Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Tra allucinazioni e felliniani Amarcord

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“Diario e riflessioni tra  serio e  faceto di un cittadino spaventato al tempo del Covid 19.”

Ora che ci siamo lasciati alle spalle anche questa triste e malinconica Pasqua,  ormai, trascorsi trenta e più giorni di clausura forzata e con l'infelice,  sconsolante prospettiva di  altri ventuno,  almeno fino al 3 maggio, da trascorrere rinchiusi nelle nostre case, come animali in gabbia per colpa di questo maledetto corona-virus che da troppo tempo gironzola per le strade e nelle case del mondo provocando contagi e morti a non finire, comincio ad avere le allucinazioni.

Si, proprio io che non ho mai sognato, neanche per sbaglio, comincio ora a vedere film mentali ad occhi aperti. Tra quelli frequenti mi rivedo uscire di casa accompagnato dal mio fedele amico a quattro zampe, Ciccio, adorabile, viziato mezzo volpino, che ci teneva compagnia fin dalla sua nascita, percorrere a piedi quei millecento metri che mi separano da Piazza Borrelli, dove aveva sede l'edicola del paese.

Era bello passeggiare con lui lungo i marciapiedi di via Canneto, proseguire per l'antica via Petraro, fermandoci ogni tanto a salutare qualcuno, magari scambiare quattro chiacchiere, fingendo di non sentire l'abbaiare di Ciccio insofferente alle non preventivate fermate, per poi proseguire il rilassante cammino.

 

Era il nostro appuntamento questo, mio e di Ciccio, riservato al sabato e alla domenica, quando ero libero dal lavoro, quello che mi portava da anni a Napoli, dal lunedì al venerdì, verso il Centro Direzionale, dove aveva sede l'ufficio in cui ero impiegato.

Dico ero, non solo in quanto questa buona abitudine è stata soppressa dal covid 19, ma perché da tempo il nostro amato cagnolino, dopo sedici anni di felice convivenza, ci ha lasciato per andare a giocare verso i suoi infiniti prati verdi.

Ed è passata a miglior vita anche l'unica edicola, vittima del vizio di non leggere, e soprattutto di non comprare giornali da parte dei miei acquisiti concittadini.

Triste condizione questa, ampiamente condivisa da buona parte del nostro italico popolo, considerando la falcidia delle edicole, ormai oasi di cultura sempre più rarefatte, quasi introvabili nel raggio di diversi chilometri.

Era bella Piazza Borrelli, con la sua chiesa imponente del tardo Ottocento, rifacimento di una più vecchia cappella dedicata a Santa Maria della Carità, (infantilmente datata ad un fantomatico XV secolo, quando il luogo era una desolante palude), il suo moderno edificio comunale, con l'ampio, sontuoso piazzale, luogo consacrato alle iniziative politiche, a sagre e feste di paese.

Un avveniristico  Palazzo di Governo che un tempo storpiava con il resto vetusto abitato, fino a quando altre moderne costruzioni non si sono aggregate, dando un senso all'insieme.

E piacevole è l'ampia agorà di fronte alla chiesa, con i suoi ombreggianti platani, da sempre luogo d'incontro e di scontro, di inciuci e di congiure, ma da tempo relegato ad ospitare sulle sue panchine soltanto vecchi stanchi ed annoiati e gli sfaccendati del dolce far niente.

Tranne la domenica, quando si riempie, anzi,  si riempiva, d'allegria per le entrate e uscite dei fedeli dall'amata chiesa, con baldi ragazzi ad attendere, nel sole di mezzogiorno, le fresche donzelle uscire dalla messa delle undici.

Una festa collettiva, un rito antico e sempre moderno che si ripeteva ad ogni cerimonia: dalla semplice messa al matrimonio, dal battesimo alle comunioni, rallegrando lo stanco, monotono trascorrere del tempo di questa quieta campagna.

Altri ora sono i luoghi d'incontro e di congiure delle varie bande, politiche e non, altre strade, altri angoli, altre piazze, dove pure i giovani amano soffermarsi, riunirsi, raggrupparsi.

