Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il platonismo e la gnosi

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Il platonismo è stato ed è senz’altro una delle scuole di pensiero più sofisticate dal punto di vista filosofico.

Non a caso esso non si è mai limitato alla sola visione del suo fondatore, Platone, ma si è esteso in ogni possibile direzione assumendo così nel tempo ogni possibile valenza – dalle valenze più prossime alla metafisica religiosa, all’esoterismo ed alla mistica, fino alle valenze più prossime alla scienza rigorosa, come la logica, la filosofia della coscienza (entro la quale rientra anche la Fenomenologia husserliana), la teoria della conoscenza, la filosofia della scienza (epistemologia), la filosofia della matematica e la filosofia della mente.

Anzi se si getta uno sguardo sulle teorie filosofiche che negli ultimi due secoli si sono presentate come “platoniche” si resterà stupiti del fatto che del pensiero di Platone sembra non resti in essa se non una traccia molto debole e lontana.1

Qui, infatti, il pensiero platonico viene preso in considerazione solo nel contesto di questioni gnoseologiche ed epistemologiche, ignorando così totalmente la sua dimensione metafisica, metafisico-religiosa, mistica ed esoterica. Emblematiche in tal senso sono le teorie filosofiche specialistiche a base vagamente platonica che sono state sviluppate da alcuni degli Autori citati (Natorp, Frege, Husserl, Lotze etc.)

 

Nel mio saggio dedicato al pensatore ateniese ho parlato a tale proposito di un evidente e molto deleterio “riduzionismo”.2

Tuttavia, persino quando Platone viene preso in considerazione per questioni non scientifico-rigorose, come ad esempio per l’etica, il suo pensiero viene comunque assoggettato ad un notevole riduzionismo.3

In questo articolo, infatti, l’Autore (Gentzler) nega addirittura quello che è il tratto più tipico del pensiero platonico, e cioè la postulazione di un’intuizione immediata di entità etiche trascendenti ed oggettive (l’Idea di Bene) da parte della mente (o meglio anima) umana.

Inoltre va tenuto presente che in una qualche misura il platonismo può venire considerato il prototipo di quella presa di posizione idealistica che abbiamo esaminato nella seconda e nella diciassettesima lezione.

In verità, comunque, ritengo che la vera natura di questa scuola di pensiero venga descritta in maniera equilibrata quasi solo da uno dei suoi maggiori studiosi, e cioè Gerson.4

Insomma, che il platonismo venga interpretato o meno in maniera corretta, certo è che in via di principio esso è troppo complesso, in termini filosofici, per poter interessare l’uomo comune.

Tuttavia è anche vero che le cose non stettero affatto così nell’antichità – almeno fino a quando il platonismo restò in auge pur attraverso continui alti e bassi, e cioè fino all’avvento della famosa seicentesca Scuola di Cambridge.

Allora, infatti, il platonismo era una tipica «filosofia di vita», cioè una visione filosofico-metafisica che affrontava le più scottanti questioni in cui l’uomo si imbatte nel corso della sua esistenza.

Ebbene risiede proprio qui, allora, il punto di snodo tra questa scuola di pensiero e la complessiva dottrina antica che fu definita come “Gnosi”.

Una dottrina costruita in effetti proprio sull’impianto generale della visione platonica (oltre che orfico-pitagorica); dato che essa postulava la tragica caduta dell’anima umana (in sé di origine pienamente divina) nel mondo, nel tempo e nel corpo.

E su questa base essa teorizzò il recupero della dignità divina da parte dell’uomo per mezzo di un atto mistico-religioso di tipo sostanzialmente conoscitivo, ossia il superamento dell’oblio (del tutto simile a quello supposto da Platone entro la dottrina della reminiscenza o anamnesi) della propria natura divina.

Ovviamente tale presa di posizione comportava una considerazione radicalmente negativa di tutto ciò che era «mondo» − il tempo, lo spazio, il corpo, la carne, la soggezione alle leggi della Natura, la mortalità.

Ed inoltre uno dei tratti metafisici di tale dottrina era l’implacabile accusa rivolta al Dio creatore giudaico-cristiano, in quanto supposto responsabile di una nascita carnale che equivaleva alla massima umiliazione dell’uomo.

Questo Dio veniva infatti sospettato essere il Serpente stesso sotto mentite spoglie, ossia Colui che aveva tentato di convincere l’uomo a non mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza. E così tale Dio veniva accusato di essere appena una divinità inferiore di tipo demonico, ossia un malefico “Demiurgo”.

