lingua della Romanitas, necessaria anche per l’attività diplomatica).

Massimiliano II Emanuele, suo padre, scrive allora all’imperatore Carlo VI e gli annuncia che il figlio, fresco di studi, partirà a breve per l’Italia. La lettera che la famiglia di Karl Albrecht indirizza alla corte di Vienna lascia intendere in primo luogo che il figlio è pronto ad intraprendere una carriera politica (e che ne è capace), in secondo luogo che è pronto a farlo al servizio dell’Impero.

La comunicazione di Massimiliano II Emanuele a Carlo VI non è dunque solo celebrativa, ma permette di intuire il calcolo politico con cui la famiglia del principe elettore di Baviera spera di risollevare le proprie sorti nel primo ventennio del Settecento.

Particolarmente interessanti sono allora le tappe del viaggio in Italia di Karl Albrecht. Partito da Monaco, attraversa Salisburgo e Innsbruck, e arriva a Verona. Visita allora Venezia, Roma e Napoli, per poi risalire l’Italia e tornare in patria passando per Firenze, per Genova e per il Lago Maggiore.

Il momento principale del viaggio è sicuramente l’incontro con il papa (6 aprile 1716): se è vero che si tratta di un momento di rilievo culturale e spirituale per il giovane proveniente dagli ambienti cattolici dell’aristocrazia bavarese, è vero anche che l’episodio – ritratto perfino in alcuni disegni coevi – assume un valore quasi diplomatico.

All’incontro partecipa infatti con interesse lo stesso Clemente XI che, alle prese con il tentativo di un rinnovamento della Chiesa consistente nel rafforzare la dimensione universale del culto e la centralità di Roma, non è nuovo ad articolate trattative e a delicate manovre basate tanto sull’abilità diplomatica del nunzio pontificio nelle diverse corti europee quanto sui contatti stabiliti attraverso le visite a Roma degli esponenti delle diverse dinastie del continente (cfr. Schnettger, pp. 213 ss.; J. Zedler, pp. 252 ss. del volume).

 Un’altra tappa del viaggio è riservata da Karl Albrecht alla città di Napoli. Al momento della visita del principe elettore la città, diventata parte dell’impero asburgico di Carlo VI in seguito alla conquista militare del 1707 e alla ratificazione avvenuta con il trattato di Utrecht nel 1713, è governata dal vicerè Conte di Daun ed è già nota per i suoi talenti musicali, le cui composizioni risuonano nei teatri delle corti più importanti d’Europa.

Con l’integrazione, più o meno riuscita, del viceregno napoletano nell’impero asburgico si intensificano infatti i rapporti culturali tra Vienna e Napoli, anche grazie all’attività di alcuni mecenati che raggiungono la città tirrenica. Tra questi, il principe Filippo d’Assia-Darmstadt, comandante delle truppe imperiali, ha al suo servizio Nicola Porpora tra il 1711 e il 1725 e ne favorirà l’ingresso nella società viennese.

La considerazione goduta da Francesco Durante, definito in seguito da Rousseau come “le plus grand harmoniste d’Italie, c’èst-à-dire du monde”, e la fama crescente guadagnata da Metastasio danno l’idea dello spessore che la città partenopea e la sua Scuola musicale avevano già acquisito nel panorama internazionale.

Non stupisce dunque che, arrivato in città, l’8 maggio 1716 Karl Albrecht voglia far visita al Seminario dei Nobili (sono due le istituzioni dove si impartisce anche l’insegnamento della musica che vedrà durante il viaggio recandosi, pochi mesi dopo il soggiorno napoletano, al Collegium Nobilium a Parma).

Karl Albrecht non si limita ad osservare e prende parte ad alcuni balli in maschera: anche in questo caso si tratta non solo di un divertimento ma di un espediente con fini pure politici, poiché l’anonimato di queste occasioni poteva permettere il leggero allentarsi del rigido cerimoniale di corte e degli schemi imposti dalle gerarchie sociali.

Nel volume pubblicato recentemente da Andrea e da Jörg Zedler, organizzato secondo una struttura tripartita (il primo “blocco” di saggi è dedicato al contesto storico, il secondo agli aspetti concreti del viaggio con particolari riferimenti al soggiorno veneziano e romano, il terzo alle tracce concrete e documentarie che ci restano di questo e di altri viaggi affini), il case study del principe elettore Karl Albrecht è analizzato a tutto tondo sulla base di ricche fonti primarie fornite principalmente dai quattro diari del viaggiatore, cui si aggiungono due estratti di altri diari che pure raccontano del soggiorno italiano, e che sono reperibili nel Bayerisches Hauptstaatsarchiv.

Il caso del principe elettore mostra la complessità del fenomeno del viaggio in Italia agli inizi del XVIII secolo e lascia intendere come i motivi che spinsero le famiglie della nobiltà europea ad inviare i propri eredi lungo la Penisola vadano rintracciati non solo nel gusto dell’epoca (segnato da ideali artistici e modelli poetici che inseguivano mode classicheggianti intese vuoi come strumento di insegnamenti morali vuoi come semplice linguaggio estetico), ma vadano rintracciati anche nella volontà di inviare i propri rampolli in qualità di rappresentanti delle proprie ambizioni dinastiche, rivelando così che la organizzazione stessa del viaggio con tappe a Milano, a Roma, a Napoli, a Venezia e nelle altre principali città italiane era dettata da strategie politiche oltre che da interessi culturali.

E dimostra come questa attività, che di lì a poco assumerà la forma e la dimensione di uno dei fenomeni culturali di maggiore spessore del XVIII secolo prendendo il nome di Grand Tour, fosse regolata dall’idea di sfruttare un’opportunità al tempo stesso di scuola e di carriera per i principi stranieri, che, partendo alla volta dell’Italia, si immergevano nella pratica delle complesse dinamiche politiche di corte, decisi a riportare in patria un bagaglio di esperienze e di conoscenze cui avrebbero dovuto attingere, poi, nell’affermazione della propria dinastia.