Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vincenzo Somma: storia vera di un comunista d’altri tempi

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«Sono il compagno Vincenzo Somma, di Castellammare di Stabia, nato il 4 settembre 1919. Mi sono iscritto al PCI alla fine dell’anno 1943. Fui spinto ad aderire al PCI più da ragioni umanitarie che per convinzioni politiche, anzi al momento che m’iscrissi capivo poco o niente della politica del PCI. I miei familiari sono contadini, io ho sempre lavorato in fabbrica. All’età di dodici anni compii la 5° elementare e incominciai a lavorare in un pastificio».

Comincia così il memoriale scritto da Vincenzo Somma il 30 novembre 1959 e indirizzato alla Commissione di Controllo della Federazione provinciale comunista, come atto difensivo nella diatriba che lo contrappose a Liberato De Filippo, come vedremo più avanti.

Figlio di Carmine e Carmela Malafronte, era il primogenito di sei figli. Ancora ragazzo andò a lavorare all’Avis per un periodo di sei mesi, il tempo di costruire alcune baracche per la guerra d’Africa, fu poi assunto definitivamente nel 1936, dopo aver frequentato un corso per saldatore elettrico e idroelettrico.

Da un anno l’AVIS, le Industrie Stabiensi Meccaniche e Navali con sede in via Napoli 269, era stata acquisita dal gruppo milanese, Caproni, una delle più importanti aziende aeronautiche, specializzata nella costruzione di parti d’aereo e il numero dei dipendenti dello stabilimento stabiese crebbe fino a superare le mille unità, anche per rispondere alle esigenze belliche, nate dalle mire imperialistiche verso l’Africa  del regime fascista e in preparazione del conflitto mondiale che da lì a qualche anno avrebbe coinvolto le massime potenze mondiali. In fabbrica prese contatti con elementi del Partito Comunista, tra cui Giovanni Esposito, detto “o russ”, per il suo attaccamento all’organizzazione rossa.

 

Chiamato alle armi nel maggio 1940 e arruolato negli avieri, fu mandato prima a Benevento poi a Treviso e infine a Vergiate, in provincia di Varese. Ebbe il suo battesimo di guerra a Tobruk, in Africa settentrionale e poi in quella orientale.

Rientrato in Italia, sostò in Sicilia, a Sciacca e a Marsala. L’8 settembre lo colse a Torino, dove prestava servizio nell’aeroporto. Con mezzi di fortuna riuscì a rientrare a Castellammare entro la fine dello stesso mese, giusto in tempo per leggere il manifesto fatto affiggere dall’ultimo podestà ancora in carica, il famigerato Eusebio Dellarole, in cui si invitavano i giovani a consegnarsi ai tedeschi per combattere al loro fianco contro il comune nemico.

Nascosto in uno scantinato di via Tavernola, Vincenzo attese la partenza dei tedeschi, lasciando il suo nascondiglio giusto in tempo per partecipare ai saccheggi popolari con gli assalti ai Molini di Nola e Apuzzo, alla fabbrica Cirio e perfino alla Corderia.

Nelle settimane successive partecipò alla riunione tenuta nel laboratorio di coppe per gelati di Gerardo Schettino, dove in una riunione ancora semiclandestina si andava ricostituendo il Partito Comunista a Castellammare. Vi parteciparono decine di militanti e fra gli altri vi erano Giovanni D’Auria, Luigi Di Martino e Francesco Marano, considerato il leader emergente e futuro capo riconosciuto del partito. Carriera stroncata dalla violenza con la quale Giovanni D’Auria riuscì ad imporre la sua leadership. Eletto Segretario cittadino, il D’Auria mantenne la carica fino al 1950, quando gli subentrò Vincenzo Somma.

Rientrato in servizio nell’aprile 1944, Somma trovò la fabbrica requisita dalle Forze Alleate di occupazione, militarizzata e gestita dal capitano inglese, Ash Ford, un conservatore scandalizzato di trovarsi una maestranza composta di troppi elementi di sinistra. Non a caso quando ci furono le prime elezioni per eleggere la Commissione Interna, e ben otto su undici erano operai comunisti, il reazionario militare la sciolse d’autorità, nominandone una nuova composta di soli capireparto. Non contento fece anche licenziare l’operaio Pasquale De Martino, colpevole di avere in tasca la tessera del PCI.1

Gli inglesi ripartirono nell’agosto 1946 lasciando una fabbrica che aveva l’assoluta necessità di riconvertire la sua produzione da militare a quella civile e quindi anche di liberarsi dal forte esubero di personale nato dallo stato di guerra.

Nello stesso anno Vincenzo fu eletto Segretario della Commissione Interna e toccò a lui, quindi, gestire la crisi subentrata nel giugno 1947, quando dalla direzione aziendale furono preannunciati 600 licenziamenti perché il governo tardava a stanziare i fondi necessari per la riconversione e per il completamento della ricostruzione.

Il problema riguardava non soltanto lo stabilimento stabiese, ma decine di fabbriche meccaniche di Napoli e provincia, portando la Camera Confederale del Lavoro provinciale a Mobilitare i lavoratori e l’intera categoria della Fiom, fino alla proclamazione dello sciopero generale con la partecipazione di migliaia di lavoratori che percorsero le vie di Napoli fino al palazzo della Prefettura, dove ebbero le garanzie di un interessamento per risolvere la grave situazione aziendale.

Furono in ogni modo necessarie altre agitazioni, intraprese dai dipendenti dell’Avis e culminate in novembre nell’occupazione delle stazioni ferroviarie di Torre annunziata e Pompei per quattro ore. I tre membri della Commissione Interna, Carmine Cirillo, Luigi Canfora e Vincenzo Somma, furono arrestati e condannati a tre mesi di carcere, ma fortunatamente salvati dalla condizionale.2

I pochi giorni di carcere furono allietati dalla notizia di aver vinto la loro battaglia, salvando i posti di lavoro. Non altrettanto bene andò nel luglio 1949, quando L’AVIS comunicò la necessità di procedere al licenziamento di 60 dipendenti, ormai inevitabili secondo la direzione aziendale e inutili si rivelarono scioperi e manifestazioni di solidarietà.