Anche questa denominazione è chiaramente di origine platonica, sebbene essa fu usata da Platone in senso diametralmente opposto.

Ebbene, in qualche modo la Gnosi non è mai stata archiviata del tutto, sebbene oggi non rientri più nel corrente dibattito filosofico.

Possiamo, infatti, ritrovarne i tratti portanti perfino ancora ai giorni nostri in un pensatore come Cioran.5

In questo libro l’Autore sostiene infatti che la nascita è da considerare senza mezzi termini una vera jattura, e quindi ad essa non vi è altro rimedio se non la morte.

Ecco quindi spiegato per quale motivo noi tutti (quali uomini comuni) abbiamo tutte le ragioni per riflettere sulle relazioni esistenti tra platonismo e Gnosi.

Alcuni scritti che ho recentemente letto  mi danno quindi l’occasione di trattare questo teme.6

Ed esso è per la verità un tema che si presenta ad ogni studioso del platonismo, e cioè appunto il rapporto da sempre esistito tra quest’ultimo e la Gnosi.

Tuttavia questo tema è stato trattato nel contesto di una letteratura davvero sconfinata, della quale ho di tanto in tanto richiamato alcune voci nel corso di queste lezioni ma che non posso certamente richiamare in questa lezione.

Al proposito bisogna però tenere presenti due elementi fondamentali di orientamento, che sono poi l’uno l’opposto dell’altro.

Da un lato nulla è più lontano dalla Gnosi come lo è il platonismo, dato che la prima dottrina si basa sul mito mentre la seconda sulla ragione.

Dall’altro lato invece Platone stesso può venire considerato di fatto uno gnostico (come del resto lo stesso Plotino) in quanto ha posto le Idee (cioè la sostanza intellettuale) non solo come supremo Principio di essere ma inoltre anche come la Realtà stessa.

E questo viene ampiamente attestato da Inge.7

Detto questo bisogna dire che però questa valenza gnostica del platonismo (e dei suoi principali pensatori) va ammessa in senso molto lato, e cioè solo in quanto tale dottrina costituisce un «onto-intellettualismo» (nel senso che ho appena chiarito).

Tuttavia la vera Gnosi pone miticamente al di sopra di ogni cosa l’Intelletto stesso (il Nous) in quanto suprema Realtà ed anche suprema entità divina.8

E questo non è assolutamente quanto affermano Platone, Plotino ed ovviamente anche la metafisica cristiana. Insomma solo nella Gnosi l’Intelletto viene identificato con Dio stesso.

In particolare la presa di posizione gnostica è stata tangibilmente presente (come dice Hadot) anche nel pieno del Neoplatonismo pre-cristiano (detto anche «pagano»); nel contesto di quella specifica “rivelazione” (fonte scritturale della riflessione metafisico-religiosa) che fu costituita dagli oracoli caldaici.

Ma il Neoplatonismo pre-cristiano ebbe anche un’altra rivelazione, e quest’ultima fu proprio il platonismo stesso, ossia l’intera serie degli scritti di Platone (in particolare la Repubblica, le Leggi, il Timeo, il Fedro e il Parmenide).

E quest’ultima, come abbiamo visto, è da considerare una Rivelazione fortemente impregnata di razionalismo metafisico.

Ecco allora che lo stesso Neoplatonismo pre-cristiano si scinde in due filoni. Il primo filone fu quello di ispirazione platonica, e vide come protagonisti soprattutto Plotino oltre che Proclo – il quale però non mancò di riferirsi anche agli oracoli caldaici.9

 Il secondo filone fu quello di ispirazione gnostico-caldaica, con pensatori come Porfirio ed anche (almeno in parte) Giamblico, Damascio e Numenio.
Il risultato netto di tale bilancio è insomma che il main stream del Neoplatonismo non fu affatto gnostico.

Del resto basti pensare all’impegno che fu profuso da Plotino (non meno di Origene) nel tentare di confutare gli gnostici. E questo vale ovviamente ancor più per Platone, al cui tempo la Gnosi non era nemmeno ancora una presenza dottrinaria.

