Appunti per una storia di Santa Maria La Carità
A differenza dei comuni limitrofi, Santa Maria La Carità non vanta origini nobili, non vi sono leggende che accompagnano la sua nascita, miti di cui potersi vantare come la vicina Castellammare di Stabia, fondata da Ercole Egizio nel 1283 a.C., ben 485 anni prima della nascita di Roma, al suo ritorno dalla Spagna. Oppure Gragnano, la cui leggenda vuole sia stata fondata da Publio Granio, un ufficiale di Lucio Cornelio Silla, quando questi distrusse Stabiae il 30 aprile del 655 di Roma, l'89 a.C. per punirla della sua ribellione. Lo stesso Lucio avrebbe fondato la città di Lettere per riposarsi dalle fatiche derivanti dalla distruzione della città stabiana.[1] Se non ci sono, quindi, origini remote ad accompagnare la storia della cittadina sammaritana, ciò non toglie che l'attuale territorio comunale, formato dalle contrade Petraro, Madonna delle Grazie, Cappella dei Bisi, Pontone e Lattaro, sia stato abitato in epoche remote. Territorio di Stabiae, l’Ager Stabianus, la nostra campestre cittadina conobbe il suo primo tentativo d'urbanizzazione a seguito della distruzione operata dalle truppe comandate da Silla. Il futuro dittatore romano era stato inviato in questi fertili e strategici luoghi per reprimere la rivolta delle popolazioni italiche, insorte perché erano stati negati l'estensione dei benefici e il godimento dei diritti propri dei cittadini romani, così come promesso, dopo aver contribuito alla vittoria di Roma contro Cartagine.[2] In ossequio alle tradizioni di guerra, Silla distribuì parte delle terre conquistate ai suoi veterani e non pochi scelsero di dimorare in questo luogo, come dimostrano le numerose ville rustiche e fructuarie rinvenute nelle località dette, Casa di Miro, Sassola, Medici e molte altre ancora. Numerose sono tutt'oggi le ville e le masserie che aspettano, ormai da troppi secoli, di essere riportate alla luce per la cronica carenza di finanziamenti, in Via Petraro, via Baldascini, via Cupa San Marco, l'ultima in via Canneto I e la stessa famosa necropoli in località Madonna Delle Grazie.[3] L'elenco, chiaramente, non esclude che vi siano molte altre zone da esplorare. L'eruzione del Vesuvio pose fine al tentativo d’urbanizzazione dell’area e quanti si salvarono trovarono rifugio nelle vicine colline dove già erano nate nuove comunità come Gragnano, Varano, Scanzano, Pozzano e Lettere, dopo l'insediamento di Lucio Silla. Forse la storia di Santa Maria la Carità poteva essere diversa, ma il Vesuvio, con l'immane catastrofe del 24 agosto 79 d.C. e la distruzione di Stabiae, Pompei, Oplontis ed Ercolano, pose fine ad ogni ulteriore possibile sviluppo. Per secoli, dunque, questa parte della valle del Sarno rimase disabitata, trasformando larga parte del territorio sammaritano e quello dove attualmente vi è Sant'Antonio Abate, in luogo paludoso. Di tutto ciò rimane memoria nei toponimi di alcune strade, quali via Canneto, via Motta, via Pantano e così via. Bonifiche del territorio si ebbero fin dal 15° secolo e primi tentativi di ripopolamento si hanno dal secolo successivo, quando fu edificata una chiesa di diretto patronato della famiglia De Concilio. Altri parziali tentativi furono effettuati nei primi decenni dell’’800 sotto la guida dell’ingegnere Carlo Afan de Rivera (1779 – 1852). Ufficiale dell’esercito del Regno delle Due Sicilie, Afan De Rivera, nominato, direttore generale del Corpo di Ponti e Strade nel 1824, spese la propria vita a prosciugare pantani e strappare paludi ad aree poi rese coltivabili, comprese quelle circostanti il fiume Sarno. Infine con Ferdinando I fu varata la legge dell’11 maggio 1855, istituendo l'Amministrazione generale delle bonificazioni, portando a compimento un faticoso risanamento. [4] In questo periodo la popolazione doveva essere ancora ben scarsa, se un autore coevo poteva scrivere nel 1863:
«La chiesa di S. Maria La Carità nelle campagne non ha cure di anime, ma è succursale di S. Leone e S. Giovanni, le quali sono chiese site in Gragnano».[5]
La stessa mancanza di un vero e proprio aggregato urbano, nella prima metà dell’Ottocento, in piena epoca borbonica, consentì la costruzione di una polveriera protetta da un piccolo distaccamento militare. Poco o niente si sa delle eventuali vicende legate a questo deposito militare. E’ noto che fu inizialmente un sito di stoccaggio dell’antico e glorioso polverificio di Torre Annunziata, poi, in seguito alla sua chiusura, a causa di alcune esplosioni nel 1851 e nel 1856, divenne magazzino del nuovo polverificio di Scafati, i cui lavori iniziarono nel 1852 ed entrando in funzione nel 1857. La storia ci ha lasciato il nome di uno dei suoi comandanti, il sottotenente De Campora, uno degli ultimi prima del suo definitivo abbandono verso la fine dell’Ottocento.[6] Tracce di questo deposito di polvere da sparo si trovano in alcune discussioni parlamentari, in particolare grazie ad alcune interrogazioni del deputato locale, Tommaso Sorrentino (1830 – 1900). La prima di cui abbiamo trovato traccia risale al 22 marzo 1893, quando il deputato del collegio di Castellammare di Stabia chiese di interrogare il ministro della guerra, Luigi Pelloux (1839 – 1924) per sapere perché era stato abolito il polverificio di Scafati, che cosa intendeva fare di quello stabilimento ed infine se intendeva sopprimere anche il deposito di Santa Maria della Carità.[7] La risposta non si fece attendere: il polverificio di Scafati veniva chiuso perché il tipo di polvere nera da fucileria e d’artiglieria da campagna, prodotto in questo stabilimento, era stato abolito e sostituito dalla polvere bianca, che allo scoppio non produceva fumo, per la cui produzione era stato realizzato un nuovo polverificio a Fontana Liri. Per lo stesso motivo, nel giro di pochi anni si sarebbe chiuso anche il deposito di Santa Maria della Carità, chiusura rinviata nel tempo perché conteneva ancora circa 300mila chilogrammi di polvere nera prodotta a Scafati ancora da smaltire.[8] A questo punto il deputato del collegio stabiese chiese di nuovo la parola:
«(…) In quanto al deposito di polveri di Santa Maria della Carità, l’onorevole ministro dice che resterà aperto ancora per qualche tempo; ma io l’avverto che le popolazioni reclamano perché sia tolto, perché costituisce un pericolo continuo per coloro (e sono parecchie migliaia) che abitano nei dintorni di quel deposito (…)».