Il processo di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione dell’apparato industriale non conosceva e non poteva avere tregue, né sentimenti, Bisognava smaltire le assunzioni di cui ci si era fatto carico nel periodo bellico, di quelle subite dai Comitati di Gestione e di quelle superflue scaturite dai primi processi di riconversione.

Come tanti altri militanti del Pci, Vincenzo Somma collezionò una serie di denunce all’Autorità Giudiziaria, per reati di carattere politico-sindacale, nel suo caso almeno dodici fra il 1947 e il 1955. Qui ricordiamo la quarta, ricevuta per aver osato vendere, senza autorizzazione, l’organo del partito, l’Unità, il primo maggio del 1950 e la quinta, dello stesso anno, per violenza contro un edicolante reo di aver esposto il quotidiano Il Mattino in cui si pubblicava un articolo contro il sindaco comunista, Pasquale Cecchi. .

E come tanti altri militanti e dirigenti della sinistra il suo nome si ritrovò spesso nei rapporti della polizia politica inviati a Questore e Prefetto, probabilmente, al momento non è dato sapere perché i dati sono ancora riservati, fu addirittura schedato nel famigerato Casellario Politico Centrale e sorvegliato fino alla fine degli anni Sessanta, come lo furono gli stabiesi Luigi Di Martino, Colomba Somma, Michele Vollono, Oscar Gaeta ed altri.

Un destino che riguardò migliaia di presunti sovversivi della sinistra socialista e comunista, considerati soggetti pericolosi per l’ordinamento democratico dello Stato.

Una segnalazione al Questore arrivò, per esempio, all’indomani dei famosi disordini seguiti al ferimento del Segretario Generale del Pci, Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948, che vide i comunisti stabiesi in prima fila nella guerriglia urbana scatenata fin dal primo pomeriggio, appena si sparse la voce dell’attentato, con migliaia di operai che assalirono e devastarono le diverse sedi politiche.

Nei giorni che seguirono, quando l’ordine fu ristabilito, si scatenò la reazione poliziesca con fermi ed arresti. Nella nostra città furono denunciati circa cinquanta militanti e dirigenti e quanti non riuscirono a scappare, vivendo nella latitanza per oltre un mese, furono arrestati e incarcerati in attesa del processo, portando alla condanna, seppure lieve, di migliaia di rivoltosi.

A sostegno dei carcerati il Pci lanciò una sottoscrizione nazionale con comizi e manifestazioni, la cosiddetta, Pro giornata carcerato e nominato in tutta Italia Comitati di Solidarietà Popolare.  A Castellammare il Comitato fu composto da Vincenzo Somma, Michele Vollono, Francesco Meloto e Luigi Criscuoli.3

Segnaliamo, infine, una diffida ricevuta nell’estate del 1957 durante la ormai leggendaria occupazione dei Cmi da parte dei suoi dipendenti a seguito della minaccia di licenziamento di oltre 300 operai del reparto lamierini, una battaglia che coinvolse l’intera città ma che si concluse con una amara sconfitta.4

«In conformità delle istruzioni impartitemi ho provveduto a diffidare i nominati Somma Vincenzo, segretario cittadino del Pci, De Filippo Liberato, segretario della locale Camera del Lavoro e D’Auria Luigi, componente il direttivo del partito e della Camera del Lavoro. I tre suddetti si sono rifiutati di firmare la diffida negando di avere organizzato manifestazioni non consentite e fomentando disordini, assumendo che il disordine è nelle cose e non rappresenta il frutto di una loro condotta (…)».5

Candidato nelle liste del PCI, Vincenzo Somma fu eletto nelle amministrative del 6 novembre 1949 e nominato assessore al Corso Pubblico, sostituendo il dimissionario Salvatore Barone. Sarà riconfermato consigliere comunale in quelle del 28 marzo 1954 e nelle successive del 6 novembre 1960.

La sua ultima consiliatura fu quella che seguirà alle elezioni del 2 giugno 1966. Intanto il 1950 si era aperto con il massacro di sei lavoratori da parte della polizia, uccisi durante un corteo. Già nel 1949 vi erano stati diversi eccidi proletari a Molinella il 17 maggio, a Melissa il 30 ottobre, in dicembre a Torremaggiore e a Montescaglioso. Il 1950 non fu da meno, si iniziò da subito, il 9 gennaio a Modena e poi il 1° maggio a Celano, in Abruzzo, ancora due lavoratori, stavolta ammazzati da una squadra d’agrari al servizio della potentissima e ricchissima famiglia dei Torlonia, mentre altri 11 rimasero feriti.

Contro l’ennesimo spargimento di sangue operaio la Cgil proclamò una astensione dal lavoro di 30 minuti, che vide, come sempre la partecipazione attiva delle fabbriche stabiesi, dai Cantieri Navali, ai Cmi, alla Calce e Cementi.  La Castellammare operaia e antifascista non si mostrava mai sorda e insensibile alle parole d’ordine provenienti dalla Confederazione Generale e dal Partito Comunista Italiano.