Poco o niente in verità, come si è accennato in precedenza, è rimasto della salubre piazza, nata da un più antico, anonimo incrocio: oggi è allietata da due moderni, sontuosi bar che raccolgono vasti consensi non solo tra la sammaritana gioventù, ma anche dai vicini comuni, ed è modernizzata da un nuovo, privato edificio che raccoglie uffici e locali commerciali di varia natura.

Mentre leggo con orrore che nell'America di Trump le vittime cadono a migliaia peggio che nei campi di antiche battaglie,  e così in Spagna, in Gran Bretagna, in Germania e in altre 180 Nazioni, tutte falcidiate dallo stesso nemico, penso a quelle del nostro Paese con i suoi 23mila caduti e 173mila contagiati.

Mi terrorizza il pensiero che in Italia, dal 21 febbraio al 10 marzo sono stati quotidianamente uccisi per mano un alieno chiamato corona-virus complessivamente 631 persone, mentre nei giorni successivi oltre 700, con punte di 969. Solo in Lombardia i morti civili sono stati cinque volte di più della seconda guerra mondiale. Al momento in Italia si contano complessivamente oltre 23mila vittime.

Mi terrorizzano i numeri e le statistiche che vogliono i contagiati avere un età media di 62 anni e quelli morti gli 80, in quanto negli anta ci convivo ormai da molto tempo, seppure vicinissimo ai primi piuttosto che ai secondi, e pur godendo di buona salute, tremo al pensiero del contagio, di trasformarmi in uno di quei quattromila e più costretti a vivere nei reparti di terapia intensiva sperando di uscirne sani e salvi.

Già mi spaventa la sola ombra di poter essere contagiato e dover per questo finire in quarantena, guardato a vista, se tutto va bene, dagli stessi familiari, con terrore e sospetto. Uno di quei poveri 173mila attaccati all'osceno.

Mi consola il pensiero che nella mia cittadina campestre adagiata nella felice Valle del Sarno, dove ho messo radici ormai da quaranta lunghi anni, questo  pericoloso killer non ha ancora compiuto stragi.

Gli unici due casi si sono verificati uno il 1° aprile – sorta di amaro pesce d'aprile –  e il secondo tre giorni dopo. Sono stati contagiati due infermieri, il primo dipendente dell'ospedale di Torre del Greco, la seconda del nosocomio stabiese, entrambi esposti al contagio per via del loro lavoro nei rispettivi presidi.

Nella speranza che il contagio si fermi, la mia cittadina rimane una piccola Eden, un'isola verde circondata da acque minacciose, tra le confinanti Castellammare,  Gragnano e Pompei.

Un mare grigiastro ma ben lontano da quello nero cupo nel quale è precipitato il triangolo della morte del Nord Italia grazie all'armata Brancaleone che dirige alcuni, importanti, fondamentali Regioni.

Quando tutto finirà, pioveranno le inchieste su tante cose, processi penali che avranno tra gli imputati l’intera classe dirigente.1

Saranno portati in tribunali i tanti scheletri nell'armadio del nostro capitalismo fatto di corrotti  e venduti al Sistema, i giochi di potere che hanno reso la politica serva delle potenti lobby religiose, economiche e finanziarie, di fatto gli unici veri padroni del Bel Paese.

Forse da tutto questo nascerà una Nazione migliore, una più compiuta Democrazia. Ma forse la mia è soltanto un’illusione, un sogno destinato a naufragare nel mare delle utopie. In fondo basterebbe che gli Italiani conservassero la memoria di questi giorni epocali.  Chissà!

Sarà per questo che ormai la realtà mi è inguardabile e sogno ad occhi aperti la vita perduta.

