La distruzione degli antichi processi criminali del Regno di Napoli

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Categoria: Storia e Letteratura - Miscellanea
Creato Giovedì, 08 Febbraio 2018 17:16
Ultima modifica il Mercoledì, 28 Febbraio 2018 17:02
Pubblicato Giovedì, 08 Febbraio 2018 17:16
Scritto da Antonella Orefice
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Nemmeno un ricordo, seppur brevissimo, è pervenuto sino ai nostri giorni di una enorme quantità di scritture contenenti molti secoli di storia documentata della criminalità maggiore nell’Italia Meridionale.

Nel 1872 il direttore del Grande Archivio di Napoli, Francesco Trinchera, elaborando la prima vera guida del vasto complesso documentario, in una nota dolente, riportò un episodio relativo alla irreparabile distruzione di documenti archivistici accaduta nel 1852 a seguito di un Real Rescritto.1

Questa delittuosa operazione accadeva esattamente mezzo secolo dopo un altro colpevole incenerimento dei processi della Gran Causa dei Rei di Stato, cioè delle Giunta di Stato del 1794-1795 e del 1799, avvenuto per volontà di Ferdinando IV, che lo aveva ordinato col Dispaccio dell’11 gennaio 1803 «per distruggere i documenti della malvagità dei giudizi».2

Le scritture condannate al rogo nel 1852, già conservate nel Castello di Capuana, erano pervenute al Grande Archivio unitamente a tutte le altre appartenenti alle magistrature giudiziarie soppresse nel 1808, in seguito alla riforma dei tribunali attuata dal governo del Decennio francese.

Non è stato possibile verificare come e quando venne data sistemazione a quelle scritture entrate a far parte del patrimonio del Grande Archivio, ma è da tener presente che, il problema della conservazione degli atti giudiziari, tra la fine del Settecento ed i primi dell’Ottocento, non interessò la sola Gran Corte della Vicaria.

In una relazione della Giunta dei Veleni del 14 marzo 1800, si esprimeva la necessità di nuovi locali per il funzionamento di quella magistratura, poiché i processi della Giunta occupavano un’intera stanza.3

 

Non esente da contrastate vicende per la conservazione dei suoi processi fu anche l’archivio del Tribunale di Campagna.

Con una relazione diretta al Segretario di Stato e Direttore della Segreteria di Giustizia, Michelangelo Cianciulli, il 27 aprile 1806, il Commissario del Tribunale di Campagna, Lelio Parisi, faceva notare che, dovendosi trasferire in Aversa da Nevano, dove il tribunale era stato stabilito da oltre un cinquantennio, in quest’ultima località vi erano molte carte  «inservibili e dei processi antiquati», che il trasportarli avrebbe comportato una spesa ingente ed inutile.

Sarebbe stato molto più conveniente, allora, vendere quelle carte, per lo più marcite e rose dai topi, ed impiegare il ricavato per le spese del nuovo archivio di Aversa. Per di più i rei descritti erano già passati a miglior vita.

Il progetto, rimesso al Sacro Regio Consiglio, non fu ritenuto plausibile.

«La conservazione di carte antiche in tutti i Governi si è creduto sempre un oggetto interessantissimo. Il dirsi che i processi antichi del Tribunale di Campagna, perché i rei non sono più tra i viventi, doversi barattare, è lo stesso che volersi credere che tali processi non riguardano altri che le persone rubricate, quando ché si sa molto bene che il Fisco ed i particolari , anche elassi i secoli, ritrar possono da tali processi documenti analoghi ai loro interessi. Oltre a ciò non pare esservi della decenza che quelle carte e processi , ne’ quali vi sono dei Regali Dispacci, debbono servire per uso il più vile, o che debbono capitare in mano degl’interessati, e così far suscitare e rinnovare le antiche odiosità tralle famiglie di rei, querelanti e testimoni».

Giuseppe Bonaparte, dopo aver esaminato il progetto ed il relativo parere, nella seduta del suo Consiglio del 29 maggio 1806, con ponderato giudizio, dispose che «il Commissario di Campagna, colla massima esattezza, faccia separare le carte assolutamente inutili ed inservibili da quelle che per qualunque evento ed in qualunque dubbio possano servire, e che le prime si brugino, e le seconde si trasportino e conservino in Archivio».4

Le disposizioni emanate in seguito dal governo borbonico, con il Real Rescritto per lo bruciamento delle processure penali, dell’11 novembre 1829, autorizzavano la distruzione degli antichi processi criminali compilati «in epoca antica di anni quaranta a questa parte», fatta eccezione per  «quelle processure che contenessero condanne a vita e che non fossero state ridotte a pene temporanee con sovrane determinazioni prese per regola generale».5

Ma per i processi distrutti in Napoli nel 1852 le disposizioni emanate dal decreto non furono applicate e finirono al rogo 15883 processi compresi in 979 fasci.

Dalla data dell’emanazione del decreto era trascorso poco più di un ventennio, durante il quale, con un sommario esame, si sarebbero potuti salvare dai processi che andavano alle fiamme, quelli che nello spirito della legge e nel rispetto delle patrie memorie meritavano di essere conservati.

 

 

 

Note

1 F. Trinchera, Degli Archivi Napoletani, Napoli, 1872.

2 P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, vol. I, Lucca, 1851.

3 ASN, Segreteria di Stato di Grazia e Giustizia,fascio 248.

4 ASN, ibidem, fascio 295.

5 A. Granito, La legislazione positiva degli Archivi nel Regno di Napoli, Napoli, 1855.