All’Avis, il 3 maggio, Vincenzo Somma chiese l’autorizzazione alla direzione aziendale per tenere un’assemblea. Stando ai suoi ricordi, Vincenzo la chiese facendo presente che la riunione serviva per ricordare i fatti accaduti, ma gli fu negata e decidendo quindi di tenerla ugualmente.  La reazione aziendale non si fece attendere e il giorno dopo arrivò il licenziamento per grave insubordinazione. Diversa la versione ufficiale della Società, così come risulta dalla ricostruzione effettuata dal rapporto del Questore al Prefetto di seguito riportato:

«Seguito di fonogramma di ieri circa astensione dal lavoro proclamato dalla CGIL per i noti fatti di Celano, comunico che ieri Commissione Interna di quello stabilimento Avis otteneva dalla Direzione autorizzazione per riunione durante intervallo riposo per trattare argomenti cooperativa. Invece comunista Somma Vincenzo approfittando occasione, nel locale adibito a mensa parlava di fatti di Celano. Direzione opificio si è riservato adottare provvedimenti disciplinari».6

Il giorno dopo, il cinque maggio, seguì un secondo fonogramma del Questore:

«A seguito riunione tenuta il 3 andante nell’interno dello stabilimento Avis di Castellammare, comunico che direzione ha oggi dato preavviso a dipendente Somma Vincenzo di sospensione dal lavoro con decorrenza domani in attesa di provvedimenti che saranno adottati a di lui carico».7

Ed infine, quello definitivo del 12 maggio

«(…) stamane Direzione ha notificato al medesimo (Vincenzo Somma) avvenuto licenziamento per motivi disciplinari con decorrenza 6 corrente…».8

Tra i motivi reali del licenziamento pare ci fosse anche il tentativo, da parte dell’azienda, di chiudere la Cooperativa Proletaria, di cui Vincenzo era il Presidente, come, infatti, avvenne da lì a poco. Iniziò in questo modo l’odissea di un uomo, già padre di famiglia, pronto a pagare a caro prezzo il suo atto di coraggio e di coerenza degli ideali ai quali rimase fedele per tutta la vita.

Pur disoccupato si assunse l’onere di ricoprire l’incarico di Segretario cittadino del PCI, in sostituzione di Giovanni D’Auria, nella primavera del 1951.

Non fu facile far capire a Giovanni, un protagonista del movimento operaio stabiese fin dal 1920, un antifascista che aveva pagato la sua militanza con una condanna nel 1929 a tre anni di confino, che bisognava cambiare, rinnovare, fare spazio alle nuove leve, e questo avvenne durante una drammatica riunione tenutasi presso la Federazione provinciale, presente Salvatore Cacciapuoti, uno non meno duro, deciso e sanguigno dello stabiese.

Forse l’unico in grado non solo di contrastarlo ma anche di fargli accettare la decisione già presa dai vertici della Federazione. In dicembre fu premiato con l’incarico d’assessore al Corso Pubblico nella Giunta Cecchi.

Ma Vincenzo era disoccupato e aveva famiglia, per sostenerlo economicamente la Federazione provinciale del Partito gli affidò anche l’incarico di “Costruttore”, in qualità di attivista a disposizione dell’organizzazione, con una paga di poco superiore alla metà di un salario medio operaio. I “costruttori” erano militanti di provata esperienza e capacità organizzativa, utilizzati sia dal Partito, sia dalla CGIL.

In una memoria difensiva scritta per la Federazione provinciale del PCI, nel 1959, così egli ricorda quella fase:

«Dal 6 maggio, giorno del mio licenziamento dalla fabbrica, alla fine del 1953 non sono stato pagato da nessuno. Soltanto dal dicembre 1953 dalla Federazione incominciarono a darmi 20mila lire il mese, e dal dicembre 1958 lire 46mila. Dal dicembre 1953 al febbraio 1957 i mesi dell’anno non sono mai stati 12, al massimo erano 10. Durante questi anni difficili, molto spesso questi soldi li ho spesi per il Partito a Castellammare, il mio peso economico l’ho fatto pesare sulla mia famiglia.

Questo sacrificio non l’ho fatto sicuramente per raggiungere qualche scopo, anzi a me essere qualcosa dà fastidio. Dal 1951 sono il responsabile del Partito a Castellammare. Ereditai una pesantissima responsabilità. Organizzativamente esisteva ben poco e la cosa peggiore era questa: il Partito a causa di quelli che lo avevano rappresentato era poco stimato, anzi era considerato (insieme a buona parte dei dirigenti della Federazione di Napoli del tempo) un’accozzaglia di trafficanti, per non dire di peggio.

Attraverso la dura lotta di questi anni, a costo di enormi sacrifici, il PCI oggi a Castellammare è considerato un Partito serio e innanzitutto onesto. La prova di quanto vi dico è data da queste cifre di voti che malgrado tempi difficili a Castellammare dal 1951 sono andati continuamente aumentando e quindi siamo andati sempre avanti (…) e per la prima volta la circoscrizione di Castellammare elegge il senatore comunista compagno Cecchi Pasquale con 13000 voti circa raccolti solo in questa città. Mentre nella precedente elezione del 1953 (candidato era il compagno Bartoli) si ebbero 9mila voti».

Agli scioperi di carattere sindacale che infuriarono negli anni successivi alla sconfitta del fronte Popolare del 1948, con l’inevitabile ripresa dei licenziamenti di massa nelle fabbriche, in particolare quelle metalmeccaniche e siderurgiche, si aggiungevano e si confondevano quelli di natura politica con le parole d’ordine dettate dal Pci ed eseguite dai militanti comunisti della Cgil, a tutti gli effetti cinghia di trasmissione del Partito, provocando non pochi attriti con le consorelle di Cisl e Uil, sempre pronte a prendere le distanze dalle manifestazioni indotte da Botteghe Oscure, a sua volta eterodiretta da Mosca.

La prima metà degli anni Cinquanta fu catalizzata dalla guerra di Corea, scoppiata nel giugno 1950 e terminata soltanto tre anni dopo, nel luglio 1953, lasciando il mondo intero col fiato sospeso per la preoccupazione di un nuovo conflitto mondiale innescato dalla volontà degli Stati Uniti, intervenuto militarmente nel conflitto con altri 17 Paesi, di fare uso della bomba atomica.

