Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Lo scienziato-filosofo. Un nuovo Faust

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Un inquietante e mostruoso esercito di strani uomini ibridi, per metà scienziati e per metà filosofi, ha ormai invaso la conoscenza, ed in particolare la prassi stessa della teoria del conoscere e pensare, riportandola così alla realtà naturale quanto più elementare possibile, e cioè quella fisico-biologica: – il cervello!

Si tratta evidentemente di un nuovo ed estremamente virulento Positivismo. Esso poggia infatti su una teoria cognitiva la quale, di concerto con la più avanzata fisica matematico-cosmologica (teoria quantistica), ha raggiunto ormai un tale grado di perfezione e potenza, da permetterle di parlare dall’alto pulpito del livello proprio solo di una scienza tecnologica.

Una scienza ormai in pieno possesso della Potenza. Essa infatti ormai crea cervelli, oltre che limitarsi a studiarli, ossia studia il proprio oggetto nel mentre lo lascia vivere dopo averlo fatto nascere dal nulla, ossia artificialmente. È ciò che oggi si definisce come “intelligenza artificiale”, ossia il nucleo di una robotica sempre più avanzata.

Nell’ormai lontano 1895, Hans Jonas (1) aveva già descritto tutto questo. E per tale motivo useremo proprio la sua analisi come base per commentare il fenomeno. In particolare egli aveva mostrato l’ormai intima ed inestricabile relazione che il “conoscere” scientifico intrattiene con il “fare” tecnologico, ossia con la produzione industriale [I, 1, 1-6 p. 7-19, IV p.  55-64].

Ed in tale contesto egli aveva fatto anche notare che ormai la nuova scienza tecnologica applicata alla biologia non si limitava più a studiare un ente «già dato» in Natura, ma invece lo generava del tutto ex novo per poi poterlo studiare davvero intimamente [VII p. 122-154].

Ma intanto non vi è dubbio che tutto ciò costituisce un estremamente moderno faustismo. Non a caso lo scienziato impegnato in questa prassi si muove e si esprime esattamente come un Titano nietzschiano, estasiato dalla sua stessa totale disinvoltura morale, ossia del suo totale ed entusiastico fregarsene totalmente dell’etica (a vantaggio della conoscenza pura, dice lui!).

 

E costui non è altro che un Faust, cioè lo scienziato ormai liberatosi con immenso sollievo dagli ammuffiti gabinetti di studio e così anche dall’oppressione etica dell’ideale.(2)

Così egli grida a sé stesso: – “Flieh! Auf ! hinaus ins weite Land!” (“Fuggi! Alzati” Fuori nel vasto mondo!”). Ed a lui farà poi eco Mefistofele stesso, invitandolo così ad intonare il peana stesso di una tale così elettrizzante esperienza: – “Laß alles Sinnen sein, und grad’ mit in die Welt hinein“ (“Lascia stare ogni pensiero, e vieni, immergiti con me nel pieno del Mondo”; “Grau, teurer Freund, ist alle Theorie und grün des Lebens goldner Baum” (“Grigia, caro amico, è ogni teoria, e verde invece è l’Albero dorato della Vita”).

Costui si sente dunque approdato alla Vita, abbandonando così il puro Pensiero. Ma più precisamente si tratta di quella pienezza di vita che può venirci procurata solo dall’oramai totale rinuncia alla morale.

Conseguentemente costui si bèa proprio della sua immoralità. Infatti ne va incredibilmente fiero. E così letteralmente gode nell’ostentare quella ostentata vanagloria narcisistica, che va poi di pari passo con la potenza che egli intanto si sente passare per le mani e scorrere nelle vene. È un inebriato, è un Sileno in piena estasi. È un coribante dionisiaco.

E non a caso ha una sete insaziabile del sangue dei suoi nemici, ossia di chi gli si oppone nelle argomentazioni, e magari gli rivolge accuse ed ingiurie. Egli sa infatti di avere trovato la chiave stessa della gioia illimitata come immunità da qualunque onta.