In ogni caso va precisato che, se in generale è stato sempre ammessa la relazione esistente in generale tra Platone e la Gnosi, è anche vero che alcuni (come Guardini) hanno chiarito come in verità il pensatore ateniese non sia mai stato in alcun modo uno gnostico.10

Guardini, infatti, sostenne che Platone fu propriamente sostenitore di una visione spiritualista e trascendentista dell’essere. Più precisamente la sua equiparazione del mondo ideale con la vera Realtà avrebbe voluto sostenere molto più la sostanziale spiritualità dell’essere che non invece sostenere un dualismo svalutante il mondo immanente.

Ma andiamo più a fondo in tale differenziazione seguendo da vicino la falsariga degli scritti che ho preso in considerazione.

Hadot sottolinea innanzitutto che il platonismo riemerse nella speculazione ellenistica (greco-romana) − dopo la grande e lunga crisi seguita alla morte di Platone − proprio in coincidenza con il nascere del Cristianesimo.

Proprio la dottrina platonica, quindi, governò la grande metamorfosi della religiosità romana che si apprestava allora a divenire monoteistica, politica ed imperiale, cioè teocratica e fortemente trascendentista.

E ciò avvenne peraltro in perfetta continuità tra Paganesimo e Cristianesimo. In altre parole possiamo dire che il platonismo cristiano nacque esattamente nel seno di un Paganesimo che intanto stava vivendo una grande trasformazione religiosa.

Non bisogna dimenticare però che (come sottolineato sempre da Hadot), oltre che Atene e Roma, forse il principale crogiolo di tale trasformazione fu Alessandria d’Egitto.

Città e scuola di pensiero nella quale si fusero inestricabilmente elementi greco-pagani, giudaici, cristiani ed anche gnostici. Il che è stato sottolineato anche da altri studiosi.11

Inge chiarisce che la Gnosi costituì però una sorta di indesiderato effetto collaterale (e peraltro anche tardo) di tale scuola di pensiero. E lo stesso Carus sostiene che la Gnosi condannò sé stessa al fallimento a causa dell’eccesso di visionarietà che la contraddistinse.

Ma comunque è incontestabile che tale dottrina si intrecciò intimamente con la metafisica platonica pagana e cristiana. Peraltro (come sottolineato da Inge) nel momento in cui il Neoplatonismo pagano aveva raggiunto il suo apice con Plotino, il Neoplatonismo cristiano aveva intanto già cominciato ad esistere da tempo (con pensatori quali Clemente, Giustino, Teofilo, Anassagora).

E di lì a poco avrebbe raggiunto esso stesso il suo culmine con pensatori quali Origene e Agostino

Tuttavia la Gnosi emerse appunto da una dimensione piuttosto degenerativa della metamorfosi metafisico-religiosa pagana, e quindi si pose per entrambe le due dottrine in campo (Paganesimo e Cristianesimo) come elemento più di sviluppo negativo (espressione di “crisi”) che non invece positivo.

Hadot ci mostra infatti come tale dottrina nacque da un individualismo ripiegato su sé stesso che fu il frutto dell’imminente crollo dello Impero romano, e quindi si pose da un lato come considerazione negativa del mondo e dall’altro come psicologia depressiva e solipsistica (preoccupazione per la “salvezza” individuale, inquietudine personale etc.).

Un siffatto atteggiamento non era mai esistito nel mondo-greco romano, e si sviluppò peraltro nel pieno del Paganesimo per diventare solo dopo un elemento tipico del Cristianesimo.

Tuttavia fu solo quest’ultimo a schivare le possibili conseguenze negative che la Gnosi avrebbe potuto avere sull’intera metafisica religiosa di quel tempo, e cioè un davvero radicale e perfino distruttivo pessimismo cosmico.

Inge, infatti, sottolinea come uno dei fattori causali della vittoria del Cristianesimo sul Paganesimo fu rappresentato proprio dal fatto che solo il primo ingaggiò una violenta lotta contro la Gnosi (in quanto eresia) per poi alla fine avere la meglio.

E così si può dire che fu proprio il Cristianesimo a mantenere il platonismo totalmente immune dalla Gnosi come era stato già con Platone.

Con quest’ultimo, infatti, il mito venne ammesso ma non riuscì mai a prevalere sulla ragione. E si può pensare che più o meno lo stesso sia accaduto anche entro il platonismo cristiano.

Ecco che allora si delinea in maniera chiara un ulteriore elemento di chiara differenziazione tra platonismo e Gnosi.