Vivo le settimane, i giorni, perfino le ore, come sospeso, cullato dalle mie visioni oniriche di felliniana memoriache non mi lasciano andare avanti.2

Mi ritrovo in simbiosi con il protagonista di quel quel film, E' già ieri, dove ogni mattina ci si risvegliava sempre al giorno prima.3

A me capita di essermi fermato al mio giorno zero, a  quel 20 febbraio, il mio giorno prima, quando ancora guardavamo e ascoltavamo con apatica sufficienza le pur allarmanti notizie  del lontano, immaginifico Catai lontano diecimila chilometri da noi, troppo lontano per interessarci, per preoccuparci, dimentichi della globalizzazione che tutto ravvicina, annullando luoghi, tempo e spazio, cullandoli e violentandoli nel palmo di una mano.

Che fare?

Mi rimbomba nella mente questa domanda ben lontana da quella  amletica di Lenin o di Cernysevskij, ormai dimenticato scrittore, suo connazionale.4

Per me si tratta di scegliere tra il continuare a dondolarmi in questi sogni proibiti o svegliarmi e farla finita, tornando alla triste realtà.

Riprendere a guardare  l'odioso notiziario delle 18, sempre più simile ad un appuntamento con il boia, con il suo carico di tristezza senza fine, le mille trasmissioni che ormai ventiquattro ore su ventiquattro ci sommergono di dati, fatti, misfatti di sempre più improvvisati esperti la cui utilità è quella di aumentare la già grave confusione che regna sovrana nella mia, nostra povera testa?

No, meglio rituffarmi in quel paradisiaco 20 febbraio, lasciandomi accarezzare dalle onde del mar Tirreno, là dove bagna l'insenatura di Castellammare di Stabia, mia città natia e di mille antiche avventure, dalla piacevole visione della sua bella, alberata villa comunale, delle sue strade, quelle magnifiche e antiche, come le storiche piazze del Centro Storico, luoghi dell'epopea stabiese, con sullo sfondo la maestosità del sua bicentenario Cantiere Navale, pur esso ferito a morte. 

Ma non meno dolce mi è la romantica via Pioppelle, laddove sorgeva, gloriosa, la nostra “Botteghe Oscure”, la mitica, piccola sezione del Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, intitolata al grande dirigente napoletano, Giorgio Amendola.

E passandoci non posso non  ripensare  ai tanti compagni conosciuti, alcuni purtroppo scomparsi, come l'indimenticabile falegname, Raffaele Di Capua, “Zi’ Rafele” per gli amici e per tutti, come il povero Gennaro Fiorentino, per tutti, “Nuvolari”, disoccupato a tempo pieno e il burocratico, permaloso, Ciro Alfano, tutti strappati anzitempo all'affetto di quanti li avevano conosciuti.

Ricordo ancora quando ci presentammo, una fredda sera di febbraio di una vita fa, Salvatore Mazzuoccolo ed io, giovani, ambiziosi sociologi, forti della nostra cultura e del nostro passato di ferventi comunisti forgiati negli anni Settanta, lui in quel di Pomigliano D'Arco ed io nella formidabile Stalingrado del Sud.

Portammo la nostra esperienza, bevemmo del loro entusiasmo, come quello del giovane commercialista, Francesco Di Capua, futuro assessore nell'unica esperienza di governo vissuta, quando ormai il vessillo rosso era stato deposto dal fiero Achille.

E non posso non citare anche Giovanni Di Somma, professore di Educazione fisica, il secondo consigliere d'origine comunista, fondatore, con Michele Avellino, del primo e unico giornalino di sinistra mai pubblicato in Santa Maria la Carità, Palombella Rossa, uscito tra il 2006 e il 2007, periodico dei Democratici di Sinistra del Circolo, Giorgio Amendola.

E di quel fiore rosso nulla è rimasto nel nuovo partito, diventato tutt’altra cosa. Spazzatura travolta dalla storia e diventata cronaca. Il colore sceglietelo voi.

Quante serate trascorse lì dentro, nel fumo del sigaro puzzolente di “Zi Rafele”, delle troppe sigarette fumate da tutti noi, delle inutile chiacchiere su programmi irrealizzabili in un paese dominato da poche potenti famiglie capaci di condizionare il voto nel modo in cui volevano.

A questi individui, allora come oggi, come probabilmente anche domani e sempre, non importava il partito, considerato un optional, una taxi per gli ambiziosi di turno.

