Euripide e Ovidio in difesa di Venere
Ovidio è uno dei massimi poeti non solo della letteratura latina, ma di quella universale. Nell’opera teatrale “Ippolito” di Euripide e nella immaginaria lettera di Fedra a Ippolito nelle “Eroidi” di Ovidio, si riscontra, tra i tanti, vari motivi dell’intreccio della tragica vicenda, secondo una personale lettura, quindi discutibile, anche una profonda critica della verginità femminile, della castità maschile, cogliendone l’offesa che essa fa a leggi fondamentali dell’umano esistere e le tragedie che essa produce a livello profondo dell’equilibrio psicofisico, della sanità della vita interiore, rompendo il fondamentale, necessario rapporto tra spiritualità e corporeità, offendendo il divino, incarnato nel mondo antico dalla figurazione di Venere. Il capovolgimento cristiano di quella millenaria posizione, con l’esaltazione della verginità anzitutto femminile e anche della castità maschile, e con la condanna come peccato della spontanea, naturale, positiva sessualità, ha prodotto e continua a produrre una delle più tragiche sciagure nella storia dell’umanità e della fondamentale emozionalità, i cui effetti stanno, secondo una meditata visione personale, dietro a tante sofferenze profonde, a tanti squilibri psico-fisici e a tanti fatti di cronaca disumana quotidiana (es. repressioni, gelosie, possessi, femminicidi, malattie mentali e psicologiche).
Forte sentimento della propria dignità, libertà personale e sua rivendicazione energica e decisa, a partire dell’appartenenza a sè del proprio corpo, che mai si deve e si puó cedere ad alcuno, ad alcuna, diviene schiavitù di fatto. Un sereno rapporto con la emozionalità e la sessualità si configurano, alla luce di lunghe, meditate riflessioni e di esperienze, sempre personali, come vie fondamentali per il raggiungimento e la realizzazione di esistenze più autentiche e di convivenze più serene e feconde.
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