La replica del ministro Pelloux fu immediata:
«(…) L’onorevole Sorrentino mi fa istanza poi perché il deposito di polveri di Santa Maria della Carità sia tolto il più presto possibile. IO gli prometto di toglierlo appena sarà possibile; ma per ora bisogna lasciarlo perché, ripeto, tutti i magazzini del regno sono pieni di munizioni (…)». [9]
Imperterrito il deputato originario di Gragnano ci riprovò l’anno successivo, l’11 giugno 1894, riproponendo la stessa interrogazione, ancora una volta rivolgendosi al ministro della guerra, stavolta nella persona dell’oscuro Stanislao Mocenni (1837 – 1907), successore del vecchio generale Pelloux. Ancora una volta Sorrentino chiese di far sgombrare il polverificio sammaritano per il pericolo rappresentato per le popolazioni circostanti di Castellammare e Scafati. Anche il ministro Mocenni escluse l’immediata chiusura del sito sammaritano,
«ma poiché le polveri nere si consumano quasi tutti i giorni, credo che non sarà lontano il momento in cui quel locale sarà sgombro (…)».[10]
Eppure non molti anni dopo, forse proprio grazie al completamento delle opere di bonifica, Santa Maria la Carità aveva già raggiunto un suo notevole sviluppo demografico considerando che nel 1871, contava ben 2.497 abitanti, rivelandosi la borgata più importante di Gragnano. In realtà un centro urbano vero e proprio ancora non esisteva, giacché l'agglomerato contava soltanto 114 abitanti e ben 2.383 erano sparsi nei vari casali, di cui ancora oggi sono rimasti i toponimi delle famiglie più antiche, come Cascone, Longobardi, Gargiulo, Sicignano, D’Auria, Abagnale e Alfano. Nonostante la considerevole crescita alla chiesa di Santa Maria la Carità sarà riconosciuto il diritto di avere cura delle sue anime, conquistando l’ambito titolo di parrocchia soltanto nel 1904. Nella piccola grande storia del Mezzogiorno d’Italia la nostra «feracissima frazione campestre di Gragnano con una fontanina a squillo ed alberata (…)»[11] vi entra in quei giorni tragici del crollo del Regno di Napoli, caduta sotto i colpi inferti dall’Eroe dei Due Mondi e per l’incapacità dei suoi regnanti di capire il cambiamento epocale. Se non erano mancati uomini coraggiosi disposti a mettere in pericolo la loro vita per costruire la nuova Italia, pensando di poter vivere in una società più libera e democratica, non mancarono quanti vollero dimostrare la loro fedeltà alla Casa Borbone e al legittimo re, Francesco II, impugnando le armi contro Garibaldi e trasformandosi in briganti, secondo un certo revisionismo storico in partigiani, per combattere contro il nuovo regno sabaudo. Moti reazionari si ebbero il 19 settembre 1860 nelle campagne tra Scafati, Lettere e Gragnano, mentre il 30 se ne registrarono altri a Lettere e a Santa Maria La Carità contro l'ingresso di Garibaldi a Napoli, avvenuto il sette di quello stesso mese. Tra gli arrestati, uno dei principali agitatori, Michele Sabatino, un sammaritano. Protetto dal comandante della Guardia Nazionale di Lettere, Andrea Ruotolo, fu scarcerato dopo pochi giorni. Ancora nei mesi successivi, proteste ed arresti si ebbero a Sant’Antonio Abate, Lettere, Agerola e Gragnano.[12]
Il nuovo secolo che si aprì fu ricco d’eventi e non lasciò immune Santa Maria La Carità, come la spettacolare eruzione del Vesuvio del 6/15 aprile 1906, ma soprattutto l’epidemia di colera che investì il napoletano tra agosto e ottobre del 1910 mietendo numerose vittime a Gragnano e nella vicina Castellammare, ma risparmiando gli abitanti della borgata. C’è chi racconta di come i devoti sammaritani si raccolsero in chiesa a pregare per la propria e altrui salvezza, di come si organizzò una lunga processione nella strada che da questo episodio prende il nome di Via Visitazione, pregando la Madonna della Carità d’intercedere, facendo loro la grazia di far cessare quell’immane flagello. Secondo altri l’intitolazione della strada si riferisce al Mistero della Visitazione di Maria Vergine alla cugina Elisabetta, incinta, in età avanzata, del suo primo figlio, accostata al miracolo avvenuto anni addietro, quando nessun sammaritano rimase vittima del colera. [13] Tra eventi piccoli e grandi non mancarono fatti violenti, ne ricordiamo due, uno di pedofilia e l’altro di cronaca nera, a riprova che certe situazioni non sono figli esclusivi del nostro tempo, ma sono sempre accaduti, perfino in luoghi tranquilli, come di certo era il borgo contadino della Carità: il 15 dicembre 1887 Pasquale Orazzo, un colono e possidente residente a via Petraro si recò nel commissariato di Pubblica Sicurezza di Gragnano per denunciare lo stupro di A. M. De Vivo, una bambina di sette anni presa con l’inganno da Francesco Lombardi, prete e vice rettore della piccola chiesa di sua proprietà situata in quella frazione. Con una scusa era riuscita a portarla in sagrestia e in quel luogo la prese con violenza. [14] Facciamo un balzo in avanti, al 17 agosto 1908, un lunedì che vogliamo pensare afoso, quando Gennaro Scala di 63 anni fu ucciso con una coltellata dal calzolaio Giuseppe Pignagrande, un ragazzo 23enne originario di Torre Annunziata ma da tempo trasferitosi nella contrada Carità. [15] Cronache fortunatamente rare in quei tempi in cui la vita scorreva tranquilla e la gente era dedita alla coltivazione dei campi, lavorando dall’alba al tramonto. A quei tempi non si coltivavano gladioli, altri erano i prodotti richiesti dal mercato. La particolare natura del terreno consentiva la coltivazione del riso e ricercata era la canapa, il lino e il cotone, almeno fino all’avvento della prima guerra mondiale. Un omicidio efferato, che coinvolse emotivamente l’intera comunità si ebbe un secolo dopo, nella notte del 4 novembre 2011, quando due balordi tentarono di rapinare il 27enne veterinario, Carlo Cannavacciuolo. Il giovane aveva appena finito di festeggiare il suo onomastico con gli amici, quando con la sua auto si era appartato in un vicoletto di campagna in compagnia della sua fidanzata. All’improvviso comparvero Ciro Afeltra e Violante Petrucci, pistola in pugno ordinando ai due ragazzi di scendere dalla vettura. Carlo reagì innestando la retromarcia nel tentativo di scappare, ma il malvivente armato gli sparò, uccidendolo. I due ladruncoli diventati assassini furono arrestati pochi giorni dopo e condannati all’ergastolo nel giugno 2013. La Corte d’Appello confermò la condanna nel gennaio 2015 e la Cassazione mise la parola fine nel marzo 2016. Negli stessi giorni il giovane fu insignito con la medaglia d’oro al valor civile alla memoria e consegnata alla famiglia, mentre l’amministrazione comunale volle ricordare il suo concittadino intitolandogli una strada appena inaugurata con una cerimonia pubblica il 21 luglio 2016.[16]
L’inizio del Novecento, il secolo delle masse, fu fondamentale per l’affermazione dei primi principi di autonomia rivendicati dalla borgata. Il primo atto si registrò il 14 settembre 1904 con la delibera consiliare firmata dal sindaco di Gragnano, Florindo Correale, con la quale aveva istituito la Borgata Carità, distaccandovi poi l’Ufficio di Stato Civile nel 1906. Nello stesso anno, con Regio Decreto del 22 novembre fu insediato anche l’Ufficio di Conciliazione. Fino al 1928 rientravano nel territorio del Borgo anche le contrade Messigno e Mariconda, poi annesse nel costituito comune di Pompei, sorto il 29 marzo di quell’anno con zone di territorio staccate da Scafati, Boscoreale, Gragnano e Torre Annunziata. Feudo politico dell’ambizioso barone Francesco Girace, consigliere comunale, assessore e sindaco di Gragnano, nonché consigliere provinciale nel secondo decennio del’900, ricordiamo in queste brevi note un suo giro di propaganda effettuato il 3 marzo 1909 per le elezioni politiche da tenersi la domenica successiva. In quella occasione accompagnò il candidato deputato al parlamento del collegio, lo stabiese Alfonso Fusco (1853 – 1916), spregiudicato imprenditore che aveva rotto il monopolio politico di un grande figlio di Gragnano, Tommaso Sorrentino. Questi era stato deputato del collegio dal 1870 fino a quando non fu sconfitto nel 1896 dallo scaltro imprenditore stabiese, appartenente ad una famiglia che da anni dominava la scena politica di Castellammare. Accolto dal sindaco di Gragnano, Alfonso Garofalo e dal parroco, Giovanni Sabatino, gli elettori della Carità si lamentarono delle due maggiori carenze di cui soffriva la borgata: la mancanza dell’acqua potabile e della viabilità che lasciava a desiderare. Fusco vinse le elezioni sconfiggendo il suo grande, acerrimo rivale, il repubblicano Rodolfo Rispoli (18693 – 1930), ma da quando ci è dato sapere, bisognò attendere l’elezione dello stesso barone Girace a sindaco di Gragnano, avvenuta nel 1912, per vedere esaurite alcune delle più impellenti necessità della borgata sammaritana. Approfittando di una nuova legge emanata il 25 giugno 1911, che consentiva ai Comuni di estinguere debiti contratti per la fornitura di acqua potabile in 35 annualità ed, in casi eccezionali, anche in cinquanta senza interessi, l’Amministrazione comunale pensò bene di completare il lavoro iniziato nel 1905, quando avviò i lavori per la costruzione del nuovo acquedotto potabile urbano affidandolo all’impresa Aprata. I lavori dell’acquedotto rurale furono completati intorno al 1909, accompagnati da strascichi giudiziari per debiti e interessi non pagati all’impresa stessa.