La sinistra di tutto il mondo, raccogliendo le parole d’ordine del Movimento dei Partigiani della Pace, sorto a Parigi nell’aprile 1949 e dell’Appello di Stoccolma di marzo 1950, si lanciò in una campagna antimperialista e a favore della pace con petizioni, ordini del giorno, manifestazioni, scioperi, fino a coinvolgere le stesse amministrazioni comunali coinvolte nell’approvazione di delibere contro la guerra, trovando in ciò la ferma opposizione delle prefetture chiamate ad annullarle e a redarguire sindaci e Giunte che fiancheggiavano la protesta pacifista. Tra le prime ad approvare un ordine del giorno contro la bomba atomica e contro l’eliminazione della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, fu l’amministrazione di sinistra di Castellammare di Stabia.9

La protesta si andò intensificando nel 1951 con la protesta delle opposizioni sulla scia della contrapposizione frontale alla politica del riarmo fortemente voluta dalle potenze occidentali, guidata dagli USA, trovando il sostanziale assenso del governo italiano, entrato a far parte del Patto Atlantico.

L’Unione Sovietica dal canto suo, seppe abilmente usare l’arma della contrapposizione lanciando le parole d’ordine dell’antimilitarismo e del pacifismo militante, immediatamente colte dai partiti comunisti presenti negli stati capitalistici a partire da quelli europei. 

Nel nostro Paese, alle proteste della sinistra in parlamento e nelle piazze, si aggiunse una rete capillare di Comitati per la pace, nati su iniziativa del Movimento dei Partigiani della Pace e fin da allora si erano avute manifestazioni di protesta nelle più importanti città, ma andarono assumendo proporzioni straordinarie in concomitanza dell’arrivo in Italia del generale Eisenhower. A Castellammare scioperarono le industrie grandi e piccole, dall’Avis ai Cmi, dalla Calce e Cementi alle Acciaierie Ferretti. Comizi con grande partecipazione popolare si ebbero nella città stabiese, come nella vicina Torre Annunziata.10

Le proteste e le agitazioni che si erano protratte per lunghi mesi nel 1951 ripresero virulenza l’anno successivo, quando si preannunciò l’arrivo in Italia del generale Matthew Ridgway (1895 – 1993), soprannominato Generale Peste per aver usato nel corso del conflitto contro la Repubblica Democratica Popolare della Corea del Nord, filo sovietica, armi batteriologiche diffondendo i microbi della peste e del colera.

Così quando nel giugno 1952, il generale venne in Europa per assumere il comando delle forze Nato, nel suo passaggio per l’Italia fu accolto da imponenti manifestazioni di protesta, da Milano a Palermo, mentre Castellammare rispose con lo sciopero generale di tre ore proclamato per il 18. 

Per reazione il Ministro dell’Interno, Mario Scelba, fece attuare una serie di arresti nei confronti dei militanti più esposti e dando disposizione alle prefetture di intervenire duramente nei confronti delle amministrazioni comunali che davano sostegno alla protesta.

L’ordine fu eseguito con rapidità e furono emanati decreti prefettizi per destituire con effetto immediato alcuni sindaci di Giunte di sinistra, tra cui quello di Castellammare di Stabia per non aver impedito lo sciopero dei dipendenti comunali.11

Non da meno la reazione dei dirigenti delle diverse industrie: Nei Cantieri Metallurgici la direzione impedì il rientro di 151 operai del reparto latta con la scusa di non poter riattivare i forni spenti a seguito dell’interruzione verificatosi con la partecipazione allo sciopero, obbligandoli a rientrare in servizio il lunedì successivo, ben quattro giorni dopo.12

Ancora peggio andò ad una serie di militanti comunisti, tutti denunciati all’Autorità Giudiziaria, colpevoli di aver partecipato la sera del 17 giugno al tentativo di effettuare una manifestazione di protesta contro l’arrivo del generale Ridgway. Ricordiamo i loro nomi: primi fra tutti il nostro Vincenzo Somma e Luigi D’Auria, già noti alle forze dell’ordine, lo studente in giurisprudenza Giuseppe Ricolo, Vincenzo Verdolina, Giuseppe Di Martino, Cristofaro Raiola, Catello Dentale, Vincenzo Mosca, appena ventenne e Corrado Pellegrino, un toscano originario di Piombino ma anni residente a Castellammare e vice segretario della Camera del Lavoro stabiese, diretta dal napoletano Raffaele Signorelli.13

Sul finire del 1952 il Governo propose una riforma elettorale consistente in un premio di maggioranza a favore della coalizione di partiti tra loro apparentati nel caso in questa avesse raggiunto il 51% dei consensi.

I partiti della sinistra definirono da subito una legge truffa questa proposta e mobilitarono le loro organizzazioni, chiamando alla protesta il loro elettorato, mentre la CGIL mobilitava i suoi iscritti, fino a proclamare lo sciopero generale per il 29 marzo 1953, in concomitanza con il voto parlamentare di approvazione della legge.

Anche Castellammare scese in piazza, ma non contenti la sera stessa ci fu un nuovo corteo non autorizzato, provocando l’intervento delle forze dell’ordine, i consequenziali disordini e l’arresto di 13 militanti e dirigenti della CGIL, del PCI e del PSI, tra cui Vincenzo Somma.

La legge truffa non sortì nessun effetto a livello nazionale, ma ebbe ripercussioni sulle amministrative tenutesi a Castellammare il 28 marzo 1954. Per sconfiggere definitivamente la supremazia del compatto fronte della sinistra, la Democrazia Cristiana, volendo utilizzare al massimo le potenzialità del nuovo sistema maggioritario, allargò le sue consuete alleanze, composte di liberali e socialdemocratici, anche al Movimento Sociale e ai monarchici.

Ancora incerto sulla sua possibile vittoria, Silvio Gava inscenò, l’ultimo venerdì prima del voto, la farsa finale, facendo salire sul palco elettorale dove doveva tenere il comizio di chiusura l’operaio dell’AVIS, Giovanni Cecere, iscritto al PCI, facendogli platealmente strappare la tessera di partito.

