Lakatos e il post-empirismo in matematica

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Pubblicato Giovedì, 10 Settembre 2020 10:11
Scritto da Michele Marsonet
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Imre LakatosAlla domanda se sia proprio vero che la matematica ha perso la sua tradizionale “certezza”, alcuni autori contemporanei danno una risposta completamente positiva (aggiungendo, però, che la matematica non è mai stata “certa” come i più hanno solitamente ritenuto).

I sostenitori di questa tesi, che attribuisce alla matematica un carattere “fallibile”, sono i rappresentanti di quella corrente dell’odierna filosofia della matematica che viene definita “post-empirista”.

Il suo maggiore rappresentante è Imre Lakatos, filosofo e matematico ungherese scomparso prematuramente nel 1974. Egli è stato, a cavallo tra gli anni ’60 e i primi anni ’70 del secolo scorso, il protagonista di una vera e propria svolta registratasi nella filosofia della matematica.

Fuggito dall’Ungheria dopo la rivolta del 1956, lavorò con Karl R. Popper e in seguito ottenne una cattedra presso la London School of Economics, centro d’irradiazione delle idee popperiane. La sua opera principale è Dimostrazioni e confutazioni: la logica della scoperta matematica (1976, pubblicata postuma).

Se esaminiamo la storia della matematica, possiamo facilmente individuare alcuni momenti in cui essa sembrava aver perso parte della sua “certezza”: basti pensare alla scoperta delle geometrie non-euclidee, o a quella delle antinomie.

 

Tuttavia, ciò che ha sempre contraddistinto l’atteggiamento dei matematici di fronte a queste “crisi” è stato il tentativo di eliminare le fonti di incertezza, al fine di salvaguardare, nell’ambito di una tradizione mai messa in discussione, il carattere assoluto e incontrovertibile della conoscenza matematica.

La grande novità della posizione post-empirista consiste, invece, proprio nel rifiuto di questo genere di reazione, cui viene contrapposta una concezione “fallibilista” del sapere matematico di stampo popperiano (anche se occorre notare che lo stesso Popper ha applicato le proprie analisi alle scienze naturali e a quelle storico-sociali, e non alla matematica).

Il volume di Lakatos prima citato è un attacco senza remore al formalismo, inteso non come la concezione hilbertiana della matematica ma, più in generale, come il metodo che identifica le dimostrazioni con le dimostrazioni “formali”; detto metodo rappresenta, agli occhi di Lakatos, «l’ultimo anello della lunga catena delle filosofie dogmatiche della matematica.»

Al concetto di dimostrazione formale viene contrapposto quello delle dimostrazioni intese come esperimenti mentali che scompongono la congettura originale in sotto-congetture; l’attenzione si sposta dunque verso la “logica della scoperta” che ha un valore euristico, attribuendo minore importanza alla classica logica deduttiva (e qui si può notare, per inciso, anche la vicinanza delle tesi di Lakatos a quelle di un classico del pragmatismo come John Dewey).

Non solo: alla matematica formalizzata viene contrapposta quella informale, che procede - popperianamente - per tentativi ed errori, per “dimostrazioni e confutazioni”. Ne consegue che l’intero lavoro di Lakatos può essere visto come un originale tentativo di restituire legittimità, dal punto di vista filosofico, alla matematica informale e ad una filosofia della matematica che non abbia quale unico obiettivo dichiarato l’indagine sui fondamenti.

E’ proprio questo tipo di dimostrazioni informali che Lakatos intende difendere. Esse non possono, a suo avviso, essere definite con precisione; per esse non esiste alcun procedimento di verifica, mentre c’è un metodo di falsificazione inteso in senso popperiano.

Nella discussione contenuta in Dimostrazioni e confutazioni, ad esempio, si scopre che alcuni dei lemmi sui quali si basa la dimostrazione proposta possono essere “falsificati” da controesempi; se il controesempio falsifica il lemma, ma non la congettura originaria, si tratta di un controesempio “locale”, altrimenti di un controesempio “globale”.

Le critiche mosse alla dimostrazione vengono comunque considerate costruttive, in quanto servono a migliorare la congettura, e uno degli slogan adottati da Lakatos è proprio “migliorare dimostrando”.