«Il primo di tale genere costruito in Italia a prò della numerosa popolazione delle borgate della nostra campagna (…) Quell’opera che arrecò un beneficio grande ad un considerevole numero di nostri concittadini, verso i quali si aveva un vecchio debito di giustizia da soddisfare, mentre riscosse il plauso di tutti quelli che ne ebbero notizia fuori di Gragnano e fece piovere a prò delle SS.VV benedizioni da parte di quei buoni villici, sgravò il bilancio comunale, fin dal decorso esercizio 1913, di oltre 2.000 lire annue, che il comune era costretto a spendere per inviare tutti i giorni in quelle contrade botti di acqua potabile per dissetare quelle misere popolazioni (…). In poche parole il Comune per l’acquedotto della Carità oggi gode il beneficio di una forte economia ed un nuovo notevole reddito, senza aver impegnato ancora alcun capitale per detta opera». [17]
Il prestito per la realizzazione dell’acquedotto, in considerazione del forte disavanzo con cui la precedente amministrazione aveva chiuso il bilancio del 1911, valse a chiedere e ad ottenere dalla Cassa depositi e Prestiti un nuovo mutuo da pagare senza interessi nel termine massimo di 50 anni. Poco importava se nel frattempo l’amministrazione retta dal barone Girace poteva vantarsi di chiudere l’esercizio 1913 addirittura con un avanzo di ben 37.806,26 lire. Tra le altre opere meritorie di cui il sindaco poté vantarsi fu di munire la Frazione di un medico condotto, nella persona del dottor Gaetano Manzi perché.
«Per l’enorme distanza, non vi è tempo per chiamarlo, né il medico, invitato, per quanto zelo lo animi, si presterebbe durante la notte, a recarsi da Gragnano alla contrada Terminale o Messigno, al Lattaro, alle Fontanelle, al Pontone, ai Piscicelli o ad altra delle borgate più lontane della Frazione Carità». [18]
Realizzò, inoltre, un asilo infantile di cui finora era stata priva, istituì una nuova classe in considerazione dell’aumentata popolazione scolastica, riordinò l’altra in contrada Cappella dei Bisi ed un’altra ancora alla contrada Pontone, per l’anno 1912/1913.
Pochi anni dopo, a portare il verbo della politica fu un gruppo di giovanissimi socialisti di sinistra, legati ad Amedeo Bordiga, provenienti da Castellammare, dove si pubblicava il quindicinale La Voce, organo del Circolo Carlo Marx, fondato dal futuro fondatore del Partito Comunista d’Italia. Si era alla vigilia della prima guerra mondiale quando Oreste Lizzadri, giovane socialista di Gragnano, tra i protagonisti della fondazione della prima sezione socialista costituita nell’aprile 1913 nella Città della Pasta, leader delle lotte dei pastai e dirigente della locale Camera del Lavoro, trascinò gli altri giovani militanti del circolo marxista, tra cui Ruggero Grieco, futuro leader nazionale del PCI, Antonio Cecchi e Oscar Gaeta nella contrada Carità. L’arrivo dei giovani fu preceduto dalle campane del parroco (forse lo stesso Giovanni Sabatini, che abbiamo già visto poc’anzi riservare ben altro trattamento ad Alfonso Fusco, ma più probabilmente il suo successore, Angelo Iaccarino, parroco dal 1914 al 1930) e da una sua infuocata messa, durante la quale aveva aizzato i contadini contro i miscredenti, i diavoli rossi scesi a valle per sottrarre anime al timore di Dio. Nonostante tutto, nell’alberata piazza della borgata, una ventina di contadini ascoltarono fino alla fine il comizio di Ruggero Grieco, instillando, forse, in qualcuno di loro il germe del socialismo.[19]
Passarono gli anni e i Girace continuarono a dominare la vita politica di Gragnano e della sua frazione più importante, anche durante il lungo ventennio fascista. Santa Maria la Carità ebbe il suo Fascio di combattimento ad opera di Ernesto Marino (1891 – 1970) e la sua Gioventù del Littorio. Ciononostante la politica doveva sembrare una cosa lontana, che non dovesse riguardare la piccola laboriosa comunità contadina, eppure la dittatura mussoliniana trovò modo e tempo di far sentire la sua asfissiante presenza, con prepotenze, violenze e olio di ricino a chi non la pensava come loro. Non mancarono di denunciare e far schedare come sovversivi alcuni dei suoi abitanti, tra questi Giuseppe Di Somma, un agricoltore benestante, reo di aver pronunciato frasi offensive contro la milizia nel marzo 1931[20], il contadino Federico D’Aniello trovato in possesso di volantini sovversivi e il geometra Giacomo Iannotta, a sua volta schedato come antifascista. Infine fu chiusa l’unica cooperativa presente nella contrada, la Cooperativa Unione Agricola Cattolica.