Cambiavano le sigle, era ieri la Democrazia Cristiana, poi Forza Italia ed infine le liste civiche, ma i musicanti erano sempre gli stessi, oppure i loro eredi o vassalli, valvassori e valvassini.

Un giorno toccava ad un gruppo e all’indomani ad un altro, ma mai si usciva dal cerchio, un circolo vizioso mai spezzato.

Erano tempi in cui ancora contavano i comizi di piazza, il volantinaggio porta a porta, l'uscire di notte per attaccare i manifesti politici, pur sapendo che era tutto inutile e che mai avremmo visto il “Sol dell'avvenire”.

Ma non ci importava, eravamo pochi, soli, ma caparbi e ci consolavamo bevendo birra e mangiando pizza. Quell’utopia stretta nel cuore ci rendeva felici. 

E ora tutto è finito, ora tutto mi appare infinitamente lontano, racchiuso in quel felliniano sogno ad occhi aperti che mi consola avvolgendomi nella nostalgia. E’ un ricordo che non mi lascia, e che mi protegge da una realtà ingrata.

Pare che oggi tutto sia stato oscurato dalle ali di quel pipistrello cinese da cui si è generato il virus impietoso.

Il mondo gira tra scienziati, politici e un mare di morti, notizie che rimbalzano da una rete all’altra, spesso distorte, e sempre più allarmanti. E mentre l’angoscia lievita e nulla ha più certezza di essere,  io vaneggio allucinato nel mio soliloquio, preso, inghiottito dal mio sogno ad occhi aperti, ancorato a quel 20 febbraio sempre più lontano.

Ma intanto l’inesorabile realtà m'inghiotte, e quel maledetto bollettino di guerra delle 18 segna i miei giorni:  aspettando, sperando e sognando.5

 

 

Note

1. Non si potrà, per esempio, non ragionare, su quanto è accaduto in molte, troppe Rsa (Residenze Sanitarie Anziani).

Ho ancora davanti agli occhi l'orrore delle immagini di questi luoghi trasformati in gironi infernali, dove migliaia di poveri anziani malati,  molti, forse la maggioranza, incapaci di provvedere a sé stessi, sono stati lasciati morire per la scelta scellerata degli assessori alla Sanità di diverse Regioni.

Tra le prime quella lombarda con  oltre duemila morti, rea di aver trasferito dagli ospedali centinaia di contagiati di Covid 19 senza le dovute garanzia di assistenza medica.

Non meno colpevoli i tanti direttori e dirigenti dei vari istituti per aver taciuto e nascosto quanto accadeva. In questo scandalo  emerge, su tutti gli altri istituti indagati, il famigerato Pio Albergo Trivulzio, già famoso nei primi anni Novanta per aver dato l'avvio a Tangentopoli, ponendo fine alla Prima Repubblica per costruirne, purtroppo, una peggiore.

Il nuovo malaffare e l'improvvida gestione sanitaria porterà ad una nuova Repubblica dei capaci e degli onesti o tutto tornerà come prima?

2. Amarcord, film capolavoro di Federico Fellini del 1973, premio Oscar. Tra gli attori la grande, Pupella Maggio e Ciccio Ingrassia.

3. È già ieri, film di Giulio Manfredonia, con Antonio Albanese e Fabio de Luigi, 2004.

4. Lenin, Che fare?, 1902, in Italia pubblicato da  Editori Riuniti, 1970.

Nikolaj G. Cernysevskij, Che fare?, 1863, in Italia pubblicato da Editori Riuniti, 1977.

5. Fortunatamente in questi ultimi giorni stiamo finalmente assistendo ad una curva discendente di contagiati e deceduti. Dopo dieci giorni in cui i morti superavano costantemente i 700 morti al giorno, il 4 aprile scorso i deceduti sono scesi sotto questa fatidica soglia:681. Una curva ballerina, seppure al ribasso, con le sue oscillazioni tra 636  e 431 morti.  Costante il calo dei contagiati e dei guariti. Comincia la ritirata, inizia  la Vittoria? Al 3 maggio l'ardua sentenza.

 

 

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