Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La Carboneria napoletana e la Costituzione del 1820

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Prima dei moti rivoluzionari napoletani del 1820-21, che culminarono con il sacrificio estremo del sottotenente Michele Morelli e del sottotenente Giuseppe Silvati, vi era già da diversi anni nel Regno di Napoli un gran fermento di iniziative ascrivibili alla Carboneria, con un confronto di posizioni riguardo all’idea stessa di Costituzione tra la componente monarchico - costituzionale e quella di orientamento più radicale.

In effetti, la Carboneria era presente nel Regno di Napoli fin dai tempi di Giuseppe Bonaparte, ma fu Gioacchino Murat a permetterne la diffusione, e giunse anche il tempo in cui i carbonari si schierarono contro lo stesso Murat, dopo aver invano atteso la concessione della Costituzione.

Tuttavia, nel corso del Decennio francese, soprattutto durante il periodo murattiano, nonostante le resistenze di Napoleone, si era operata una profonda opera di rinnovamento politico e sociale del Regno, che non sfuggiva anche ai militari più illuminati, soprattutto ai giovani ufficiali, sottufficiali e gli stessi soldati di quello che sarebbe stato lo Squadrone Costituzionaledel tenente Michele Morelli.

Con il ritorno dei Borbone, si attuò una forte repressione della Carboneria nel Regno di Napoli, affidata al principe di Canosa, nominato il 10 gennaio 1816 ministro della Polizia.

Costui favorì una setta reazionaria, quella dei Calderari con il proposito di perseguitare la Carboneria con metodi infimi e dando inizio ad una lunga serie di crimini e malvagità, che, tuttavia, non spaventarono i carbonari, i quali, invece, giungevano alla conclusione che fosse arrivato il momento di procedere all’azione insurrezionale per ottenere l’agognata Costituzione.

 

Per la Carboneria si poneva, tuttavia, la questione di come tradurre in comportamenti e in innovazioni politiche l’idea di una umanità migliore che la Costituzione avrebbe dovuto sancire.

A Napoli, negli anni anteriori alla Rivoluzione del 1820-21, appariva più agevole l’instaurazione di una monarchia costituzionale.

In una dichiarazione stampata a Napoli e diffusa nel 1820, i carbonari napoletani illustravano la loro Idea del Popolo Costituzionale, nella quale risaltava la proposta di un  Patto Costituzionale, che nello stesso anno su La Minerva Napolitana, veniva così propagandata:

«Il Carbonarismo Napolitano adunque altro non è stato fin qua che la educazione del quasi infimo ceto della società per informarla del regime costituzionale. Durante il Decennio le idee costituzionali andarono propagandandosi, e in tutte le provincie, grande è il numero dei carbonari, nonostante un ministro illiberale e feroce avesse messo in movimento il calderarismo».

Nelle sue proposte più radicali la Carboneria si proponeva di abbattere la Monarchia ritenuta una forma di tirannia, di cui costituisce una testimonianza rilevante il Nuovo Statuto Organico della Carboneria della Repubblica Lucana Occidentale (Principato Citra), pubblicato nel 1820 e che recitava: «Sappiate finalmente che lo scopo della Repubblica Carbonara è di rendere ai Cittadini quella libertà quei diritti datici dalla Natura, e che la tirannia ci ha resi privi.

Per giungere a questo, bisogna raffinare la virtù, formare l’unione dei coraggiosi ed esemplari cittadini, e molto ci vuole; giacché la fina tirannia politica ha frapposto fra gli uomini e l’angusta verità un velo assai denso[…] Oh uomini! Non sentite il rumore delle catene che ci cingono? Esse vi sono addossate dal tiranno! Non sono i Re che scordatisi di essere uomini, si considerano come superiori a tutti e in diritto di usurpare il sangue altrui? […] Eppure a questi mostri infernali ancora si rendono onori, omaggi e rispetti […]

Or siccome le massime dei veri Carbonari sono fondate sui princìpi semplici della natura e della ragione, e specialmente sui precetti di Gesù Cristo e per cui ottengono dovunque l’amministrazione, così alla Carboneria tocca rovesciare quel trono innalzato dal fanatismo e dall’ambizione, e scacciarne il mostro che offende l’intera creazione».

Sebbene la Carboneria proliferasse in vari settori sociali del Regno con tantissime Società, raggiungendo il numero di 624.000 affiliati nell’anno 1820, fu nelle province che essa ebbe un maggior numero di adepti, alcuni dei quali dalle parole passarono all’azione.

I luoghi di maggiore fermento furono le zone di Avellino, di Capitanata e di Salerno.

Alla Carboneria salernitana veniva riconosciuta il grado di Alta Vendita Generale, per aver concretamente operato al rinnovamento delle Istituzioni.