«Costituitasi nel 1920 col fine di dare incremento all’agricoltura, dopo un periodo di notevole attività, è venuta meno al suo fine, tanto che numerosi soci si sono dimessi e sono rimasti soltanto pochi componenti del consiglio amministrativo, i quali svolgono azione contraria al Regime e qualcuno professa addirittura principi sovversivi. Ritenuta che, per quanto così ridotta, la predetta Associazione rappresenta tuttavia un fomite di propaganda avversa al Regime e determina la probabilità di reazione con pericolo di turbamento dell’ordine pubblico (...) è disciolta». [21]
Correva l’anno Quinto dell’Era fascista, il 20 maggio 1927, quando l’Alto Commissario Michele Castelli incaricava il Questore di dare esecuzione al suo decreto, convinto che l’associazione incriminata, nonostante il suo nome, non era da considerarsi un’emanazione di organizzazioni cattoliche ma più semplicemente costituita per scopi elettorali. Fu in questi anni che la frazione ritorna, indirettamente, nella cronaca nera: la sera del 13 novembre 1924, il deputato fascista, Alfonso Imperati, uccise a colpi di pistola, al Corso Vittorio Emanuele di Castellammare di Stabia, il suo camerata, Andrea Cosenza, dopo un’accesa discussione politica. Subito dopo scappò a piedi, dirigendosi per Via Tavernola verso la campagna, raggiungendo in breve Santa Maria La Carità. Qui si recò in casa di un amico, Ferdinando Senia e poi di Eduardo Borrelli, proprietario della rivendita di tabacchi, chiedendo aiuto perché, a suo dire, i fascisti lo volevano uccidere, ma tacendo dell’omicidio appena commesso. Gli chiese quindi di accompagnarlo alla stazione. Il commerciante sammaritano vedendolo stravolto gli domandò se avesse delle armi, facendosi consegnare la pistola. Ignorando di aiutare un assassino, Eduardo Borrelli, di buon grado, nonostante l’ora tardi, lo portò alla stazione ferroviaria di Gragnano. Ma intanto i carabinieri della locale stazione, allertati dalle varie voci, il mattino dopo si recarono in casa del tabaccaio facendosi raccontare quanto era accaduto e consegnare l’arma dell’omicida. Alfonso Imperati sarà arrestato soltanto nel 1929 dalla polizia francese, a Lione, dove aveva trovato rifugio, nascondendosi sotto falso nome, ma non per questo sarà rimpatriato riuscendo ad ottenere l’asilo politico. Venne la guerra e alla Patria, Santa Maria La Carità pagò il suo tributo di sangue, tra cui il marinaio Camillo Ferraro, caduto durante un attacco aereo mentre era sulla nave al suo posto di combattimento e il tenente pilota, Ernesto Borrelli, morto al largo del Mediterraneo il 27 marzo 1943, già distintosi in numerose azioni belliche per quali era stato decorato con tre medaglie d’argento al valor militare. I concittadini lo vollero ricordare dedicandogli la bella piazza del paese ed erigendogli, successivamente, una lapide. Complessivamente le due guerre mondiali costeranno alla piccola comunità contadina quasi trenta caduti, come è ricordato in una lapide posta in piazza il 7 gennaio 2007, giorno della Festa del Tricolore. Completamente cancellati dalla memoria della comunità, sono diversi episodi accaduti il 23 settembre 1943, quando quattro inermi sammaritani furono uccisi sul posto dai tedeschi. Il primo, Pietro Cesarano, in via Visitazione, nella stessa strada in cui abitava, perché trovato in possesso di alcune bombe a mano e il cadavere lasciato esposto per due giorni, senza che nessuno osasse avvicinarsi per paura di rappresaglie; il secondo episodio, nella stessa giornata, vide l’uccisione di un ragazzo appena ventenne, Antonio Raiola. Il giovane abitava in via Calvanese, ma nulla sappiamo di cosa stesse facendo quel giorno, di certo per sfuggire ad un rastrellamento in corso da parte dei militari tedeschi, provò a nascondersi in un vicino campo di grano, nei pressi di via Canneto Primo, non molto lontano dalla propria abitazione. A ll’avvicinarsi della pattuglia nazista, impaurito, tentò di fuggire ma fu notato e mitragliato. Il terzo assassinio riguarda il diciottenne Pasquale Alfano. Il ragazzo abitava con la famiglia in via Canneto II, alla notizia dei rastrellamenti la famiglia aveva pensato di nasconderlo nell’armadio della camera da letto, ma non trovandolo sicuro preferì scappare nei campi, fuggendo nella parallela via Canneto I, qui s’imbatté nella stessa pattuglia che già si era macchiata del sangue innocente di Raiola. Inutilmente tentò di sfuggire al suo destino, una raffica di mitra lo colpì ad una gamba e si accasciò a terra. Accompagnato dagli stessi familiari nel vicino ospedale di Castellammare di Stabia, rifiutò di farsi amputare la gamba. Poche ore dopo per tema di un raid aereo l’ospedale fu sgomberato e allora fu portato dai parenti a Lettere per essere curato da un medico amico, ma qui dopo due giorni di agonia morì il 26 successivo.[22]
Il regime di Benito Mussolini passò e tornò la democrazia, con i suoi limiti, i suoi errori, le sue speranze. Santa Maria la Carità continuava a vivere la sua quiete vita di campagna e cresceva, passando dai 3.340 abitanti registrati nel 1931, ai 3.695 del 1936, toccando 4.532 presenze nel censimento del 1951, fino a far scrivere negli anni cinquanta ad uno storico:
«In un tempo non lontano vi abbondavano le paludi, oggi non vi è un palmo di terra che non sia coltivato». [23]
Vi si girarono perfino alcune scene di un famoso film, La sposa, con Carlo Giuffrè e Irena Tunc in quel fatidico 1957, immortalando la sua chiesa e la piazza nella scena iniziale del matrimonio della protagonista. Non manca, a pochi metri dalla sua piazza più importante, l’agorà per eccellenza del chiacchiericcio domenicale della comunità maschile, una piccola sala cinematografica, chiamata Zara, successivamente e fino agli anni settanta, Margherita, quando poi chiuse per sempre i battenti, in concomitanza con l’avvento delle televisioni private. Ad accorgersi di questa piccola contrada furono dapprima i comunisti, al punto da inaugurare una loro sezione il 15 aprile del 1951. In realtà la sezione era operativa fin da inizio anno, non a caso vi tennero il loro primo congresso sezionale il 4 febbraio, forte di ben 20 iscritti. La sezione del Pci fu intitolata a Giovanni Noviello, un militante comunista caduto a Melissa durante l’occupazione di fondi agricoli.[24] Al Pci risposero i monarchici del PNM istituendo a loro volta una sezione il 5 febbraio 1953, forte di 25 iscritti. Sappiamo che non furono da meno i socialisti, a loro volta aprendo un loro circolo, ma sfortunatamente non abbiamo trovato idonea documentazione. Sono gli anni in cui alcuni cominciarono a sentire soffocante il legame che li univa a Gragnano la cui classe politica tutto prendeva e niente lasciava, sono gli anni del giovane Francesco, Ciccio, Patriarca (1932 – 2007) poi divenuto sindaco della città della pasta dal 1963 al 1971. Ma ancora prima vi era chi aveva cominciato a parlare di una possibile autonomia e il 9 maggio 1956 nasce la prima proposta di legge, regolarmente naufragata, a firma del deputato comunista, Mario Gomez D’Ayala (1917 – 2008), iniziativa riproposta il 18 ottobre 1958. [25] Il 7 luglio 1960 toccò al deputato democristiano Vincenzo Scarlato (1921 – 2003) presentare una sua proposta di costituzione del nuovo comune, senza essere presa, naturalmente, in considerazione. Entrambi i deputati tentarono di portare in discussione la proposta di legge in Commissione il 5 ottobre 1960, ma il Sottosegretario di Stato all’Interno, Oscar Luigi Scalfaro ne propose il rinvio perché
«approvare la costituzione di nuovi comuni alla vigilia – nel senso più esatto della parola - della competizione elettorale amministrativa, non mi sembra opportuno».[26]