Ed esso consiste in un dualismo ontologico che però mai scade in radicale disprezzo pessimistico verso il mondo immanente. In particolare, dice Hadot, la complessiva metafisica religiosa platonica si mantenne razionalistica nel concepire l’intera dottrina dell’anima e nel porla inoltre anche in relazione ad una prassi catartica psico-spirituale (riscatto dalla “carne” come via di “salvezza”).

La Gnosi invece si occupò dell’anima solo per decretarne e descriverne la caduta in quanto elemento critico e fondamentale dell’intera sua cosmo- ed antropogonia.

Possiamo avere la misura di questo nella descrizione dei tragici eventi che caratterizzarono il destino della “Sophia” – una volta appartenente al mondo trascendente e poi trascinata per inganno nel mondo immanente in cui essa subì esattamente il destino dell’anima penosamente imprigionata nel corpo.12

A tutto ciò vi è da aggiungere però anche un elemento di vantaggio della metafisica religiosa pagana rispetto a quella cristiana.

E tale elemento chiama di nuovo in causa il platonismo. Sempre Hadot sottolinea infatti che, se la fonte della Rivelazione cristiana fu di fatto solo il mito, invece la fonte della Rivelazione pagana fu multiforme.

Esso infatti comprendeva in sè il mito, la specifica tradizione civile (storia della città che risaliva ai primi legislatori-fondatori e per questa via fino all’Origine divina) e inoltre la “legge” quale elemento insieme civile e cosmico.

Questi due ultimi elementi possono però venire abbracciati dalla Ragione da intendere in particolare come l’Intelligenza che regge l’intero cosmo a partire da quell’Uno-Dio-Bene che poi è molto prossimo all’Intelletto in quanto entità trascendente (il Nous).

E qui Platone (unitamente all’intero platonismo a lui succeduto) esercitò (specie attraverso la Repubblica e le Leggi) il ruolo di una vera e propria fonde rivelazionale. Il platonismo ha quindi sempre avuto insita in sé questa valenza di metafisica religiosa (addirittura con il significato di Rivelazione) unita intimamente alla componente razionalistica. E senz’altro anche il platonismo cristiano si è sempre mantenuto su questa linea.

Tuttavia, se Hadot si sforza di osservare le cose senza prendere posizione (a favore del Paganesimo o del Cristianesimo), Inge (da teologo cristiano) tende a sottolineare molto più i punti a favore he secondo lui sono da assegnare al Cristianesimo.

E quindi, proprio in forza di questo, ci mostra il platonismo anche sotto un’angolatura per certi versi critica.

In generale però egli sottolinea che il platonismo fu un prezioso elemento di raccordo tra Paganesimo e Cristianesimo, e quindi ebbe il grande merito di evitare quello scontro frontale tra le due dottrine che avrebbe totalmente vanificato la grande affinità esistente tra di esse nel momento della grande metamorfosi subita dal Paganesimo.

Egli ritiene inoltre che in particolare il platonismo cristiano continuò ad esercitare questo ruolo anche dopo il tramonto del Paganesimo, ponendosi come fattore di equilibrio tra Ragione e Fede, e quindi anche come fattore pacificatore, anti-dogmatico e stimolante la tolleranza.

Nel complesso egli sostiene quindi che il platonismo costituì un elemento di vera e propria continuità tra Paganesimo e Cristianesimo. In particolare, però, egli vede nel platonismo cristiano un’aspirazione a Dio come Bene (esattamente sovrapponibile in Plotino ed in Agostino) la quale addirittura sarebbe divenuta poi la vera e propria macchia indelebile che avrebbe reso imbarazzante tale dottrina nel corso dell’intero pensiero cristiano.

Tuttavia, da teologo cristiano, Inge si sente in dovere di criticare e condannare il dualismo platonico in ogni sua forma – sia nella sua versione pagana che in quella cristiana. E così di fatto (almeno da questo punto di vista) egli ri-assimila almeno parzialmente il platonismo stesso alla Gnosi.

Cionondimeno, però (in baso a quello che abbiamo visto poc’anzi), le considerazioni di questo Autore ci mostrano che in ultima analisi non fu affatto gnostico né il Neoplatonismo pagano né quello cristiano.

Il dualismo tipico del platonismo costituisce tuttavia un fattore di disturbo proprio in quanto esso ha rischiato continuamente di risucchiare verso la Gnosi la complessiva metafisica religiosa del tempo.

