Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Ricordando Eleonora “libera cittadina” della Repubblica Napoletana del 1799

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Sono passati duecentoventi anni dal quel Sabato, 14 Piovoso dell’anno VII della Libertà; I della Repubblica Napolitana, una e indivisibile, che cadeva, quindi, nel 2 febbraio del 1799 d. C, quando venne pubblicato il Primo numero del Monitore Napoletano, il giornale della Repubblica Napolitana.

Soffiavano già da qualche anno su tutta l’Europa, con il vento della cultura illuminista, gli echi della Rivoluzione Francese. Soffiavano anche sull’Italia che era ancora una denominazione geografica, generando, tra il 1797 e 1799, le Repubbliche Sorelle.

Napoli, città colta e illuminata dal pensiero di uomini illustri quali Francesco Pagano, Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Domenico Cirillo, Bernardo Tanucci, raccolse, con gli aneliti di libertà e di eguaglianza, il testimone della rivoluzione all’alba del 1799 e Il Monitore Napoletano fu il “Giornale”ufficiale di quella straordinaria esperienza rivoluzionaria.

Fu chiamata a dirigerlo, Eleonora de Fonseca Pimentel, donna colta, di nobili origini e bibliotecaria della regina M. Carolina moglie di Ferdinando IV di Borbone.

 

Scrittrice illuminata, La Pimentel sposò gli ideali di libertà e di eguaglianza che giungevano d’oltralpe e, armata della solo penna, divenne la voce dei rivoluzionari indipendentisti.

Registrava le notizie ufficiali della Repubblica e le notizie da Napoli e dall’estero, “in gran parte da sola”, come scrisse di lei Maria Antonietta Macciocchi, o con l’aiuto di giovani cronisti volontari che raccoglievano le notizie, quasi allievi di una scuola di giornalismo.

Con grande passione politica, mantenne alti gli ideali di libertà e di uguaglianza tra i giacobini repubblicani, scrivendo sul Monitore, per tutto il tempo della breve vita della Repubblica fino all’ultimo numero che fu pubblicato l’8 giugno dello stesso anno, cinque giorni prima dell’entrata in città delle orde del cardinale Ruffo e della definitiva capitolazione della Repubblica.

Pagò con la vita come la maggior parte di tutti gli intellettuali illuminati del tempo, la fede negli ideali repubblicani. Li uccisero tutti mediante impiccagione, ma li consegnarono alla nobile memoria della Storia. A Eleonora, che avrebbe avuto diritto, come i nobili e i reali, alla decapitazione non fu risparmiata nemmeno l’umiliazione dell’impiccagione.

Troppo grande fu considerata la colpa della libertà di pensiero e l’aver osato divulgare le idee di uguaglianza e di libertà, servendosi, per di più, di una cultura conquistata tra le pareti di una biblioteca reale e il suo corpo penzolò per una intera giornata in Piazza Mercato, a futura memoria e monito contro eventuali altri tentativi di insurrezioni repubblicane.

Dopo 220 anni, il 18 maggio 2019, nell’ambito del Maggio dei libri in Valle Telesina organizzato dalla dott. Antonietta Cutillo nell’Abbazia normanna del S.S. Salvatore, gli studenti del Liceo classico “Giannone” di Benevento insieme agli studenti dell’IIS Telesi@  e a quelli dell’Istituto  Carafa- Giustiniani, accompagnati dai rispettivi docenti hanno  dedicato una intera giornata di studio, con la presentazione di elaborati originali e video, per  ricordare  gli eroi di quella gloriosa Repubblica  Napoletana del 1799 e per celebrare l’importanza che quella prima breve parentesi repubblicana ebbe sulla successione di moti insurrezionali  che si conclusero con l’Unità d’Italia.

La sessione di studio si è chiusa con l’intervento della dott. Antonella Orefice, rifondatrice e direttrice del “Nuovo Monitore Napoletano”, della Prof. Angela Iacobucci, autrice di un saggio sulla Rivoluzione Risorgimentale a Benevento, del giornalista Giancristiano Desiderio, autore di un saggio sul Brigantaggio Post-unitario e della Prof Rossella Del Prete, docente di Storia Economica, presso l’Università degli Studi del Sannio.

Di seguito riportiamo il lavoro curato degli studenti della classe IIA del Liceo Classico ‘Pietro Giannone’ di Benevento con l'ausilio della prof. Teresa Simeone.

 

 

Non suddita ma cittadina di una libera Repubblica.

 

Avere conoscenza della storia è necessario non solo per comprendere il nostro passato, ma anche e soprattutto per riconoscere il valore di coloro che hanno contribuito a cambiarne il corso o, quantomeno, hanno tentato di farlo. È il caso delle donne e degli uomini che nel 1799 decisero di combattere, con la penna e con il sangue, in nome degli ideali di libertà, fratellanza e giustizia che attraversarono quegli anni di rivoluzione e scelsero di essere, sia pure per un breve periodo, i protagonisti della speranza.