Quella sera stessa, Cecere si presentò al pronto soccorso dell’ospedale San Leonardo denunciando di essere stato aggredito e picchiato. Con perfetto sincronismo, quella sera stessa un comunicato ANSA, diffuso via radio durante la trasmissione, Notturno dall’Italia, riferiva dell’aggressione subita dall’operaio dell’AVIS da parte di suoi anonimi ex compagni di partito.

«A campagna elettorale chiusa, la sinistra non aveva più alcuna possibilità di chiarire all’opinione pubblica, mentre gli autori dello sconcio erano ancora favoriti dai numerosi giornali radio e dal lavoro indefesso delle parrocchie. Eravamo ai tempi dei comitati civici e la campagna elettorale per la DC era diretta da un sacerdote, mons. Reschig. Dopo monsignore fu premiato con la nomina a Presidente dell’ECA e Presidente dell’0spedale. (…) Giovanni Cecere fu fatto licenziare dall’AVIS – dove per la vergogna non aveva messo più piede – e subito assunto dal comune di Sorrento (in mano DC) quale sorvegliante allo spazzamento«».14

Scriverà anni dopo su un periodico locale, Vincenzo Somma.

Ma intanto in quella famosa notte il telefono squillo nella sezione ancora aperta: era la caserma dei carabinieri e chiedeva a Somma di presentarsi immediatamente. Vincenzo si presentò accompagnato da Giovanni D’Auria e dall’avvocato Vincenzo La Rocca e ricevuti dal capitano dei carabinieri.

Questi lo informò dell’accaduto, fece intendere di come gli fosse chiara la manovra della Democrazia Cristiana, utilizzando l’operaio prezzolato per vincere le elezioni contro il PCI e gli consigliò di non farsi vedere in giro perché contro di lui era stato spiccato un mandato di arresto.

Lo stesso ufficiale, un ex partigiano sardo, consigliò al Segretario cittadino del PCI, di far sorvegliare il presunto aggredito, mettendogli qualcuno accanto, per evitare ulteriori sorprese. L’incarico lo assunse il segretario della Camera del Lavoro, Raffaele Signorelli, in quanto membro del Consiglio d’Amministrazione dell’ospedale San Leonardo.

La sinistra perse le elezioni amministrative con uno scarto di 455 voti e il 12 aprile era eletto sindaco il democristiano Giovanni Uberti. Bisognerà aspettare la fine di dicembre del 1960 per vedere ritornare sugli scranni del primo cittadino, un comunista e questo rappresenterà anche la fine politica nel partito, di Vincenzo.

Dirigere un partito come il PCI in quegli anni difficili era complesso, bisognava tenere conto delle diverse sensibilità, non inimicarsi i massimi dirigenti, dribblare le invidie, le gelosie, i sospetti, stare attento alle parole, alla linea del Partito da seguire religiosamente, tenere conto dei tanti aspetti rappresentati da una città operaia qual era Castellammare, con le sue fabbriche, le sue officine, le mille sfaccettature che provenivano da una base politicizzata ed essenzialmente stalinista, forse più del suo stesso gruppo dirigente. Forse fu anche e per tutto questo che:

«In occasione dei congressi nazionali del 1956 (in preparazione dell’8° Congresso) parlai con i dirigenti della Federazione e prospettai loro l’opportunità di farmi spostare da Castellammare, anche perché il lavoro per me era diventato troppo pesante. Quindi dopo oltre un decennio di permanenza, la mia presenza era quasi diventata un ostacolo allo sviluppo del Partito, per la ragione che i compagni, invece di compiere uno sforzo per affermarsi quali nuovi dirigenti, rimandavano a me qualsivoglia questione.

Poi, poiché, dopo il XX Congresso ed i fatti d’Ungheria si era rafforzato il gruppo Scevola, in seguito fui d’accordo anch’io con i compagni della Federazione di rimandare il mio spostamento.

Ai primi d’aprile del 1957 fui inviato alla Scuola Nazionale del Partito, alle Frattocchie, per un corso di 4 mesi. A sostituirmi durante questa mia assenza fu nominato responsabile del Comitato comunale di Castellammare, il compagno De Filippo (che era anche segretario della Camera del Lavoro). Durante questa mia assenza, ai primi di maggio, la direzione dei CMI comunicò il licenziamento di 300 operai circa.

Ai primi di giugno dalla scuola mi recai a Castellammare per due giorni e fu allora che i compagni si lagnarono con me di come il Partito era diretto, informandomi che le cose non andavano bene e che quindi la mia presenza a Castellammare per combattere contro i 300 licenziamenti dei CMI era indispensabile. Ritornai alla scuola e scrissi una lettera al Segretario della Federazione esponendogli le lagnanze dei compagni di Castellammare e come questi chiedessero la mia presenza.

Appena ricevette la mia lettera, il Segretario della Federazione mi telefonò a scuola e mi disse, Vieni subito, sono d’accordo con quanto tu mi hai scritto. Nella serata stessa arrivai a Castellammare. La mattina dopo andai in Federazione e stabilimmo tutto il piano di lotta. La battaglia fu combattuta con molta asprezza (sempre di comune accordo), non presi mai nessuna iniziativa senza prima consultarmi.

Alla fine i licenziamenti ci furono, però fu raggiunto un accordo che in quel momento fu ritenuto molto soddisfacente per i lavoratori licenziati. Durante le lotte ci fu un episodio di violenza da parte dei lavoratori contro il direttore di fabbrica. Dopo, a chiusura della lotta, furono arrestati 10 lavoratori per la violenza usata contro il direttore. La D.C. a Castellammare e in primo luogo il senatore Gava volevano la rivincita. Il sottoscritto, la mattina che ci furono gli arresti, si recò subito in Federazione.