E ciò avviene secondo Inge in relazione ad un particolare elemento, ossia l’opposizione esercitata dal dualismo contro qualunque avvaloramento del mondo immanente specie allorquando esso viene identificato con ciò che è “essere”.

Il tratto fondamentale di tale opposizione consiste per l’Autore nell’aver voluto concepire la più vera ed autentica Realtà come quella trascendente che è rappresentata dalle Idee, cioè dalla sostanza intellettuale.

Inge definisce questa tendenza come un eccesso di spiritualità che si traduce nel rifiuto del “materialismo escatologico” tipicamente cristiano, e che include la fede in realtà come l’incarnazione e la resurrezione della carne.

Dall’altro lato però lo studioso intravvede nel platonismo anche un contemporaneo curioso difetto di spiritualismo a causa della tendenza ad attribuire una letterale onticità alla sostanza intellettuale trascendente (Idee).

Si tratta così dell’invenzione di sana pianta, da parte del platonismo, di una sorta di strano mondo sensibile trascendente (che addirittura sarebbe l’unico davvero reale).

Ma questo secondo Inge può venire spiegato solo come l’artificiosa pretesa di popolarizzare un idealismo filosofico e metafisico-religioso. Cosa comunque impossibile, dato che concetti del genere potevano venire recepiti solo dai saggi (eletti ed aristocratici) e mai invece dalle masse. Le quali non a caso finirono per prestare fede sempre più solo al Cristianesimo.

A questo punto viene però una vera e propria condanna del platonismo cristiano.

Dato che quest’ultimo avrebbe preteso di interpretare il “Regno dei Cieli” allo stesso modo della dottrina platonica delle Idee, ossia secondo quello stesso idealismo che l’Autore considera fallimentare per definizione.

E così si può bene ipotizzare che il platonismo cristiano sia costantemente restato confitto nel Cristianesimo come una sorta di strano corpo estraneo dottrinario, in cui si sono sempre mescolati intellettualismo élitario e creduloneria superstiziosa.

Ebbene quali conclusioni si possono trarre da tutto questo riguardo al possibile rischio di scivolamento del dualismo platonico nella Gnosi?

La risposta è evidente in base ad un bilancio di tutte le considerazioni svolte da Inge.

Egli ritiene infatti che il rischio sussista solo per il platonismo pagano ma per nulla o molto meno per quello cristiano (a meno che esso non indulga a quella visione del Regno dei cieli che ho appena commentato).

Ciò significa allora che, nonostante ciò che ci fa vedere Hadot, in realtà il dualismo platonico pre-cristiano (pur non essendo affatto schiavo del mito e pur costituendo una metafisica razionalista) ha sempre corso il rischio di sfociare in una presa di posizione gnostica. E ciò avviene evidentemente proprio a causa di quella visione che scelse costantemente di vedere la Realtà solo nel mondo ideale-trascendente.

Tuttavia bisogna intanto chiedersi se tale dottrina non sia stata metafisico-religiosamente giustificata nonostante il suo rischio di scivolare nella Gnosi.

Come si può, infatti, concepire l’essere in maniera metafisico-religiosa senza credere almeno in una certa misura che la vera Realtà è solo quella trascendente?

Si tratta insomma della famosa dottrina della Prima e perfetta creazione originaria.

Ne abbiamo parlato in alcune lezioni precedenti.

Ebbene a questo punto è vero che il Cristianesimo professò una sorta di tendenziale materialismo metafisico – ossia una dottrina secondo la quale bisogna prendere atto del fatto che il mondo, il corpo e la carne sono quello che sono, ossia non solo sono entità sensibili ma sono anche la realtà nella quale siamo effettivamente immersi.

E qui pesa molto un giudizio radicalmente anti-platonico ed anti-idealista, che consiste nell’accusa di sognare quando ci si sforza di relativizzare l’esistenza del mondo sensibile per avvalorare invece l’esistenza del mondo ultra-sensibile.

Ma intanto in fondo a cosa ci si riferisce quando cristianamente si parla del Regno dei Cieli?

Ci si riferisce forse al mondo sensibile e corporale-carnale accettato incondizionatamente così com’è? No affatto!

Ci si riferisce invece a questo mondo solo nel potenziale di trasfigurazione spirituale che esso contiene in sé grazie all’Incarnazione di Cristo accompagnata dalla Resurrezione.

