Il busto di Azzariti, il giurista antisemita
È la storia paradossale del napoletano Gaetano Azzariti. Ne avevano già parlato Mario Avagliano e Marco Palmieri nel libro Di pura razza italiana. La sua vicenda è stata approfondita da Massimiliano Boni, consigliere della Corte costituzionale, in un saggio sulla rivista del Mulino Contemporanea, di cui ha parlato anche Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Boni ha ricostruito la vita di Azzariti e il suo ruolo importante nella burocrazia razzista del regime di Mussolini, e ha censito 45 libri, saggi e discorsi vari nel catalogo delle biblioteche italiane, con il suo nome nel titolo o tra gli autori. Neppure uno cita la sua fede fascista e la sua consapevole scelta razzista. Misteriosamente nel dopoguerra tutti gli atti del Tribunale della Razza sparirono.
Nel “riciclaggio” di Azzariti ebbe un ruolo anche il leader comunista Palmiro Togliatti, che lo prese come suo collaboratore al ministero della Giustizia. Qualche anno dopo, nel 1957, divenne presidente della Corte Costituzionale. Una storia livida e vergognosa. Una testimonianza del passato razzista degli italiani colpevolmente oscurato dalla classe dirigente dell’epoca e che solo di recente riaffiora. Della vicenda di Azzariti, si è occupata diversi anni fa anche Barbara Raggi, con un articolo su Il Manifesto, citato da Michele Sarfatti nel suo Gli ebrei italiani durante il fascismo e più di recente con il libro Baroni di Razza.
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