Rita Atria, una ragazza e una strada contro la mafia
«Avevo anche un giudice, non uno qualsiasi, ma quello che più spaventava le mafie. Si chiamava Borsellino, ma per me era zio Paolo, così lo chiamai. Andai da lui dopo la morte di Nicola e gli raccontai tutto, ma proprio tutto. In fondo, Nicola non aveva segreti per me. Gli dissi chi erano i capi, quali i politici corrotti e quali erano gli spostamenti e i nascondigli. Allora la mafia si spaventò davvero, perché doveva vedersela con noi due, con il giudice e la ragazzina. Prima di combattere la mafia devi farti un autoesame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta, morta davvero. Mi lanciai nel vuoto che la mafia mi aveva lasciato. Ciao, io mi chiamo Rita, Rita Atria, vengo da Partana, il paese delle pecore, non ho ancora compiuto diciotto anni e non li compirò mai.» Rita Atria si uccise a diciassette anni, una settimana dopo la strage di via D’Amelio perché aveva perso ogni punto di riferimento nella vita e nello Stato dopo aver collaborato con Paolo Borsellino per aver denunciato la mafia presente pesantemente anche nella sua stessa famiglia.
La toponomastica della città di Napoli aggiunge così un’altra donna alla civiltà della memoria. Partendo dai quindici nomi di presenze fra i nomi di strade e piazze, in questi ultimi anni sono già trentasei i nomi dedicati a donne che hanno lasciato una testimonianza alla società con la loro storia di resistenza e di sete di giustizia.
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