Ci si riferisce quindi a qualcosa che è un «di là da venire», e non invece una realtà «attuale». Anche se vi sono teologi come Guardini che sottolineano con forza la possibilità di una trasfigurazione hic et nunc, e quindi pre-escatologica.13

Tuttavia anche in questo caso si tratta pur sempre di una trasfigurazione, e pertanto di qualcosa che ancora non è qui.

Dunque non vi è anche in questo credo qualche traccia del disprezzo gnostico per il mondo?

Ed allora è proprio vero che il Cristianesimo ha cancellato totalmente in sé stesso quella commistione con la Gnosi della quale restò invece vittima il Paganesimo?

Insomma è veramente difficile non nutrire dubbi in tal senso. E del resto vi è chi ha affermato che la mistica (di qualunque tipo, inclusa quella cristiana) è sempre “gnostica” per definizione.14

Quindi è opinabile che se la Gnosi è lontanissima dalla prassi religiosa ordinaria, essa non lo è poi così tanto allorquando ci si sposta verso il campo della mistica, ossia quella prassi che punta al vissuto diretto e non indiretto di Dio (unione mistica).

Ebbene allora il tipico dualismo platonico si offre qui come un elemento tendenzialmente «negativo» ma dalla portata in definitiva «positiva» in termini metafisico-religiosi.

Esso insomma finisce per avere un valore proprio in quanto comporta il costante rischio di scivolamento verso la Gnosi.

A questo punto bisogna però sottolineare che la Gnosi è una dottrina che deve sempre venire maneggiata con molta prudenza.

In essa è infatti fortemente incline a concepire in modo titanistico se non demonico l’ascesa umana verso Dio, ossia appunto l’unione mistica.

Questo può venire dedotto anche dallo stesso Hadot, il quale sottolinea come in Plotino stesso (così come in tutto il Neoplatonismo pagano) l’ascesa a Dio venne intesa come una prassi inscritta totalmente entro l’esistenza carnale e mondana, ossia la prassi misterico-iniziatica.15

E lo stesso viene sottolineato in uno degli articoli che discuteremo a proposito dei nuovi studi che si propongono di assimilare Meister Eckhart al Buddhismo zen − l’ascesi che reca all’unione mistica dovrebbe venire intesa come pienamente inscritta nella vita terrena, e quindi come “azione” invece che come “contemplazione”.16

Se però teniamo conto di quanto dice Florenskij ci rendiamo immediatamente conto degli immensi rischi connessi con un’ascesi a Dio concepita in tal modo.17

Proprio nell’atto ascensivo umano, infatti, tendono a presentarsi entità spirituali della cui vera identità divina non si può essere assolutamente certi. E quindi è molto più prudente attendere umilmente che il divino si manifesti a noi discensivamente, e cioè per Grazia.

Di tutto questo ho comunque parlato diffusamente nel mio saggio dedicato alla “Sophia”.18

Per concludere possiamo quindi dire che basicamente il platonismo è da considerare come distinto dalla Gnosi sia nella sua versione pagana che nella sua versione cristiana. Tuttavia esso mantiene con la Gnosi stessa delle relazioni che vanno anche oltre l’ovvio argomento dell’attribuzione di piena onticità alla sostanza intellettuale.

Infine si può ben sostenere che il platonismo cristiano (data la sua ininterrotta continuità con quello pagano) è stato sempre almeno tendenzialmente prossimo ad alcuni aspetti della Gnosi.

Ciò avviene senz’altro per l’intermediazione del classico dualismo platonico. E quest’ultimo comporta quindi inevitabilmente una certa svalorizzazione del mondo così com’esso si presenta sensibilmente.

Del resto bisogna dire che è quasi impossibile condurre una vita religiosa se intanto non si coltiva una certa distanza dal mondo sensibile con tutte le sue dolcissime promesse e tutte le sue amarissime disillusioni.

A questo punto, quindi, se l’homo religiosus non è in una qualche misura pessimista al modo degli gnostici, finisce per essere non solo ingenuo ma anche alla fine non troppo credente come invece dovrebbe essere.