E questa chiave consiste esattamente nell’avere ormai da tempo oltrepassato la soglia del binomio bene-male. È questo ciò che lo rende del tutto immune dall’accusa di commettere il male, ed inoltre fa sì che l’accusa di infamia lo riempia addirittura di orgoglio.

Dunque è esattamente a questo che sono ispirate tutte le sue azioni, reazioni ed esternazioni. Ecco che non a caso il suo aspetto spaventa alquanto i suoi interlocutori. Perché esso assomiglia molto a quello di un vero e proprio Satan. Ma la trappola da lui costantemente preparata è esattamente questa – egli vuole stupire e sorprendere proprio attraverso lo spavento! Egli è colui che tende trappole!

Ebbene questo non è altro che lo stato estremamente avanzato di quel nichilismo di cui avevano discusso Ernst Jünger e Martin Heidegger. (3)

Il primo spaventato e preoccupato, ed il secondo invece estasiato dalle sue rivoluzionarie intuizioni. Ebbene questo nuovo stadio ora noi lo abbiamo in carne ed ossa davanti agli occhi nella figura dell’ibrido scienziato-filosofo. Egli è infatti il Nulla stesso ormai personificato secondo il paradigma che lo informa, ossia in forma Satanica. E non vuole essere altro che questo. Questa è infatti la sua stessa gioia mista ad illimitata potenza.

Egli celebra dunque estaticamente il trionfo definitivo del Nulla, ossia l’avvento di un’era nella quale l’uomo stesso verrà annientato (per stravolgimento della sua natura) insieme al mondo.

L’orizzonte di conoscenza del quale si parla (entro la sua scienza cognitiva dell’intelligenza artificiale) è infatti non a caso addirittura quello di trasferire l’intero apparato cerebrale umano (la mente) in un software, in modo tale che di fatto l’individuo umano possa finalmente esistere al modo di una psiche senza corpo. L’uomo non aveva mai osato infrangere un tabù come questo. E quindi con ciò noi siamo ormai ben oltre i limiti intravisti da Jonas nel 1985.

Diversamente da quanto elucubrava Heidegger, noi siamo insomma ormai ben oltre la “linea” del nichilismo.

Ma vediamo cosa ne è intanto della filosofia, dato che chi abbiamo davanti non è altro che il nuovo filosofo (o “filosofo del futuro”) che già da tempo fu preconizzato da Nietzsche. (4)

Accade questo. La filosofia, da sempre per definizione scienza dello spirito (anche se affatto necessariamente in senso religioso), rifluisce ormai totalmente nella scienza empirica.

E precisamente nella sua forma specifica della dottrina cognitivista; dottrina ormai non a caso inseparabilmente scientifico-sperimentale e filosofica. In essa insomma non vi è più alcuna separazione (né differenza) tra il concepire il pensare («pensiero puro») ed il vederlo intanto muoversi davanti ai propri occhi come una creatura viva. Ossia come fenomeno che è ormai oggetto di esperimento, e quindi un dato misurabile.

Conseguentemente ciò che si ha davanti non è più affatto il «pensiero» – ossia una totalità puramente unitaria in quanto puramente qualitativa –, ma è invece la sua versione molteplice e quantitativa, ossia la «cognizione». Essa non è altro che il pensiero che cessa di essere un’entità inafferrabile e si frantuma in una miriade di entità costitutive, tutte misurabili. È il definitivo decadere del pensiero dalla sua essenza spirituale.

Ed eccoci così anche davanti alla frantumazione della mente stessa in struttura cerebrale. E va detto che la potenza tecnologica della scienza cognitiva permette ormai di andare ben oltre i limiti di quella solo rudimentale topografia della mente, la quale già tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo (con Charcot ed altri), progettava di obiettivare la mente nella precisa descrizione spaziale delle aree corticali.