Ci riprovarono entrambi nella seduta del 1° febbraio 1963, nell’ambito di una più complessiva discussione sull’istituzione di nuovi comuni, presentate da decine di altri deputati delle più svariate province d’Italia. Ma ancora una volta, si decise il rinvio dettato dalla
«necessità di un aggiornamento di alcuni dati relativi alle inchieste amministrative, soprattutto in considerazione del fatto che alcune inchieste sono di data remota (…) di rinviare in blocco l’esame di tutte le proposte di legge in considerazione delle difficoltà che si presentano per l’esame di ciascuna di esse….».[27]
Alla proposta del Presidente della II Commissione Affari Interni della Presidenza del Consiglio, il democristiano Stefano Riccio (1907 – 2004), che riprendeva alcune considerazioni fatte del deputato comunista Rino Nanni (1928 – 2001), si associò il socialista Mauro Ferri:
«Aggiungo che questa linea di condotta mi sembra corretta dal punto di vista costituzionale, sia perché siamo alla fine del nostro mandato e sia perché, anche se in misura diversa, la grande maggioranza della Camera ritiene che all’inizio della prossima legislatura si debba dare attuazione all’ente regione, che annovera tra i suoi compiti la modifica delle circoscrizioni comunali, per il quale il Governo ha presentato il disegno di legge cornice contenente i principi fondamentali (…). Pertanto ritengo che sia opportuno rinviare tutti questi provvedimenti alla prossima legislatura con l’augurio che di questa materia non abbia più ad occuparsene il parlamento, ma, come la Costituzione prevede, l’ente regione».[28]
Affossato definitivamente ogni possibilità di ottenere immediata autonomia da parte del Parlamento, la speranza sembrò affievolirsi, mentre il borgo continuava la sua crescita demografica, erano ormai 5.698 gli abitanti della frazione al 1971, più di quanti ne contassero migliaia di altri piccoli comuni. La svolta sembrò aversi nel dicembre 1973, quando si costituì un nuovo Comitato popolare che riuscì a far portare nel luglio ‘74 in Consiglio regionale la proposta di legge per l’istituzione del comune, su iniziativa del consigliere Filippo D’Ambrosio. La fine della legislatura pose fine alla possibilità apertasi con la successiva approvazione del Consiglio provinciale del 28 marzo 1975 e dello stesso consiglio comunale di Gragnano, tenutosi in due tempi, il 12 e il 29 aprile di quello stesso anno. Nell’ottobre 1975, con l’inizio della nuova legislatura regionale, il consigliere Filippo D’Ambrosio ripresentò la proposta d’iniziativa di legge a favore dell’istituzione del nuovo comune di Santa Maria la Carità, trovando, stavolta, ostacoli improvvisi nell’iter legislativo.[29] Comincia una lunga battaglia, accompagnata da manifestazioni popolari contro la burocrazia istituzionale, le trappole e i tranelli di quanti non avevano interesse all’autonomia di Santa Maria La Carità, una borgata che aveva ormai largamente superato i 6mila abitanti. L’11 giugno 1978 si tiene un referendum popolare sull’autonomia falsato dal voto dell’elettorato della fascia gragnanese portando i No al 62% contro il 38% di quanti sono d’accordo. Il voto scorporato dei sammaritani porta invece l’83 % ai favorevoli dell’autonomia. Finalmente sull’onda delle proteste popolari, il 23 novembre 1978 il Consiglio regionale licenzia la legge n°80 che istituisce il nuovo Comune mentre bisogna aspettare il 4 giugno 1980 per l’approvazione del decreto sui confini. Il 12 ottobre di quello stesso anno si tengono le prime elezioni amministrative portando in consiglio comunale 17 democristiani, due socialisti e un comunista.
Comincia da qui un’altra storia, non sempre limpida. La neo cittadina ripercorre gli stessi errori della città madre, divenendo terra di contesa e di conquista, come fosse un feudo da annettersi. Questo era stato il suo destino fin dalla prima metà dell’Ottocento, quand’era soltanto una frazione, con la famiglia De Concilio, i baroni Quiroga, i notabili Della Rocca; continuò ad esserlo nella seconda metà del Novecento, in piena Repubblica, con i Patriarca ed i Gava. La conquista dell’autonomia amministrativa la trasformò in terra di contesa e di conquista da parte degli Alfano, dei Cascone, dei Longobardi e dei tanti piccoli leader improvvisati delle diverse contrade, innalzando vessilli civici, ma senza disdegnare di vestire i colori della Democrazia Cristiana prima e di Forza Italia poi. Così come non mancheranno trasformismi dell’ultima ora, tradimenti di casacca, opportunismi che interesseranno tutti i partiti, nessuno escluso e le varie civiche, alcune delle quali nascevano e si dissolvevano in una notte. A rompere il monopolio delle amministrazioni democristiane e di centro destra, alcune travestite da civiche, irruppe una civica di centrosinistra, Insieme per Santa Maria la Carità, eletta il 23 aprile 1995 e guidata dal popolare Paolo Fortunato, forse sulla scia della tangentopoli sammaritana, come quasi subito intitolarono i giornali, la vicenda di appalti e tangenti e la commistione tra imprese-politica-camorra legata alla realizzazione del sistema fognario affidata alla Cooperativa Costruttori. L’indagine giudiziaria, avviata all’inizio degli anni ’90, vide come primo imputato l’allora sindaco, Catello Cascone, l’amministratore delegato della Coop Costruttori di Argenta, Giovanni Donegaglia ed esponenti della criminalità organizzata, sfiorando la stessa sezione locale del Partito Democratico di Sinistra, l’erede del vecchio PCI, a seguito delle dichiarazioni effettuate dal sindaco Cascone ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia. [30]
La vittoria consentì, per la prima volta nella storia della giovane cittadina, di portare un esponente erede del vecchio PCI in Giunta, il giovane dottore in economia e commercio, Francesco Di Capua. La nuova amministrazione si trovò a fronteggiare una situazione di bilancio deficitaria, fino ad entrare nel mirino dei comitati provinciali di controllo della Regione, una situazione che lo vide in compagnia di altre 148 amministrazioni della Campania e una dozzina della provincia di Napoli, tra cui le vicine Agerola e Torre Annunziata. Tra le complicazioni vissute dall’amministrazione di centrosinistra, l’occupazione del palazzo municipale da parte dei lavoratori dell’impresa edile, Elettrostabia, il più importante insediamento produttivo presente sul territorio comunale con i suoi 67 dipendenti. La società edile attraversava da qualche anno difficoltà finanziarie, aggravate dalla gestione conflittuale tra i soci, scaricate, come sempre accade in questi casi, sui dipendenti, omettendo di versare i contributi previdenziali e assistenziali all’INPS e gli accantonamenti alla Cassa Edile provinciale dall’ottobre del 1995. I numerosi incontri in prefettura, e con lo stesso sindaco Paolo Fortunato, richiesti dalle organizzazioni sindacali non avevano sbloccato la situazione, fino a quando l’esasperazione per la dura vertenza che non trovava sbocchi positivi, anzi si aggravava con il mancato pagamento dei salari, non esplose con l’occupazione pacifica del Municipio. La mediazione del sindaco portò i lavoratori a liberare gli uffici aperti al pubblico, limitandosi a presidiare le stanze del primo cittadino, della Giunta e la sala del consiglio comunale. Impressionò non poco la cittadinanza, scandalizzando i molti benpensanti, la bandiera rossa della Fillea Cgil, sventolante al vento, issata sull’alto pennone della bella Piazza antistante il nuovo e moderno palazzo comunale e rimasta a garrire al vento per l’intera durata dell’occupazione operaia, quasi un mese. Per iniziativa del Segretario Generale della Fillea comprensoriale, Raffaele Scala, che guidava in questo frangente i lavoratori in lotta, si sollecitò la vice presidente del senato, Ersilia Salvato, a presentare il 21 dicembre 1996 un’interrogazione parlamentare al Ministro del Lavoro, Tiziano Treu.