 

 

Note

1. L. J. Boch, Platonism and its relation to modern though, in «The Speculative J. of. Philosophy», 19 (1) 1885, pp.33-52; P. Natorp, Platons Ideenlehre. Eine Einführung in den Idealismus, Berlin, Holzinger, 2013; J.,E. Jalbert, Husserl’s Position Between Dilthey and the Windelband-Rickert School of Neo-Kantianism, in  «Journal of History Philosophy», 6 (2) 1988, pp.279-296; F. Gonzales, Dialectic as ‘philosophical embarassement’ : Heidegger’s critique to Plato’s method, in «Journal of the History of Philosophy», 40 (3) 2002, pp.361-389; N. Kitarō, John W.M. Krummel, «The issue of consciousness», in «Philosophy East and West», 62 (1) 2012, pp.44-51; R. Arp, The pragmatic value of Frege’s Platonism for the pragmatist, in «The Journal of Speculative Philosophy», 19 (1) 2005, pp.22-41; G. E. Rosado Haddock, Why and how Platonism?, in «Logic Journal of IGPL», 15 (5-6) 2007, pp.621-636 (2007); G. E. Rosado Haddock, Husserl’s epistemology of mathematics and the foundation of platonism in mathematics, in «Human Studies», 4, 1987, pp.81-102.

2. Cfr. V. Nuzzo, Il Platone proibito e l’Idea come la più reale delle cose, Aracne, Roma, 2017.

3. J.Gentzler, How to know the Good. The moral Epistemology of Plato’s Republic, in «The Philosophical Revue», 114 (4) 2005, pp.469-496.

4. L. P. Gerson, What is Platonism?, in «Journal of History of Philosophy», 43 (3), 2005, pp.253-276.

5. E.M. Cioran, Il funesto Demiurgo, Adelphi, Milano, 1986.

6. P. Hadot, La felicità degli antichi, Raffello Cortina Editore, Milano, 2011, pp.119-150; R. Inge, The permanent influence of Neoplatonism upon Christianity, in «The Am. Journal of Theology», 4 (2), 1900, pp.328-344.

7. R. Inge, The permanent influence of Neoplatonism upon Christianity, in «The Am. Journal of Theology», 4 (2), 1900, pp. 328-329.

8. P. Hadot, La fine del paganesimo, cit., pp. 122-126.

9. G. Reale, Proclo. Teologia platonica, Bompiani, Milano, 2005 pp. XIII-LIII.

10. H. Tarant, Gnosticism, in «H. Popkin (Ed.), The Columbia History of Western Philosophy, Columbia University Press, New York, 1999, I pp. 100-102; B.A. Pearson, Gnosticism and Platonism: with special reference to Marsanes (NHC 10,), in «The Harward Theological Review», 77 (1) 1984, pp.55-72; V. Kharlanov, Clement of Alexandria on trinitarian and metaphysical relationality in the context of deification, Vladimir Kharlanov (Ed.), in «Theosis II: Deification in Christian Theology», James Clarke & Co., 2012, 3 pp. 83-99; J.D. Turner, The gnostic sethians and middle Platonism: interpretation of the ‘Timaeus’ and ‘Parmenides’, in «Vigilia Christianae», 60 (1) 2006, pp.9-64; R. Van den Boeck, The present state of gnostic studies, in «Vigilia Christianae», 37 (1), 1983, pp.41-71; A. Kanenskikh, Syzygies in Philo of Alexandria, in «Schole», 3 (2), 2009, pp.445-449; R. Guardini, Der Tod des Sokrates. Eine Interpretation der platonischen Schriften Eutyphron, Apologie, Kriton und Phaidon, Topos, Kevelaer, 2013, pp.170-171

11. P.Carus, Gnosticism in its relation to Christianity, in «The Monist», 8 (4), 1898, pp.502-546.

12. Cfr. L. Moraldi (a cura di), Pistis Sophia, Adelphi, Milano 2014.

13. R.Guardini, Der Herr, Grünewald & Schöningh, Ostfildern Paderborn 2016, I, 8 pp. 48-53, II, 3-4 pp. 100-115, II, 7 pp. 127-136, V, 6 pp. 413-419, V, 14 pp. 482-487, VI, 14 pp. 579-585.

14. F.José Da Silva Monteiro, Meister Eckhart e a gnose mística, in «Problemata», 6 (2) 2014, 346-360.

15. P.Hadot, La fine del paganesimo, cit. pp. 119-122.

16. R. Bouso, Action et contemplation: sur une lecture eckhartienne de Shizuteru Ueda, in «Théologique», 20 (1-2) 2012, 1 pp. 314-321.
17. Cfr. P.Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, Milano, 2014.

18. Cfr. Nuzzo, Sophia. La Sapienza divina, la Donna, l’Anima e il Corpo, Victrix, Forlì, 2017.

 

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