Cittadini di una libera Repubblica, non sudditi, si dichiararono e nella giustezza di tali decisioni molti salirono sul patibolo.

Per il popolo che volevano educare, da quel popolo che non comprese fino in fondo cosa volesse significare tale scelta, ebbero l’insulto più amaro e insopportabile.

La storia ha voluto che la migliore intelligenza e la più raffinata espressione della cultura illuminata di Napoli venissero stroncate, isterilite nei frutti più fecondi, annichilite nei germi vitali, chiuse a scenari futuri, compressi in quel presente immutabile.

La storia, però, è anche fatta di donne e di uomini che continuano a pensare e a far riascoltare le voci che dal passato ci parlano e ci raccontano che da una moltitudine a volte informe, spesso inconsapevole e confusa, ci sono anime che emergono, spingono con la potenza dell’intelletto e agiscono disperatamente ma irreversibilmente, con la forza della volontà contro il pessimismo della ragione.

Sono donne e uomini nati per non essere servi, per spezzare le catene, per indicare strade difficili verso mondi possibili. Sono esseri umani che le loro scelte hanno trasformato in eroi ma che volevano soltanto essere liberi e liberi insieme agli altri. Come volle essere Leonor da Fonseca Pimentel, meglio conosciuta come Eleonora Pimentel de Fonseca.

Eleonora nacque nel 1752 da una famiglia borghese di piccola nobiltà; dopo alcuni anni trascorsi a Roma si spostò a Napoli. Ricevette un’istruzione letteraria e scientifica che le permise di avere una solida formazione culturale e una libertà di pensiero inimmaginabile per quei tempi. Si sposò con Pasquale Tria de Solis ma la relazione fu tormentata e complicata, tanto che si arrivò addirittura a un processo per la separazione.

Solo la maternità riuscì a darle un po’ di conforto, ma il figlio che aveva tanto atteso, e che allevò forse più come insegnante che come madre, morì dopo pochi mesi. Ebbe anche una seconda gravidanza, che terminò, purtroppo, con un aborto.

Tra il 1794 e il 1795 Eleonora fu indicata, per la prima volta, come simpatizzante delle idee francesi e, nei primi di ottobre del 1798, arrestata. Fu liberata insieme ai suoi compagni a metà gennaio del 1799 e con gli altri giacobini fondò il comitato dei compatrioti. Proclamata la repubblica napoletana, Eleonora accettò la direzione del “Monitore napoletano”. Dai suoi articoli emerge che, tra moderati ed estremisti, fosse piuttosto orientata verso una politica concreta che prendesse in esame immediatamente il problema delle riforme della struttura economica, secondo gli interessi del popolo napoletano.

Abbandonata dai francesi, la Repubblica napoletana fu travolta definitivamente nella seconda metà di giugno del 1799. Eleonora, una delle vittime designate tra coloro che avevano partecipato alla Rivoluzione, fu condotta al carcere della Vicaria dove fu frettolosamente giudicata ed il 17 agosto condannata a morte per impiccagione. Il suo corpo fu lasciato per un intero giorno penzolare dalla forca di Piazza del Mercato, esposto agli insulti del popolo. 

È opportuno ricordare che l'Illuminismo italiano era stato particolarmente attivo a Napoli. La città partenopea, con la capitale francese, fu quella che meglio rappresentò il "secolo dei lumi". Infatti, non assorbì semplicemente questa corrente, anzi, la generò in buona parte, dando vita ad altri concetti filosofici, a nuove forme architettoniche e ponendo le basi dell'economia e del diritto moderno.

In realtà Napoli era già stata il centro vitale della filosofia naturalistica del Rinascimento e ora tornava a dare nuovo impulso al pensiero di diversi esponenti. Figure come Francesco Mario Pagano, che in gran parte si rifaceva all’opera di Gianbattista Vico; Antonio Genovesi, a cui si deve anche la nascita della scuola economica; Domenico Cirillo, patriota e tra i promotori della Repubblica; Bernardo Tanucci, che occupò un ruolo di primo piano nella politica nell’età settecentesca; Gaetano Filangieri, giurista e filosofo, che con la sua “Scienza della Legislazione” farà da ispiratore agli artefici della Rivoluzione francese rappresentavano l’intellighenzia e le menti più progressiste della Napoli del ‘700.

Allo scoppiare della Rivoluzione francese nel 1789 non vi erano state immediate ripercussioni a Napoli; fu solo dopo la caduta della monarchia francese e la morte per ghigliottina dei reali di Francia (1793) che la politica del Re di Napoli e Sicilia, Ferdinando IV, e della sua consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, cominciò ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino.