«Premesso che la fabbrica Elettrostabia srl di Santa Maria La Carità (Napoli)è occupata da più di un mese dai dipendenti che da circa tre mesi non ricevono lo stipendio; che sono del tutto incomprensibili le ragioni del mancato pagamento degli stipendi visto che la società Elettrostabia ha commesse, innanzitutto dall’Enel, per diversi miliardi, si chiede di sapere:se si intenda urgentemente intervenire perchè possa esserci un futuro occupazionale e produttivo per i 60 operai e i 6 impiegati di questa azienda; se risulti vero che non è stata versata nè la cassa edile nè i contributi INPS da quasi un anno». [31]
Per sensibilizzare l’opinione pubblica fu avviata una raccolta di fondi a favore dei lavoratori in lotta e in molti riposero con generosità, compresi alcuni pastifici di Gragnano, offrendo pacchi di pasta e altri generi alimentari, mentre molti cittadini contribuirono con offerte in denaro. Lo stesso parroco della principale chiesa cittadina, Carmine del Gaudio partecipò alla raccolta con 500mila lire e ricordando le traversie degli operai in lotta durante la messa di Natale di mezzanotte di quel 25 dicembre 1996.[32] Nonostante tutto, la situazione precipitò nelle settimane successive, con le organizzazioni sindacali costrette a denunciare alla Procura della Repubblica i misfatti di uno dei titolari della Elettrostabia, arrivato a minacciare i dipendenti chiusi nello stabilimento di via Baldascini, dopo aver proclamato l’assemblea permanente in segno di protesta contro l’atteggiamento della proprietà ed infine, inevitabile, la dichiarazione di fallimento, nei primi mesi del 1998, dell’antica società edile fondata dall’ormai vecchio e stanco, Trento Barile, quasi mezzo secolo prima. Non durò molto l’anomala amministrazione di Paolo Fortunato. Cinque consiglieri della maggioranza, Enrico Sicignano, Mario Sabatino, Ciro Elefante, Salvatore Cannavacciuolo e Catello Longobardi nel gennaio del 1997 aderirono al CDU, i Cristiani Democratici Uniti, partito fondato da Rocco Bottiglione un paio di anni prima, una delle tante schegge nate dalla dissoluzione della vecchia Democrazia Cristiana, dando vita ad un nuovo gruppo consiliare. Meno di un mese dopo presentò una mozione di sfiducia contro il sindaco, approvata a maggioranza, provocando il 6 febbraio lo scioglimento anticipato del consiglio comunale. Per molti, per troppi era insopportabile essere amministrati dagli eredi dei comunisti, da quei due consiglieri comunali, militanti del PCI fin dai primi anni Ottanta, il professore di educazione fisica, Giovanni Di Somma e dal commercialista, Francesco Di Capua, nipote del padre storico del comunismo locale, il falegname Raffaele Di Capua (1940 – 2005). E comunisti erano definiti, per spregio, i loro alleati, quei popolari che, secondo i più retrivi, avevano tradito la tradizione sammaritana secondo la quale i rossi dovevano essere emarginati, comunque e dovunque.
«Quel breve periodo rappresentò una vera e propria "primavera politica" un buon biglietto da visita del centro sinistra per il modo di far politica a Santa Maria la Carità, perchè oltre a favorire con molte iniziative l'ingresso di forze giovani all'interno del potere, si stava cercando di spostare sul nostro territorio il mercato ortofrutticolo da Castellammare di Stabia, venne realizzato uno studio di fattibilità di un reale piano operativo sotto l'aspetto economico-ambientale ed occupazionale per la creazione di un centro di trattamento e riciclaggio del rifiuto secco (carta, metallo, vetro, plastica ecc) presso l'ex campo container e portare la raccolta differenziata anche nel nostro Comune. Inoltre nei locali del Comune si stava dando spazio oltre a tutte le associazioni culturali anche alle associazioni di categoria dell'artigianato e dell’’agricoltura al fine di offrire servizi reali alle piccole imprese locali, si stava cercando fattivamente di portare il mercato settimanale nel territorio e di sviluppare un servizio di taxi cumulativo, così come a Torre Annunziata. Purtroppo è andata male perchè la politica si fa quotidianamente con la gente ed il primo cittadino stava tutta la giornata a Pomigliano e perché purtroppo le tradizionali forze esterne ed interne al Comune, adepti dei nomi che conosciamo, quando sapevano che veniva toccato un loro interesse o un loro protetto cercavano in tutti i modi di screditarti e mandarti fuori dal gioco politico».[33]
Si tornò a votare il successivo 27 aprile cogliendo di sorpresa le stesse forze politiche locali, certi di un lungo commissariamento. Paolo Fortunato si rese indisponibile a guidare la formazione civica, accontentandosi di essere capolista. Ancora una volta il centrosinistra si unì, raccogliendo le diverse esperienze maturate nei vecchi partiti socialisti, comunisti e della sinistra democristiana, ma accogliendo nel suo seno, ancora una volta, innesti che nulla avevano a che vedere con questa tradizione, sperando in questo modo di riuscire a rompere l’agguerrito fronte avversario. Insieme per Santa Maria la Carità, affidò la candidatura di primo cittadino all’inesperto medico, Martino Galasso, mentre la lista di destra, Lavoro e solidarietà, schierò l’avvocato Sebastiano Gargiulo, già segretario cittadino della DC dal 1985 al 1990. La competizione non ebbe storia, al punto da lasciare fuori dal consiglio comunale lo stesso ex sindaco, che nulla aveva fatto per essere eletto. Ma se il centrosinistra tornò all’opposizione, la lotta interna alla stessa maggioranza di destra, coacervo di contrapposti interessi, dietro cui vi erano gli eterni burattinai che non consentivano nessun autonomo agire, provocò l’ennesimo scioglimento anticipato della consiliatura, certificato dal decreto del Presidente della Repubblica il 22 settembre 1999.
Non mancarono, nella storia della giovane cittadina, pagine oscure, accordi sottobanco,[34] infiltrazioni camorristiche, fino a conoscere l’onta dello scioglimento, l’8 febbraio 2002, per collegamento con la criminalità organizzata. Inutilmente il sindaco Carlo Longobardi ed altri fecero ricorso al Consiglio di Stato
«rilevando che tale decreto (...) non addebitava al Sindaco, alla Giunta o al Consiglio alcun fatto concreto, per cui l’intera vicenda sembrava frutto di evidenti errori, di pregiudizi e scambi di persona; che la sentenza in epigrafe che aveva respinto i ricorsi degli istanti, era stata costretta a prospettare un’inconsistente ipotesi camorristica su una tangente di £ 15 milioni pagata al Longobardi negli anni Ottanta; che al Longobardi, consigliere comunale dal 1980 e sindaco dal 1995, null’altro era stato possibile contestare (...)».[35]
Con ordinanza n. 2751 del 17 gennaio 2003 il Consiglio di Stato rigettava il ricorso proposto da Carlo Longobardi, confermando lo scioglimento per 18 mesi del consiglio comunale di Santa Maria la Carità e l’affidamento al commissario prefettizio, Rosanna Trinchillo. Toccherà a lei festeggiare mestamente i 25 anni di autonomia del comune con una messa ed un brindisi sul piazzale comunale il 23 novembre 2003. I fatti accaduti in questa ridente cittadina adagiata nella valle del Sarno valicheranno i confini locali, fino a diventare oggetto di discussione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata nelle seduta del 7 maggio 2002.