Dopo aver aspettato l’intera mattinata, alla fine mi si disse che la mattina dopo sarebbe venuto a Castellammare l’avvocato La Rocca. Quella mattina e per tutta l’intera giornata La Rocca non venne e non avevamo cosa dire alle famiglie. Mi consultai con il compagno De Filippo, che era il Segretario della Camera del Lavoro e membro del Comitato direttivo della Federazione. Lui mi fece capire che se l’On. La Rocca non era venuto era perché non gli avevano detto niente, poiché non lo si voleva presentare candidato alle prossime elezioni politiche. Ed allora decidemmo di andare noi a casa dell’On. La Rocca.

Si decise anche che andavano il Segretario della commissione Interna della Navalmeccanica, Eustachio Massa, il Segretario della C.I. dei CMI, Luigi Longobardi, uno dei licenziati (Luigi Spera) e il sottoscritto. (Questo particolare, che poi è stato l’inizio di tutto quanto è successo da due anni ad oggi, il compagno Liberato De Filippo se lo ha negato).

La Commissione così nominata, assente solo il compagno Eustachio, la mattina dopo si recò a casa dell’On. La Rocca. Da quel momento si mise subito tutto in movimento e i 10 compagni arrestati uscirono dal carcere dopo un mese circa. Devo anche dire che dopo quel nostro passo, capirono anche in Federazione che l’arresto dei 10 lavoratori era un fatto molto grave e tutti contribuirono.

Ci furono anche delle riunioni in Federazione in proposito, e per la scarcerazione dei 10 (forse il più decisivo) fu un intervento del compagno senatore Mario Palermo. Il compagno, On. La Rocca era anche consigliere comunale di Castellammare. Dopo l’episodio dei 10 arrestati la sua popolarità aumentò a Castellammare. Devo smentire nel modo più assoluto che quando andammo a casa del compagno La Rocca facemmo un patto (come è stato detto in malafede dal Segretario della Federazione). Ciò non è vero!

Come ho già detto, la lotta contro i licenziamenti dei CMI fu combattuta con molto asprezza e, dato il carattere abbastanza violento di quei lavoratori, ci fu anche qualche diverbio tra loro, con degli strascichi anche.

In seguito alla mia venuta dalla scuola ed alla mia presenza a Castellammare, che modificò subito il corso delle lotte, creando un grande entusiasmo fra i lavoratori, il compagno De Filippo rimase un po’ tagliato fuori da questo nuovo corso degli avvenimenti e logicamente restò malcontento. Senza che io me ne accorgessi (perché ho sempre agito con la massima buona fede), incominciò in quel momento la rottura. Questa rottura in seguito è stata alimentata dal Segretario della Federazione.

Qualche mese prima del 25 maggio 1958 (poiché c’era stata molta discussione a Castellammare sulla esclusione del compagno La Rocca dalla candidatura per i deputati), il sottoscritto, quale responsabile del Partito a Castellammare, preoccupato della piega abbastanza vivace della discussione su tale argomento, convocò il Comitato comunale insieme alle segreterie delle Sezioni di Castellammare. Il verbale di questa riunione fu mandato in Federazione.

Qualche giorno dopo in Federazione – in occasione del Comitato federale, mi chiamò in segreteria, il Segretario della Federazione. Egli mi investì di male parole dicendomi che ero il responsabile di una sporca manovra (per avere riunito il Comitato Comunale e discutere di La Rocca) e che non so quale porcheria stavo commettendo ai danni del Partito.

A queste offese riuscii a mantenere la calma, perché a simili offese avrei dovuto reagire non a parole. Comunque ebbi molta forza per mantenere la calma. Affrontammo la campagna elettorale, accettando con disciplina tutto quanto stabilito dal Comitato federale.

Per Castellammare le elezioni furono un grande successo e per la prima volta eleggemmo un senatore nel nostro collegio, Dopo la campagna elettorale, il Segretario della Federazione mi chiamò e mi disse: “Puoi anche ricorrere alla Commissione di Controllo, se tu credi che io ti ho trattato male. Però, ricordati che io posso anche negarmi tutto, perché eravamo soli”. Queste testuali parole pronunciate da un uomo responsabile nei miei confronti mi fecero provare cosa che non so descrivere.

Io che non ho mai avuto paura di nessuno, da quel momento incominciai ad avere paura. Rimasi tanto turbato che non mi sono ancora ripreso. Potrei ancora raccontare molti episodi che forse potrebbero sembrare pettegolezzi e per questo me ne astengo. Voglio solo dirvi che mi sono sentito dire da allora, sempre dal Segretario della Federazione, parole come queste: “Non hai capito mai niente. A Castellammare non si è mai svolta una politica. Tu il dirigente lo intendi come incarico fiduciario”, e potrei continuare a lungo.

Voglio solo sapere da voi, cari compagni, se è giusto che un operaio quale sono io e che per il Partito ho sacrificato i migliori anni della mia vita, deve essere alla fine trattato come uno straccio. Dopo questi – diciamo – scontri, qualsiasi dirigente che si preoccupa del buon andamento del Partito, avrebbe fatto di tutto per chiarire tali incomprensioni (non riesco a trovare una parola migliore per esprimermi), invece niente di tutto questo.

Mentre io mi sono sempre sforzato di fare, come sempre, il mio dovere di comunista, da parte del dirigente la Federazione si è cercato sempre di ignorarmi e di umiliarmi. Per finire, altrimenti sarei troppo lungo, voglio farvi presente due episodi che sono i più clamorosi e che sono la dimostrazione che conferma senza equivoci quanto da me denunciato.

Poiché l’andamento della Camera del Lavoro di Castellammare (diretta dal compagno De Filippo) lasciava molto a desiderare, decisero nel settembre 1958 di mandare il compagno De Filippo alla Scuola Nazionale a Roma, ad un corso di un anno. In sua vece fu nominato Segretario della Camera del Lavoro, il compagno Luigi Alfano.

