La damnatio memoriae del 1799 nel bando di Ferdinando IV

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Nel gennaio del 1800 certe carte facevano paura, soprattutto quando chi le aveva scritte era stato condannato a morte, e perché erano carte "abominevoli formate dall'intruso sedicente governo dei generali francesi". E allora pure le carte dovevano morire per mano del boia.

Dovevano bruciare nel fuoco perché le idee, quelle malsane e abominevoli,  non si potevano mandare al patibolo, ma andavano ugualmente cancellate dalla storia assieme al ricordo di chi per esse aveva dato la vita.

Cosi aveva deciso il Re Ferdinando, lo aveva decretato il direttore della Polizia , e lo doveva pubblicare "a' trombetta".

Nel nostro documento qui pubblicato la trombetta stava in bocca a Michele Sanges che di mestiere faceva il banditore.

Il suo primo compito era quello di affiggere il bando sulle mura dei luoghi centrali e popolosi del quartiere o del casale della sua zona di competenza.

Allora succedeva che  davanti al bando  si raccoglievano le prime quattro o cinque persone che, un po' guardavano assorti il manifesto e un po' si guardavano l'un l'altro, aspettando qualcuno in grado di spiegare, ma dopo essersi resi conto che nessuno di loro ne era capace, qualcuno si allontanava in silenzio scrollando la testa preoccupato e perplesso come se avesse appreso di chissà quale disgrazia, mentre altri aspettavano con pazienza che si unisse al gruppo qualcuno che sapesse leggere.

 

A risolvere il problema interveniva il “chioccio perepepeeee” della trombetta di Don Michele il banditore che, chiamando a  raccolta la popolazione, l'avvisava con "voce alta e distinta" che «entro dieci giorni chi le teneva, aveva l'obbligo di consegnare, per essere bruciate dal boia, le carte abominevoli per Ordine di S.M.»

La funzione del banditore era proprio quella di evitare che i tanti analfabeti potessero invocare l'esimente di non aver potuto leggere le disposizioni e così non osservarle.

«Don Michele" ma cosa sono queste carte abominevoli?» domandò una popolana.

«Sono  le carte della repubblica, quella dei giacobbi!» rispose lui.

E un altro: «Meno male Miche' pensavo che era un’altra tassa, voi portate sempre brutte notizie.»
Infine un terzo: «ho capito, io le tenevo, ma le ho già bruciate per conto mio, ora ne ho conservate tre o quattro per accendere il fuoco. Ma se non le porto che mi fanno?»

E il banditore riprendeva a legger dal bando con voce stentorea e risoluta: «Elasso il predetto termine li detentori di somiglianti carte, di lor natura abominevoli,da S M. proscritte, saranno soggetti alle gravi e severe pene, all'arbitrio di S.M. riserbate.»

Poi distaccava lo sguardo dal manifesto e incontrava quello stranito e implorante  dei suoi interlocutori dei quali conosceva la purezza di spirito e la poca dimestichezza con la legge e allora riassumeva con poche semplici parole: «Dategli quelle carte altrimenti sono guai neri!»

Tutto chiaro. La Repubblica Napoletana andava cancellata dalla storia, per ordine del re!

Il banditore nel senso sopra descritto è un mestiere non più  praticato, ma a Napoli ancor oggi di una persona  che parla tanto, ma anche un po' pettegola si dice  «par a trummetta a' Vicaria.»

 

 

 

 

 

In foto il bando del 18 gennaio 1800 con cui si ordina la pubblica distruzione dei documenti della Repubblica Napoletana, con sul retro rescritta l'attestazione del banditore Michele Sanges di avvenuta pubblicazione a suon di tromba e con voce  alta e distinta.

 

 

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