Tra gli aderenti del basso clero, l’Abate Luigi Minichini di Nola si fece promotore di una mediazione con i militari, i quali facevano riferimento in particolare al tenente Michele Morelli, che prestava il suo servizio nella stessa città di Nola, al generale Guglielmo Pepe e al suo più fidato collaboratore, tenente colonnello Lorenzo De Concilj, che si trovavano ad Avellino.

La comunione di intenti tra il tenente Michele Morelli, il De Concilj e il Minichini è attestata dallo stesso sottufficiale di Nola Giuseppe Silvati, il quale aggiungeva che il Morelli ritenesse non più rinviabile un’azione mirata ad ottenere la Costituzione, e tanto si dava da fare per convincere il suo “Squadrone Costituzionale”, formato da 140 uomini.

In effetti, nonostante una forza sempre crescente, la Carboneria e i liberali non riuscirono a realizzare, tra il mese di aprile e quello di giugno 1820, il loro programmato disegno rivoluzionario.

La ragione non andava certamente cercata soltanto nella vigilanza sempre più attenta del Governo, nelle oggettive difficoltà create dai vari arresti, nello scarso impegno dell’esercito, ma anche nel fatto più volte provato che fra i militari, ormai ritenuti indispensabili per la riuscita della rivoluzione, nessuno sembrava davvero pronto ad agire.

Fatta eccezione per Michele Morelli, disposto ad affrontare qualunque pericolo anche a costo della vita.

D’altronde, come scrisse Pietro Colletta, che ebbe una diretta conoscenza della situazione, «in nessun sito del regno la Polizia era stata così rigorosa contro le sette, come in Nola; e quindi in nessun sito più che in Nola erano i settarii più ardenti».

Nella notte tra il 1° e il 2° luglio lo Squadrone Costituzionale del sottotenente Morelli decideva, dopo tante incertezze e indugi, che fosse arrivato il momento dell’azione, puntando prima su Monteforte e poi su Avellino, dove l’ingresso fu trionfale, in quanto in ogni parte della città si inneggiava alla Costituzione e si sventolavano le bandiere tricolori della Carboneria.

Gli insorti chiedevano la costituzione sul modello di quella spagnola, la più democratica fra quelle che fino allora fossero state redatte.

Incontratosi con il colonnello Lorenzo De Concilj, quest’ultimo non poteva che prendere atto che l’azzardo del Battaglione Costituzionale aveva avuto buon esito e che tutto era stato concordato, nonostante ciò non fosse propriamente veritiero.

Con sei rappresentanti del popolo avellinese (Gaetano Licastro, Nicola Imbimbo, Scipione Giordano, Giuseppe Vitale, Gabriele Damiani e Saverio Ranucci), Morelli e De Concilij si recarono dall’Intendente, e presente un popolo festante, proclamarono la Costituzione.

Il passaggio dei poteri da Morelli a De Concilij e la successiva entrata in scena del generale Guglielmo Pepe, fecero sì che gli elementi, definiti  “ultra-carbonari” della Carboneria radicale rinunciassero all’istituzione della Repubblica.

Il 13 luglio 1820, nella chiesa del Palazzo Reale, re Ferdinando giurava davanti alle Autorità e a una rappresentanza popolare di difendere la Costituzione, aggiungendo alla formula di giuramento una sua impegnativa testimonianza scritta che riportava:

«Se operassi contro il mio giuramento, e contro qualsiasi articolo di esso, non dovrò essere ubbidito, ed ogni operazione con cui vi contravvenissi sarà nulla e di nessun valore. Così facendo, Iddio mi aiuti e mi protegga; altrimenti, me ne dimandi conto».

Quindi la Costituzione fu promessa solennemente da parte del Re, che chiamò in causa Dio, se non l’avesse protetta e difesa. Il 22 luglio veniva emanato il Decreto di apertura del Parlamento e istruzioni relative alle elezioni.

I deputati eletti provenivano da diverse classi sociali, e con nomi che avevano un glorioso passato di attivismo politico nel corso della Repubblica Napoletana del 1799, tra cui Francesco Scrugli, concittadino di Morelli, giudice della Gran Corte Criminale di Cosenza, che aveva sofferto l’esilio dopo la caduta della Repubblica, il patriota calabrese Girolamo Arcovito, il napoletano Giuseppe Poerio e il nolano Antonio Mercogliano, che era stato condannato a 15 anni di esilio per aver preso parte alla Repubblica del 1799.

Tuttavia, dopo aver ottenuto la tanto desiderata Costituzione, dopo l’insediamento dei deputati, dopo tanti mesi di entusiasmo e speranza, la reazione borbonica del regime assoluto passava alla controffensiva, servendosi del determinante aiuto straniero e dimostrando, come sovente, di essere un Regno a sovranità limitata, sottomesso alla volontà del Cancelliere austriaco Metternich.

Trascorsi più di due anni dalla nobile iniziativa costituzionale, i sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati furono i soli a pagare con la vita il loro sogno di libertà.

Condannati a morte, ascesero al patibolo il 12 settembre 1822.

 

 

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