Ci troviamo ormai ben oltre. Ci troviamo infatti sul piano di una psico-neuro-fisiologia, i cui limiti verso l’anatomia cerebrale vogliono a tutti i costi essere più sfumati (se non inesistenti) che mai. La teoria della psiche insomma, vuole ormai divorziare non solo dall’astrattezza puramente filosofica, ma anche da quella dimensione della «funzione» mentale che finora aveva posto davanti a noi una sorta di psiche sine materia.

E non a caso uno degli ultimi tentativi di autentica e ben intenzionata collaborazione (senza amplesso e matrimonio) tra filosofia e neuro-fisiologia – ossia quella avvenuta tra Karl Popper e John Eccles – ci prospettava nell’«intelligenza» proprio un simile supremo e sfuggente livello delle funzioni cerebrali. (5)

E così di fatto la Filosofia è stata riassorbita in quella prassi conoscitiva che è poi di fatto la base stessa dell’arte medica, oltre che dell’ormai avanzatissima prassi biologica (biologia molecolare, eugenetica, micro-chirurgia gametica, ingegneria genetica...).

In qualche modo si può pensare che in tal modo la Filosofia stia ritornando ai suoi inizi, e cioè a quella fisica cosmologica elementarista che fu dei presocratici (tra i quali non a caso vi fu un medico come Empedocle). E del resto proprio questo era stato l’auspicio di Heidegger (sulla scorta di Nietzsche) nel suo sforzo di forgiare una del tutto nuova filosofia e metafisica.

Il centro di interesse dei due pensatori era stato per la precisione costituito da Eraclito ed Anassimandro. E tuttavia questo già tanto favoleggiato ritorno, per quanto già a quel tempo connotato in maniera a-morale (se non anti-morale), sta ora avvenendo in una maniera ancora peggiore di quanto i due pensatori tedeschi potessero mai immaginarsi.

I due fenomeni che si delineano sullo sfondo sono infatti i seguenti: – 1) il definitivo naufragare della Filosofia nell’iper-realismo estremista (non a caso visceralmente anti-idealista) che appunto la assimila alla Scienza empirico-sperimentale, ossia ad un assoluto naturalismo; 2) la definitiva trasformazione in tecnologia da parte dell’arte medica e della biologia (proprio secondo quanto fatto osservare da Jonas) [VII p. 109-121].

Non vi è dubbio che con ciò si tratta della fine stessa della Filosofia come disciplina. Infatti, almeno dal momento in cui era insorta la Scienza della Natura, la sua stessa ragione di essere era consistita di fatto proprio nel persistere costante della direttrice tensiva che la separava (nettamente ed irrecuperabilmente) dalla scienza empirica stessa.

Ma nello stesso tempo noi assistiamo anche al tracollo delle stesse Medicina e Biologia. Proprio come mostratoci da Jonas, infatti, la prima cessa di fatto di costituire un’”arte” – e cioè una prassi finalizzata al solo scopo pratico della guarigione – e si trasforma invece in un’unilaterale “conoscenza”.

Per quanto sia ovvio che quest’ultima resta a sua volta legata a doppio filo al “fare” tecnologico. E lo stesso – sebbene in termini sensibilmente diversi da quelli imposti dalla medicina quale arte –, si potrebbe dire anche della biologia.

Essa infatti cessa di essere disinteressata osservazione (conoscenza pura, ma finalizzata comunque alla migliore comprensione di sé da parte dell’uomo) e si trasforma invece in interessatissima manipolazione, ossia una prassi che punta a scopi utilitaristici estremamente ristretti.

Quello che è certo è che in entrambi i casi si tratta di una profonda perversione della natura e degli scopi delle discipline coinvolte.