Tutto questo senza mai consultarmi; da un giorno all’altro cambiò il Segretario della CdL senza che il sottoscritto, Segretario del Partito a Castellammare, fosse avvisato almeno.

Aprile 1959 – Il compagno De Filippo tornò dalla scuola. In vista delle possibili elezioni amministrative a Castellammare, a primavera facemmo i congressi sezionali. Prima di eleggere il nuovo Comitato Comunale facemmo una riunione in Federazione, presenti il Segretario, il compagno Del Rio e il compagno Daniele Franco.

Per Castellammare c’erano Postiglione, De Filippo, Somma, Alfano.  A quella riunione (dati i precedenti che c’erano) feci questa proposta: “Se il compagno De Filippo dovrà rimanere a Castellammare, propongo che sia lui il Segretario del Comitato Comunale. A questa mia proposta ci fu l’opposizione del Segretario della Federazione che disse di non sapere quale altra manovra si celava dietro quella mia proposta.

Alla fine la riunione ebbe termine senza concludere niente. Ci fu però un punto fermo, chiaro per tutti, ed era questo: il compagno De Filippo deve lavorare in Federazione. In seguito, poi, senza che ci sia stata nessuna consultazione con i compagni di Castellammare, il compagno De Filippo sta a Castellammare, con il compito specifico (che è venuto fuori, chiaramente, nell’ultima riunione del Comitato Comunale tenutasi martedì 17 novembre e che è stata poi la ragione per cui mi sono deciso a ricorrere alla Commissione di Controllo), con il compito specifico, dicevo, non di collaborare quale componente della segreteria del Comitato Comunale, e quindi di affrontare insieme le difficoltà che ci sono, ma di annotare tutto ciò che non va, tenendoselo per sé e facendo nel corso della riunione del Comitato Comunale una specie di pubblico accusatore.

Cari compagni, vi chiedo scusa, ma lasciatemi dire che del nostro Partito (nel quale ho sempre creduto e credo ancora) che è un partito di uomini galantuomini e di uomini liberi, questi ne vorrebbero fare una giungla! (…).

A me che interessa non la mia persona ma il Partito, il movimento di tutti gli oppressi, dovete consentirmi di chiedervi di essere implacabili, sia nei miei confronti – se risulteranno mie responsabilità in questa dolorosa vicenda – così come dovrete esserlo nei confronti di altri, se risulteranno responsabili…30 novembre 1959».15           

Abbiamo voluto trascrivere quasi per intero questo straordinario documento, chiarificatore più di mille altre parole, di un epoca, di un partito, del senso della militanza nel PCI. Così come emerge anche dallo stupendo libro di Ermanno Rea, Mistero napoletano.

«Parlo dello stalinismo come gestione dispotica del potere, come strumento di polverizzazione d’ogni forma di dissenso, come complotto, menzogna, trama, morta gora. Che fossimo una morta gora, già prima del 1953, era diventato chiaro a molti di noi. Emarginazione e calunnia erano tagliole perennemente aperte innanzi alle intelligenze meno inclini al conformismo e all’ubbidienza: non aspettavano che un passo falso per scattare come mannaie (…).

Lo stalinismo fu anche questo: continua violazione dell’altrui vita privata, ipocrisia di stampo moralistico, maschilismo (…), ciò che gli si chiedeva era (…) fedeltà alla linea politica espressa dal Comitato Centrale, gestione severa dell’apparato, vigilanza contro tutte le infiltrazioni…».16

E in questo Abdon Alinovi, non si comportò diversamente dal suo predecessore, il mitico Salvatore Cacciapuoti, a sua volta passato alla direzione della segreteria regionale del Partito.

Non a caso, nella segreteria di Cacciapuoti aveva rivestito la carica di segretario organizzativo.  Intanto non sappiamo cosa avesse deciso il Comitato di Controllo, probabilmente niente, visto che Vincenzo rimase al suo posto, seppure ancora non per molto, in attesa degli eventi che stavano maturando e tramando contro di lui.

Le elezioni amministrative, già programmate per la primavera del 1958, in concomitanza con quelle politiche, furono rinviate dal Prefetto per non bloccare le iniziative relative all’attivazione delle terme stabiane, «già avviate a soluzione dagli attuali amministratori».

Furono quindi posticipate di quasi due anni e portate al 6 novembre 1960, in concomitanza con le elezioni provinciali. Nonostante le manovre democristiane il PCI tornò ad essere il primo partito, seppure conquistando lo stesso numero di seggi della DC:16 consiglieri.

Si riuscì a formare una amministrazione retta da socialisti e comunisti, forti di 19 consiglieri, eletta il 29 dicembre con sindaco Eugenio Postiglione, grazie alla presenza in aula dei due consiglieri del Movimento Sociale, mentre quelli democristiani, seguiti dal liberale, dal socialdemocratico e dall’indipendente uscirono dall’aula nel tentativo di far mancare il numero legale. Nella Giunta entrava anche Vincenzo Somma in qualità di assessore effettivo.

I guai cominciarono subito in quanto sul votò pesò un ricorso presentato da Mariano Viscardi sulla illegittimità delle elezioni municipali per a) nullità della dichiarazione di accettazione delle candidature di tutti i 40 i candidati nella lista presentata dal PCI; b) per nullità della dichiarazione di presentazione della lista e concernente la mancanza di autentica delle firme dei presentatori.

Il decreto di scioglimento da parte della prefettura arrivò puntuale e il 13 settembre 1961 si tenne l’ultimo consiglio comunale dove si prese atto della fine anticipata della consiliatura.

Contemporaneamente si apriva un altro fronte non meno bollente rappresentato da acerrima polemiche apertesi da subito dentro il PCI: ci si chiedeva se era possibile per una amministrazione di sinistra reggersi sull’astensione di due missini e subito nacquero due fronti contrapposti che lacerarono il partito fin nelle fondamenta.