«E’ stato accertato in alcuni casi, come in occasione del ballottaggio per la scelta del sindaco di Santa Maria della Carità, che le frange del clan Cesarano, per ottenere vantaggi sicuri, si sono addirittura divise per far apparire che fornivano un appoggio visibile a tutti e due i candidati, perche´ a loro non interesse il colore politico. Sempre in quel procedimento, sono stati anche identificati e perseguiti gli uomini politici locali che, appoggiati dai clan, una volta eletti, sono stati mediatori nei rapporti con l’amministrazione comunale». [36]
La cittadina è devastata dall’abusivismo edilizio, dalla cementificazione selvaggia che va ben oltre le necessità dei nuclei familiari, nell’indifferenza delle istituzioni, spesso con la loro silenziosa complicità, fino a quando non interviene la magistratura ed iniziano a muoversi le ruspe, da Torre del Greco ad Ischia, da Napoli ad Afragola. [37] Prime demolizioni si hanno a Gragnano, Casola e Lettere. A Santa Maria la Carità le ordinanze della Procura prevedono almeno 24 abbattimenti esecutivi, 15 nella vicina Casola, 5 a Pimonte e 18 a Gragnano. Si forma un Comitato denominatosi, non è chiaro se con profondo senso dell’ironia o per la sua assoluta mancanza, Amici del Territorio, con l’intento di contrastare le esecuzioni deliberate dai giudici. Si arriva al blasfemo, confondendo sacro e profano, organizzando una processione partita da Piazza Borrelli e diretta al Santuario di Pompei per una mattinata di preghiera chiedendo la grazia divina. In mille, provenienti dai vari comuni limitrofi, compresi diversi personaggi politici in cerca di facile propaganda e con la benedizione di qualche prete che avevano smarrito la dritta via, parteciparono a questa strana processione, sperando in qualcosa che non aveva nulla a che vedere: con la fede. Non mancarono fatti positivi come la nascita, il 2 aprile 2001, dell’Unione dei Comuni dei Monti Lattari la prima sorta in Campania, una delle 537 costituite in Italia in applicazione del decreto legislativo 267/2000. [38] Tra gli atti approvati dall’Unione fu di rilievo l’accordo, sottoscritto nel dicembre 2003, sulla raccolta differenziata dei rifiuti con l’obiettivo di raggiungere almeno il 45% dei rifiuti prodotti. Un obiettivo tanto più urgente se si teneva in considerazione l’emergenza nella quale era precipitata l’intera regione e la provincia di Napoli in particolare con manifestazioni di protesta, blocchi stradali, incendio di cassonetti strapieni, cariche della polizia. Blocchi stradali e incendi di cassonetti che non risparmiarono la piccola cittadina della piana del Sarno.[39] La raccolta differenziata, ambizioso programma nato con l’amministrazione Fortunato e naufragato per l’anticipata, traumatica chiusura della consiliatura, fu una sfida vinta a metà da Francesco Cascone, eletto primo cittadino e riconfermato nel 2009. Nel 2005 Santa Maria la Carità galleggiava nelle ultime posizioni tra i comuni della Campania, con il 446° posto. Peggio, tra i comuni limitrofi della provincia di Napoli, stavano Boscoreale (449°), Lettere (459°), Boscotrecase (473°), Gragnano (494°) e Pompei (543°). Il primo balzo importante lo fece nel 2007, quando la nuova classifica tra i comuni in base alla percentuale di raccolta differenziata lo portò al 76° posto, ma piazzandosi al quarto posto tra i comuni del napoletano con il 50% della raccolta. Infine nell’autunno del 2008 il giovane sindaco fu in grado di poter annunciare trionfalmente, di aver toccato quota 60% a fronte del 35% imposto dal Decreto Ronchi, quale limite minimo da raggiungere. Una percentuale elevata ma non sufficiente a porre la cittadina sammaritana ai primi posti nella speciale classifica elaborata da lega Ambiente: prima di Santa Maria la Carità, piazzatosi al 39° posto, con il 59,20%, c’erano comuni come Atena Lucana, con il 90,8% della raccolta differenziata, Roflano con l’86,9% e tanti altri del salernitano e dell’avellinese. Nel napoletano era superata soltanto da Grumo Nevano, piazzatosi 35° con il 61,10%. [40] Durò poco il sapore della vittoria perché negli anni successivi scomparve dalla speciale classifica redatta ogni anno da Lega Ambiente. Altrettanto importante la sottoscrizione, nel gennaio 2003, del 2° Protocollo aggiuntivo del Contratto d’Area torrese stabiese con la previsione di investire almeno 77 milioni di euro negli otto comuni interessati tra cui la stessa Santa Maria la Carità, capace di presentare da sola il 27% delle proposte consegnate e l’approvazione del Piano d’Insediamento Produttivo, con un’area di 160mila metri quadri nella zona del Fusaro per realizzare piccoli insediamenti industriali e artigianali (PIP). Quando nel 1978 Santa Maria la Carità divenne comune autonomo aveva in sé grandi potenzialità di crescita, sociale, economica, culturale ed, infine, perché no? urbanistica, se solo la sua classe dirigente fosse stata lungimirante ed avesse guardato lontano, progettando la costruzione della Città Futura. Le condizioni vi erano tutte, ed invece le classi dirigenti che si sono succedute in questi quaranta anni si sono soffermati a guardare il proprio ombelico, gli interessi immediati, materiali, particolari, dell’uno e dell’altro, lasciando dilagare l’abusivismo, crescere le clientele, gli opportunismi di parte, la corruzione, come dimostrano le diverse inchieste giudiziarie. La camorra l’ha fatta da padrone, entrando nei gangli vitali dell’amministrazione, governando essa i processi economici, incanalando quelli politici nella direzione più idonea ai suoi interessi. Un male comune a tante amministrazioni del Mezzogiorno, un cancro antico e sempre attuale, inarrestabile, contro cui sono caduti i pochi che hanno osato ribellarsi, come accaduto a Pollica, dove il 5 settembre 2010 è stato assassinato il sindaco Angelo Vassallo. Un atroce delitto rimasto ancora impunito. Ma Santa Maria la Carità si è corrotta ancora prima di nascere, è nata già malata, quando invece avrebbe potuto costruirsi un progetto alternativo, darsi un respiro ampio, portare la fantasia al potere, come bene si potrebbe dire parafrasando un vecchio slogan sessantottesco, com’era nelle intenzioni dei tanti che credettero nella sua autonomia e per essa si batterono. Il futuro di questo paese potrebbe essere, nonostante tutto, ancora roseo se i suoi cittadini fossero più attentialla cosa pubblica, se partecipassero alle vicende politiche guardando all’interesse collettivo e non come tifosi dell’uno o dell’altro pretendente alla carica di amministratore cittadino, come simpatizzante del parente, dell’amico o del pseudo potente di turno, sempre pronto a promettere tutto, sapendo di non poter mantenere niente. Si dirà che così avviene dappertutto, Italia docet. Ma se cominciassimo a guardarci intorno per dare inizio ad un nuovo modo di concepire la politica, non faremmo cosa malvagia. O no? Una ventata di aria fresca sembrò arrivare nei primi mesi del 2010, con un’iniziativa spontanea di un gruppo di ragazzi, uomini e donne, di diversa estrazione politica, trasversale alle diverse forze che agitavano le notti insonni dei pseudi potenti, un Forum dei giovani con un programma che essi stessi sintetizzarono in questo modo:
«Siamo giovani diversi per istruzione, lavoro e appartenenza politica, ma vogliamo creare un gruppo per il confronto apartitico, che ha intenzione di parlare insieme di cosa noi giovani possiamo fare per la nostra terra».[41]
Purtroppo la voglia di cambiare naufragò ben presto nell’ordinaria amministrazione, in anonime iniziative che non hanno mai messo in discussione l’opaco modo di fare politica, dimostrando la banale organicità al Potere Vigente. Forse non potevano fare di più, forse nessuno ha chiesto loro di dare di più e meglio, lasciando che questo importante strumento di partecipazione giovanile diventasse, per alcuni, soltanto un trampolino di lancio per maggiori ambizioni politiche, magari soltanto un seggio da consigliere comunale. Ma la Storia continua e va oltre……..
