Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L'omaggio all'Italia di Lord Byron

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Il Childe Harold’s Pilgrimage, composto tra il 1812 e il 1818, occupa un posto rilevante nella costruzione culturale del romanticismo europeo.

Il malinconico contrasto romantico tra la bellezza della Natura, perennemente giovane, e le maestose rovine del passato, come pure tra la grandezza dei fasti del passato e la miseria politica presente, costituì un tema caro per il poeta e politico inglese George Gordon Noel Byron, meglio conosciuto come Lord Byron (Londra 1788 – Missolungi (Grecia) 1824)  che lo riprese con accenti più profondi a proposito dell'Italia.

Il Pellegrinaggio del giovane Harold esprimeva la disillusione e i turbamenti di un giovane che percorreva un cammino sofferto fra la passione quasi religiosa dell’uomo romantico e il cinismo di chi osserva appassire i propri ideali. Il percorso di Harold attraverso il Mediterraneo rilevava anche un anelito di ricerca e di purificazione spirituale.

In relazione all’Italia, il IV Canto del poema iniziava a Venezia, sul Ponte dei Sospiri, città tanto cara a Shakespeare. Il lettore veniva condotto ad Arquà, alla tomba del Petrarca, per poi proseguire verso Ferrara, città del poeta Torquato Tasso.

 

Il viaggio continuava con una visita a  Firenze, ove Lord Byron omaggiava  i “grandi “ sepolti nella Basilica di Santa Croce dove però mancavano i resti mortali di Dante Alighieri e di Giovanni Boccaccio

Successivamente il poeta attraversava il Trasimeno, le fonti del Clitumno le cascate del Velino per concludere il suo percorso a Roma, “l’eterna città dell’anima” e luogo ideale dell’auspicio del riscatto della libertà contro le tirannie.

Nella contemplazione della bellezza della natura, del “sublime” e della “grandezza” dei fasti passati si faceva sentire forte l’impulso verso la redenzione della libertà. I sentimenti e le emozioni dei versi del “Pellegrinaggio” evincevano nel contrasto tra la bellezza dei luoghi, la grandezza del passato e la decadenza politica del presente, in prospettiva di un necessario affrancamento.

In questo paesaggio Harold incarnava la generazione del primo Ottocento che, formatasi in epoca rivoluzionaria e napoleonica, si era trovata a vivere il clima della Restaurazione.

Il senso del passato dell’Italia, come anche della Grecia, confrontato con la dura realtà della Restaurazione, emergeva con toni mesti e inquieti, tipici del Romanticismo, un’insofferenza che a fatica frenava il vigore una bramata riscossa culturale e politica.

Il Grand Tour si rivelava autobiografico e, come è noto, lo stesso Byron non si sottrasse a lottare in prima persona per le idealità espresse nei suoi versi, trovando la morte in Grecia dove visse in prima persona gli aspri contrasti fra i greci che lottavano contro la dominazione turca.

In seguito a febbri reumatiche morì il 19 aprile 1824. Aveva 36 anni. La salma, riportata in Inghilterra, venne tumulata nella chiesa di St. Mary Magdalene a Hucknall Torkard, il suo cuore invece fu sepolto a Missolungi.

Il funerale vide un corteo di quarantasette carrozze listate a lutto ma vuote, col solo postiglione: fu l'ultima vendetta dell'aristocrazia verso il poeta ribelle.

Da allora si diffuse in Europa il mito dell’eroe byroniano, contribuendo a rafforzare la fiducia nell’indipendenza e nella libertà dei Popoli.

Il Childe Harold’s Pilgrimage fu pubblicato integralmente nel 1818 presso l’editore londinese John Murray.

Il canto IV del Childe Harold’s si apre con una John Hobhouse, il politico inglese amante dell’Italia, amico del poeta che lo accompagnò nel Grand Tour.

 

«Nel corso del canto seguente era mia intenzione, sia nel testo, sia nelle note, di trattare delle condizioni attuali della letteratura italiana, e forse anche dei costumi. [….] L’Italia ha ancora dei grandi nomi: Canova, Monti, Ugo Foscolo, Pindemonte, Visconti, Morelli, Cicognara, Albrizzi, Mezzofanti, Mai, Mustoxidi, Aglietti e Vacca assicureranno all’attuale generazione un posto onorevole nella maggior parte dei campi dell’Arte, delle Scienze e delle Belle Lettere. […]»

Già dalla dedica si intuiva il desiderio dell’autore di omaggiare la tradizione letteraria italiana nel contesto di sentimenti di ammirazione per una terra culla dell’arte e della bellezza, ma che non riusciva ad essere una libera Nazione indipendente.

Fu questo uno dei principali motivi di ispirazione della quarta parte del poema che ebbe come sfondo l’Europa napoleonica definitivamente sconfitta, il trionfo della Restaurazione, con una Italia ancora una volta ostaggio delle monarchie secolari.

Dalle  strofe XLII e XLIII si levava un pianto, la sofferenza di Harold espressa in un lamento atto a suscitare nel pubblico internazionale il medesimo sentimento di empatia nei confronti della patria italiana durante i tristi anni della Restaurazione.

La stessa bellezza dell’Italia si rivelava un dono “fatale” che racchiudeva dolori presenti e passati, nonché una tristezza intrisa di vergogna.

Era un’Italia segnata da un destino che la voleva bella ma fragile nella sua “nudità”.

Lord Byron le augurò di diventare meno bella ma più forte al fine di ricacciare gli “atterriti briganti” stranieri, dal proprio suolo, ponendo fine ad un’oppressione, causa di tanto dolore.

Il mito dell’eroe byroniano ispirò i versi dell’Inno Nazionale di Goffredo Mameli «Stringiamo a coorte, siamo pronti alla morte.»

 

BIBLIOGRAFIA

 

A.M. Banti, Nel nome dell’Italia. Il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, Laterza, Bari, 2010.

AA.VV, Atlante culturale del Risorgimento, Laterza, Bari, 2011.

D. Donatini – C. Giuliani, Il fatal dono della bellezza. L’Italia di Byron, Minerva Edizioni, Bologna, 2017.

L. Mascilli Migliorini, Il mito dell’eroe,Guida, Napoli, 1984.

 

 

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