Intanto i francesi dilagavano in Italia; l'una dopo l'altra vennero proclamate repubbliche "sorelle", filofrancesi e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797, la Repubblica Romana nel 1798).  Il 23 gennaio, con l'approvazione e l'appoggio del comandante dell'esercito francese, fu proclamata la Repubblica Napoletana e conseguentemente venne a formarsi un governo provvisorio di venti membri, poi portato a venticinque.

Il 2 febbraio si pubblicò il primo numero del giornale ufficiale del governo provvisorio, il Monitore Napoletano, diretto, come ricordato, da Eleonora Pimentel Fonseca.

La vita della neonata Repubblica risultò difficile fin dagli inizi: sebbene i repubblicani fossero spesso personalità di grande rilievo e cultura, apparivano anche eccessivamente dottrinari e lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo napoletano. Inoltre la Repubblica ebbe un'autonomia estremamente limitata, sottoposta di fatto alla dittatura di Championnet e alle difficoltà finanziarie, causate principalmente dalle richieste dell'esercito francese costantemente in armi sul suo territorio.

Non si riuscirà mai a costituire un vero e proprio esercito ottenendo solo limitati successi nella democratizzazione delle province. A questo si aggiunse una repressione spietata e sanguinaria contro gli oppositori del regime che certo non aiutava a conquistare le simpatie popolari. In quei frangenti, una squadra navale inglese tentò la conquista dal mare ma, dopo una breve occupazione dell'isola di Procida, dovette battere in ritirata per la superiorità delle navi comandate dall'ammiraglio Francesco Caracciolo. Successivamente, nel mese di aprile, in seguito alle sconfitte subite in Italia settentrionale a opera degli Austro-Russi, i Francesi furono costretti a ritirarsi prima dalle province e il 7 maggio da Napoli.

I repubblicani tentarono di difendersi da soli contro i sanfedisti che giunsero da Sud, ma il 13 giugno la città fu raggiunta e riconquistata dalle armate del cardinale Ruffo, nonostante la strenua resistenza del Forte di Vigliena. Pochi giorni dopo, tra il 18 e il 22 giugno, si arresero gli ultimi forti cittadini in mano ai repubblicani: Castel dell'Ovo, Castel Nuovo e Castel Sant'Elmo.

Ottenuta la resa dei repubblicani, restava da decidere sul loro destino, la cui posizione, dal punto di vista giuridico, era molto difficile: poiché la Repubblica napoletana non era stata riconosciuta, essi non erano considerati prigionieri di guerra e rischiavano di essere giudicati da un tribunale penale come traditori e condannati a morte.

Ai repubblicani trincerati in Castel Sant'Elmo, il Comandante Generale del Re, Fabrizio Ruffo, offrì un'"onorevole capitolazione", concedendo loro di optare per la fuga, imbarcandosi o seguendo le guarnigioni francesi. Ma appena questo accordo fu sottoscritto ed accettato anche dai comandanti delle truppe regolari presenti all'assedio, Ferdinando IV e la regina Carolina, sentendosi forti dell'appoggio inglese, lo esautorarono dal comando.

La repubblica fu dichiarata decaduta l'8 luglio dal re Ferdinando IV di Borbone e il patto disatteso.

La figura di Eleonora de Fonseca Pimentel, “bella e di santi costumi”, come la definisce Atto Vannucci, è stata tramandata dallo sguardo maschilista dei suoi contemporanei come donna “virile”, in quanto anche al momento della sua morte non ha avuto un attimo di debolezza. Non parlava molto della sua vita privata, ma analizzando le sue vicende si possono desumere i tratti fondamentali della sua personalità.

La direttrice del Monitore, fino all’ultimo giorno, ha continuato a credere nei propri ideali repubblicani e nella vittoria della libertà, illudendo se stessa e i lettori del suo giornale. Si evince, però, dai suoi scritti che ella intuisse a cosa sarebbe andata incontro solo un mese dopo, anche se mai esplicitamente ammesso.

Si sa che si trovava su una delle navi dei “capitolati” per i quali era previsto l’esilio. I patti non furono mantenuti e anche Eleonora fu fatta scendere e portata in carcere.

Le sue ultime preoccupazioni, prima di morire, riguardarono il riconoscimento del suo ceto sociale e la morte per decapitazione che quindi le spettava e la richiesta di chiudersi la gonna, segno di pudicizia, prima di essere impiccata, per non mostrare anche al momento della morte il proprio corpo.

È valsa la pena perdere la vita per quelle scelte? Non è dato saperlo; di sicuro quando si lotta non si pensa a morire: si pensa a combattere.

 

 

 

 

 

 

 

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