Lo scontro frontale determinò il commissariamento del partito da parte del Segretario della Federazione provinciale, Abdon Alinovi. Si aprì un processo nel quale fu messo sotto accusa lo stesso Segretario cittadino, Vincenzo Somma, accusato di settarismo e accentramento decisionale. Decaduto dalla carica e sostituito da Liberato De Filippo, gli fu negata anche la ricandidatura nelle successive elezioni amministrative del 10 giugno 1962.

Lo stesso De Filippo nell’intento di denigrarlo coniò la definizione di SPA, per definire il terzetto a lui contrario, con le iniziali dei cognomi di Somma, Postiglione e Alfano.17

Caduto definitivamente in disgrazia, disoccupato, Vincenzo aderì al PSI, candidandosi nelle elezioni amministrative del 12 giugno 1966, risultando eletto. Nella sua inedita veste di socialista contribuì alla formazione della nuova amministrazione retta da un quadripartito composto da democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, sindaco Francesco Saverio D’Orsi, giunto alla quarta elezione a sindaco della città.

Ma questa amministrazione ebbe vita brevissima, sciogliendosi l’11 febbraio 1967, sotto l’urto delle polemiche tra i socialdemocratici ed i socialisti unificatosi nel PSU.

Le diatribe interne al nuovo partito portarono Michele Vollono, Vincenzo Somma e Domenico Scevola alla formazione di una nuova lista, Rinascita Socialista, nelle successive elezioni amministrative dell’11 giugno 1967. I tre saranno espulsi dal partito alla vigilia delle nuove elezioni amministrative.

Della lista sarà eletto il solo Michele Vollono, mentre Vincenzo Somma, dopo la seconda espulsione da un partito politico al quale aveva aderito, probabilmente senza grande entusiasmo, si avvierà verso il suo definitivo abbandono di ogni attività politica.

Vivrà anni di precariato economico, di contratti a termine con il comune, i famigerati “cantieri scuola”, lavori socialmente utili ante litteram, per disoccupati, fino a quando nel 1972 non sarà assunto dal comune, e assegnato presso gli scavi di Stabia, grazie ad un risolutivo intervento del notaio Francesco Saverio D’Orsi, il quale in questo modo pagò il suo debito di riconoscenza verso un alleato dimostratosi leale nel corso della sua breve stagione di sindaco nella settima consiliatura.

Cogliendo l’occasione della legge 36 del 15 febbraio 1974, presentò domanda per il riconoscimento dei contributi previdenziali a favore di quanti avevano subito un licenziamento politico. Il 30 giugno, su sua richiesta, l’Avis gli rilasciò la dichiarazione in cui si attestava il licenziamento politico avvenuto nel 1950, ma ancora nel 1983 l’Inps non gli aveva liquidato quanto gli competeva, un problema che in realtà riguardava almeno altri venti lavoratori stabiesi come lui stesso affermò in una lettera scritta al quotidiano comunista, l’Unità.18         

Si riavvicinerà alla politica nel 1990, quando nel PCI si aprì il feroce dibattito sulla necessità di mutare pelle al partito e ci si avviò verso la nascita del Partito Democratico di Sinistra. Un partito che negli anni a venire non cambiò solo la pelle ma subì una vera e propria mutazione genetica, ancora in corso.

Ma tutto questo Vincenzo Somma non lo ha vissuto.  In quella lontana fase, che era ancora di costruzione di un moderno partito di sinistra, Vincenzo ritrovò nuovo fervore, dimenticando, forse, i torti subiti e lasciandosi alle spalle i troppi errori commessi.

Gravemente ammalato, scomparirà il 15 ottobre 2004, all’età di 85 anni.

 

                                                                               

Note

1 Cfr. l’Unità del 12 febbraio 1944, art. Un curioso capitano a Castellammare

2 ASN Questore a Prefetto, 24 ottobre 1947

3 L’Unità del 20 agosto 1948, art. Nuovi Comitati sezionali di solidarietà

4 Per i dettagli sulla storica occupazione dei CMI, cfr., La battaglia dei Cantieri Metallurgici Italiani, da me pubblicata sul sito, www.liberoricercatore.it, il 9 maggio 2013. 

5 ASN, Questore a Prefetto, 10 luglio 1957, Fascio 2203

6 ASN: Da Questore a Prefetto, 4 maggio 1950, Fascio 755

7 Ibidem del 5 maggio, Fascio 1509

8 Ibidem del 12 maggio

9  Il Giornale del 17 giugno 1950, art. dal titolo: Al Consiglio comunale di Castellammare di Stabia

10  L’Unità del 19 gennaio 1951: La grandiosa protesta popolare si è levata ieri in tutta Italia.

11 L’Unità del 20 giugno 1952: La pretura archivia le denunce della Questura.

12 ASN, Prefetto a Ministero dell’Interno, 19 giugno 1952

13 ASN, Questore a Prefetto, 26 giugno 1952, Fascio 655

14 Cronache, anno III, n. 4, maggio 1989, art. Con 400 voti cambiò la storia di Castellammare, di Vincenzo Somma, sullo stesso argomento, sempre di Vincenzo Somma, cfr. anche Cronache di aprile 1989, art. Il silenzio è d’oro vero senatore?  e Il trucco del senatore, giugno 1989, lettera a Cronache, non firmata ma dello stesso autore.

15 Memoriale dattiloscritto inedito di Vincenzo Somma

16 Ermanno Rea, Mistero napoletano, Editore Einaudi, 1995, pag. 23/25

17 Filomena Piras – Gennaro Maio, Castellammare di Stabia. Mezzo secolo di storia politico amministrativa,  Ed. Eidos, 1996

18 L’Unità del 27 settembre 1983: Dopo il licenziamento politico la beffa dell’Inps, nella rubrica Domande e risposta.

 

 

 

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