Le ruberie dei francesi denunciate da Eleonora de Fonseca Pimentel

Categoria principale: Storia
Categoria: Articoli sul 1799
Creato Domenica, 18 Febbraio 2018 19:04
Ultima modifica il Sabato, 07 Aprile 2018 12:03
Pubblicato Domenica, 18 Febbraio 2018 19:04
Scritto da Antonella Orefice
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Benedetto CroceEra il 1947 quando su i Quaderni della Critica Benedetto Croce pubblicava «Una inedita protesta di Eleonora de Fonseca Pimentel del marzo 1799 contro le ruberie e il tentato sopruso di un generale francese».

Il militare in questione era il trentenne Antonio Gabriele Venanzio Rey, giunto a Napoli durante la Repubblica del 1799, notato nei rapporti del Direttorio come un  militare bravo,  ma anche troppo spesso coinvolto in manovre economiche estorsive nei confronti delle popolazioni passate sotto il dominio francese.

Le ruberie dei generali francesi in Napoli, come in altre parti d’Italia, erano note tanto da costringere il governo del Direttorio ad inviare dei commissari, non tanto in difesa della moralità o delle popolazioni defraudate, quanto per assicurare i beni confiscati alle casse della Francia, considerato che buona parte restava nelle mani dei generali.

Il Rey era giunto a Napoli con il generale Championnet che, nonostante fosse stimato come persona onesta, lasciava troppa libertà d’azione ai suoi militari, proteggendoli, tanto da finire poi anch’egli compromesso e richiamato in Francia.

 

Con l’arrivo a Napoli del generale Macdonald, il Rey si affrettò a presentare le sue dimissioni, temendo di essere presto scoperto per l’ultimo ladrocinio.

Il 20 marzo di quell’anno il fraudolento generale, forte della sua autorità, aveva sottratto ai cavalieri napoletani le collane d’oro dispensate dalla Corte borbonica.

Ma l’estorsorsione non era passata in silenzio: consapevole della sua missione e dei diritti della libera stampa, Eleonora de Fonseca Pimentel, aveva pubblicato la notizia sul Monitore Napoletano del 23 marzo, e nel numero precedente aveva già denunciato un’ulteriore ruberia del generale Duhesme.

Sentendosi smascherato il Rey minacciò di censurare il giornale e di carcerare il tipografo Giaccio. La Pimentel allora ricorse al Governo Provvisorio e preparò un nuovo numero del Monitore con una esatta informazione dell’estorsione e delle minacce operate dal francese. Ma l’articolo fu censurato e il foglio comparve solo il 30 marzo, senza dare ulteriore seguito alla cosa.

La censura dell’articolo fu giustificata come atto dovuto per impedire il malcontento del popolo. Ma la denuncia della Pimentel non fu inutile, tantomeno placò il suo carattere inflessibile: il Rey smascherato fu costretto a presentare le sue dimissioni e se ne tornò in Francia con Championnet, cadendo in disgrazia, tempo dopo, anche con Napoleone.

Inoltre lo stampatore Giaccio non fu imprigionato e il Monitore continuò le sue pubblicazioni senza ulteriori censure.

Anni dopo, Benedetto Croce, ritrovò l’articolo della Pimentel nella biblioteca del barone De Gemmis in Bari e non esitò a pubblicarlo, dimostrando l’integrità morale della direttrice, censurata e minacciata dalla falsa democrazia francese.