[1] Luigi Grazzi, Lettere, La Nuova Stampa, 1978 [2] Giuseppe Greco, Stabiae, Aldo Flory Editore, 1981 [3] Libero D’Orsi, Gli scavi archeologici di Stabia, Tipografia Cotticelli Castellammare di Stabia [4] Piero Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento a oggi, Donzelli Editori, 1986 [5] Francesco Saverio Liguori, Cenni storico descrittivi della città di Gragnano e luoghi circonvicini, 1863 [6]Il Mattino del 4/5 maggio 1894: Visite militari, di Karekardia. Cfr. pure Giuseppe Di Massa che nel suo Santa Maria la Carità. Trent’anni di autonomia, Nicola Longobardi Editore, 2008, fornisce alcune preziose notizie sulla polveriera sammaritana. [7] Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, Interrogazione di Tommaso Sorrentino del 22 marzo 1893 [8] Ibidem, Risposta del Ministro della guerra all’interrogazione di T. Sorrentino, 24 marzo 1893 [9] Ibidem, [10] Ibidem 27 giugno 1894 [11] Francesco Saverio Liguori,Cenni...cit. [12] Antonio Barone: I briganti dei Monti Lattari, Città di Castellammare di Stabia, 1986 [13] AA.VV, Santa Maria la Carità. Il mio paese tra passato presente e futuro, Tip. Papers41, 2002 [14] ASN, Prefettura Ufficio Provinciale di P.S., Fascio 327, Ufficio di P.S. Gragnano, 16 dicembre 1887. [15] Il Mattino del 17/18 agosto 1908: Grave fatto di sangue presso Gragnano [16] Questa la motivazione che portò al riconoscimento della medaglia d’oro al valor civile consegnata ai familiari del giovane ucciso, nella ricorrenza della Festa della Repubblica nella sede della Prefettura di Napoli: Con pronta determinazione ed incurante del grave rischio personale, mentre si trovava a bordo della propria auto in sosta, in compagnia della fidanzata, si opponeva ad un tentativo di rapina posto in essere da due malviventi facendo repentinamente retromarcia. Nel corso della manovra frapponeva il proprio corpo a protezione della ragazza ma veniva mortalmente raggiunto da colpi d'arma da fuoco esplosi dai rapinatori che immediatamente dopo desistevano dal loro intento. Luminosa e nobile testimonianza di coraggio e di umana solidarietà". 4 novembre 2011 - S. Maria La Carità [17] Municipio di Gragnano, esposizione finanziaria e morale della Giunta letta al consiglio comunale nella riunione del 23 marzo 1914. Estensore, il sindaco barone Francesco Girace, Tipografia U.Fedeli di Castellammare di Stabia 1914. La Giunta retta da Francesco Girace era composta dall’avvocato Paolo Nastro, dall’agronomo Alfonso Di Vuolo, Gabriele Di Martino, Giovanni Vicinanza e Fortunato Dello Joio. [18] Francesco Girace, La voce della campagna, Stabilimento Tipografico Elzeviriano, Castellammare di Stabia, 1905 [19] Oreste Lizzadri, Ruggero Grieco alla vigilia della prima guerra mondiale, in cronache meridionali, 1955. [20] ACS, CPC, Di Somma Giuseppe, busta 1820 [21] ACS, DGPS, AA.GG.RR, Associazioni [22] Dal libro dei defunti conservato presso la Parrocchia di Santa Maria la Carità, scopriamo che il primo dei due assassinati si chiamava Pietro Cesarano, ed era nato a Gragnano, figlio di Carmine e Teresa Aprea. L’uomo era sposato con Maria Rosa Sorrentino e abitava in via Visitazione. Viene annotato che fu ucciso dai tedeschi. Il secondo, Antonio Raiola, di anni 20, era figlio di Alfonso e Angela Cannavacciuolo, celibe, abitava con la famiglia in via Calvanese. Anche in questo caso viene annotato che fu ucciso dai tedeschi. L’intera vicenda della strage fascista è riportata in Raffaele Scala, Santa Maria la Carità, settembre 1943: una strage dimenticata, BookSprintEdizioni, 2017 [23] Alfonso Liguori, Gragnano, Scuola Topografica Pontificia, 1955 [24] ASN Questura a Prefetto, 16 aprile 1951, Costituzione sezione Pci, B. 661 [25] Atti parlamentari, proposta di legge d’iniziativa del deputato Gomez D’Ayala del 9 maggio 1956. [26] Atti parlamentari Camera dei Deputati, Commissione in sede legislativa, seduta del 5 ottobre 1960 [27] Atti parlamentari Camera dei Deputati, Commissione in sede legislativa, seduta del 1° febbraio 1963 [28] Ibidem [29] AA.VV., Santa Maria la Carità, cit. [30] Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Seduta del 25 settembre 2001 interrogazione del senatore Emiddio Novi ai Ministri della Giustizia e dell’Interno. Della vicenda se ne occuparono ampiamente i giornali locali, in particolare Metropolis, nell’estate autunno del 1995. Tra gli altri giornali. Cfr., La Repubblica edizione napoletana del 26 settembre 1995: Coop rosse tre incriminati a Napoli. [31] Senato della Repubblica, Seduta del 21 dicembre 1996, interrogazione scritta della senatrice Ersilia Salvato [32] Sulla vicenda sindacale della Elettrostabia cfr Raffaele Scala,Per una storia della Fillea napoletana, Nicola Longobardi Editore, 2010, pagg. 117/8 e la stampa locale di quei mesi, in particolare il Roma del 15 dicembre 1996: Vertenza Elettrostabia, la rabbia degli operai, Metropolis del 17 dicembre: L’imprenditore minaccia gli operai, e numeri successivi, Il Mattino del 21 febbraio 1998: Difese gli operai. E’ sotto inchiesta. [33] Testimonianza di Francesco Di Capua all’autore [34] Francesco Barbagallo, Napoli fine Novecento. Politici, camorristi, imprenditori, Einaudi 1997 [36] Senato della Repubblica, camera dei Deputati, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata, resoconto stenografico della 14° seduta del 7 maggio 2002, pag. 17/18 [37] Il Denaro del 27 ottobre 2009: Abusivismo, al via gli abbattimenti [38] «Superare ogni campanilismo, unendo mezzi e risorse per una razionalizzazione di servizi intercomunali, dall’ordine pubblico alla sanità, dalla lotta all’abusivismo edilizio alla gestione del servizio di igiene urbana. E’ la finalità dell’Unione dei comuni dei Monti Lattari, primo esempio nella nostra regione di associazionismo gestionale di piccoli municipi, attuato attraverso la creazione, in base alla legge265/99, di un organismo sovracomunale. La prima seduta dell’Unione è stata fissata per venerdì 19 ottobre, alle ore 19,30, presso il Comune di Santa Maria la Carità, una delle sei città aderenti con Gragnano, Casola di Napoli, Lettere, Pimonte e Sant’Antonio Abate. Un territorio di cinquantatré chilometri quadrati e una popolazione di settantacinquemila abitanti».Cfr. Il Denaro del 16 ottobre 2001: art. Santa Maria la Carità, seduta dell’Unione. In Campania sono quindici le Unioni Comunali sorte in questi anni: due nel beneventano, tre nel casertano, quattro nell’avellinese, sei nel salernitano. Le Unioni esistenti nel napoletano sono tutte scomparse, compresa l’Unione dei comuni dei Monti Lattari, scomparsa nel settembre del 2008 per le numerose divergenze tra i vari soci. [39] Cfr. La Repubblica del 24 marzo 2001: Barricate per i rifiuti a Napoli è guerriglia e Ultimatum e Lacrimogeni, di Eleonora Bertolotto [40] Il Denaro del 10 settembre 2008: Differenziata, grandi città al palo. [41] Questo saggio, qui rivisto e ampliato, è stato parzialmente pubblicato a puntate sul periodico d’informazione dei Democratici di Sinistra del Circolo di Santa Maria la Carità,Palombella Rossa, nn. 0, 1 e 3 dell’ottobre e novembre 2006 e marzo 2007 e successivamente pubblicato in appendice al volume di Raffaele Scala, La Camera del Lavoro di Gragnano, Longobardi Editore, 2010 |
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