Einstein e la foto del buco nero
Scriveva Werner Heisenberg, uno dei padri della fisica quantistica: «Comunemente si crede che la nostra scienza sia di tipo empirico e che i nostri concetti e i nostri nessi matematici derivino da dati empirici. Se ciò fosse completamente vero, addentrandoci in un nuovo campo, potremmo introdurre solo grandezze tali da potersi osservare direttamente e formulando le leggi naturali solo in virtù di queste grandezze. Quando ero giovane pensavo che Einstein nella sua teoria della relatività avesse seguito proprio questa filosofia». Il grande fisico tedesco si accorse ben presto che le cose non stanno affatto così. I rapporti tra teoria e osservazione sono complicati o, ancor meglio, molto meno semplici di quanto l’induttivismo tradizionale voglia far credere. Aveva in sostanza ragione Karl Popper quando notava che è la teoria a indirizzare l’osservazione, anche se il nostro senso comune ci spinge a sostenere il contrario.
Non solo. E’ impossibile parlare di osservazione “pura”, poiché essa è sempre impregnata di teoria, e la stessa meccanica quantistica ci ha poi fatto capire che tra soggetto e oggetto non c’è mai una linea di confine netta, al punto che essi si possono scambiare i ruoli. E lo stesso Heisenberg disse in seguito che “l’attenzione e l’intuito di coloro che cercano di interpretare i fenomeni svolgono un ruolo importantissimo nello sviluppo, e perciò lo sfondo filosofico da cui partono – consciamente o meno – ha un’influenza determinante sui risultati della loro attività”. Proprio per questo Heisenberg ritiene che “lo sfondo filosofico” abbia un ruolo speciale nel guidare la ricerca nella fisica (e nella scienza in genere) contemporanea. Si tratta di una storia diversa da quella narrata dall’epistemologia neopositivista, prevalente nella filosofia della scienza per molti decenni nel secolo scorso. Ed è allora importante riflettere sulle conseguenze che se ne devono trarre, soprattutto perché sono proprio le scoperte scientifiche a confermare che le intuizioni di Popper, Heisenberg e altri circa i rapporti tra osservazione e teoria sono giustificate. Ora che è stata ottenuta la prima prova “visiva” dell’esistenza dei buchi neri, mediante il lavoro del gruppo di ricerca dello “Event Horizon Telescope”, abbiamo un’ulteriore conferma della teoria della relatività. Si noti tuttavia che Albert Einstein aveva sì previsto il fenomeno, ma senza basarsi sull’osservazione o su dati osservativi. Formulò infatti la sua ipotesi all’interno della teoria stessa e, benché fossimo già a conoscenza della sua validità, mancava sino a questo momento una conferma così diretta. Ancora una volta abbiamo la prova che, nella scienza come altrove, per raggiungere grandi risultati servono più l’intuizione e la fantasia della routine quotidiana. E qui si vede che anche Thomas Kuhn, tracciando la celebre distinzione tra scienza normale e scienza straordinaria ne “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, aveva colto un aspetto essenziale della ricerca scientifica e dei suoi successi. C’è solo da sperare che in un periodo come questo, nel quale i sostenitori della “Terra piatta” e i negatori dello sbarco umano sulla Luna hanno grande popolarità nei social network, qualcuno non neghi anche la validità della foto del buco nero che si trova in una galassia a 55 milioni di anni luce da noi. Ma può succedere, come recenti episodi hanno purtroppo dimostrato.
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