La “pressione” esercitata dai controesempi serve per l’appunto a migliorare tanto la congettura iniziale quanto la dimostrazione, e si dovrebbe infine arrivare a una formulazione della congettura - e ad una sua dimostrazione - per le quali non “sembrano” esservi controesempi.

Anche in questo caso, tuttavia, esiste sempre la possibilità di imbattersi in qualche controesempio non ancora considerato. Si potrebbe ovviamente obiettare che, una volta formalizzata la teoria, sarebbe possibile pervenire al risultato con una dimostrazione formale, che risulterebbe verificabile e in un certo senso definitiva. Lakatos, tuttavia, ha una risposta anche a questo genere di obiezione: è vero che le dimostrazioni formali sono affidabili, ma è anche vero che si è ugualmente esposti al rischio di controesempi, sia nel senso di vere e proprie contraddizioni (se il sistema formale risultasse contraddittorio), sia in quello di un mancato rispecchiamento, da parte del sistema formale, della corrispondente teoria informale.

E’ del tutto evidente, secondo Lakatos, che la matematica non è empirica nel senso delle scienze sperimentali, dato che i suoi asserti non sono di natura spazio-temporale. Egli propone allora di attribuirle un carattere “quasi-empirico”, contrapponendolo al carattere euclideo che l’ha caratterizzata per due millenni; la distinzione è importante perché è alla base della metodologia lakatosiana, ma occorre pure rilevare che Lakatos non ne ha mai dato una formulazione chiara.

Ed è ancora Lakatos ad affermare: «Mi riferirò alla scuola di filosofia matematica che tende a identificare la matematica con la sua astrazione assiomatico-formale (e la filosofia della matematica con la metamatematica) come alla scuola fomalista.»

Una teoria euclidea, dunque, parte da assiomi indubitabilmente veri; attraverso la logica la verità viene poi trasmessa ai teoremi, e il progresso della teoria si identifica con l’accumulazione successiva di verità. In una teoria quasi-empirica, al contrario, il punto di partenza è costituito dagli asserti-base; si formulano poi ipotesi esplicative, che restano sempre a livello di “congetture”, le quali devono essere sempre in linea di principio falsificabili dagli asserti-base: se risultano falsificate, bisogna cambiarle (ed è questo il caso più significativo, che indica progresso); diversamente si diranno “corroborate” dai fatti.

In altri termini, in una teoria euclidea i dubbi riguardano i teoremi, che devono essere giustificati a partire dagli assiomi; in una quasi-empirica, invece, riguardano piuttosto gli assiomi.

L’impostazione risente evidentemente delle idee di Popper, il quale tuttavia - come già abbiamo notato - non ha trattato il caso della matematica. E il passo che Lakatos tenta di compiere è proprio questo: l’adattamento della metodologia popperiana alla matematica. Si è allora notato a più riprese che, per applicare questa concezione alla matematica, il problema da risolvere è quello dei cosiddetti “falsificatori potenziali”: quali sono, in altri termini, i falsificatori potenziali delle teorie matematiche?

Va comunque sottolineato che la prospettiva post-empirista è, oggi, piuttosto popolare. Parecchi studiosi, infatti, concordano con la tesi che il fallimento delle varie proposte fondazionali classiche (logicismo, formalismo e intuizionismo) ha determinato la fine del fondazionalismo e delle varie correnti di filosofia della matematica ad esso associate; la filosofia della matematica - tradizionalmente intesa - sarebbe quindi inadeguata a rendere conto del “fenomeno” matematica.

Altri autori, d’altra parte, sottolineano la “schizofrenia filosofica” del matematico di professione, che sarebbe platonista nei giorni feriali e formalista la domenica, per eludere le domande indiscrete dei filosofi.

Per superare le difficoltà occorrerebbe, allora, abbandonare il presupposto comune alle indagini fondazionali, ossia la tesi che bisogna dare alla matematica una fondazione assolutamente sicura, rifiutando al contempo il dogma che la matematica possegga una certezza assoluta. Si punta quindi sul fatto che la filosofia della matematica dovrebbe rispecchiare la “pratica” matematica, e cioé l’atteggiamento quotidiano dei matematici di professione di fronte alla loro disciplina.

Poiché anche i più grandi matematici fanno errori, talvolta gravi, occorre riconoscere onestamente che la matematica è fallibile, e da questo punto di vista essa risulta del tutto simile alle altre forme di conoscenza umana.