Ma tornando alla Filosofia, quello che si può osservare è che la nuova scienza cognitiva non mette solo il piede sul collo a quest’ultima, ma anche a quel risvolto pratico della conoscenza dell’uomo (inteso in primo luogo quale spirito, e quindi di fatto in maniera puramente filosofica) che appunto la Medicina era di fatto sempre stata.

La scienza cognitiva è infatti la forma più ambiziosa, arrogante e dogmatica possibile della matematizzazione dello Spirito. Cosa che avviene entro una dottrina da un lato «razionalistica» nella maniera più rigorosa possibile – e cioè nel contesto di quella autentica «economia» della conoscenza che è il riduzionismo elementaristico –, e dall’altro lato avviene in una prassi nella quale l’empirismo sperimentalista attinge davvero alla sua vetta.

Il suo lemma sembra essere dunque quello del sistematico quanto inesausto chiarimento analitico-elementaristico della struttura (fisica), quale unico ambito possibile di studio della «funzione». E peraltro tale studio si muove ormai parallelamente all’eguale chiarimento analitico-elementaristico delle strutture cosmologiche da un lato e delle strutture sub-atomiche dall’altro lato.

Al netto dei risultati, ciò che deriva da tutto questo è la totale materializzazione obiettivante dello Spirito in tutte le sue forme: – fisico-naturale (Physis), cosmologica ed antropologica.

È però da far notare che lo scopo di fondo di tale metodo e relativa dottrina è in realtà estremamente ambizioso, e cioè consiste nel tentativo di elaborare una nuova e davvero totalizzante «teoria dell’essere»; i cui limiti vanno quindi ben oltre perfino le stesse teoria relativistica e quantistica.

Essa ambisce insomma a fare rientrare nel proprio ambito tutti i fenomeni (senza alcuna esclusione), ma in particolare l’uomo stesso. Ma il modo dottrinariamente specifico in cui i protagonisti di questa operazione si aspettano che ciò avvenga, è l’ormai completa riduzione dell’Essere alla Materia.

E la Materia si presenta qui in particolare nella forma di una fisica elementare davvero sottile, e non più invece rozzamente meccanicistica, ossia una fisica ultra-particellare delle pure energie – e questo è senz’altro un altro modo per rileggere riduzionisticamente lo Spirito.

René Guénon aveva già tempo fa parlato di tutto ciò come del tentativo di ridurre totalmente la “qualità” alla “quantità”. (6)

E peraltro si tratta di una quantità estremamente insidiosa, perché essa si presenta nel suo aspetto più inafferrabile possibile, ossia come “caricatura” di fatto dello Spirito.

In tal modo ci aspetta quindi che nessuno possa più in alcun modo parlare dell’equivalenza dell’Uomo allo Spirito.

Ebbene, non è difficile riconoscere l’intento ancora più profondo e sottile che sottende al perseguimento di tale scopo – esso è chiaramente quello di bandire per sempre Dio dall’Universo! Diverrà pertanto del tutto chiaro perché il protagonista di questo processo si presenta a noi (apertamente ed orgogliosamente) come un Titano demonico di stampo nichilistico-nietzschiano per eccellenza, ossia come un Satan.

Egli non è infatti altro che il volto molteplice del Nulla ormai uscito dall’indistinzione (con la quale esso era stato colto dal nichilismo già a partire dalla fine del XIX secolo con Dostoevskij), e presentantesi a noi ormai apertamente in tutta la sua schiacciante potenza.

Egli è Satana stesso venuto a prendere possesso per sempre del Trono eretto sul Mondo.

Intanto però la veste che assume la conoscenza qui in causa – ossia quella di una vastissima «teoria dell’essere» – è ben riconoscibile filosofica. E non a caso proprio l’uomo è il suo bersaglio, dato che la filosofia è stata da sempre la scienza dell’uomo per eccellenza.

È dunque esattamente per questo che lo scienziato qui in azione può ritenere (e non senza ragione) che il suo operare a pieno titolo, nel contesto della scienza cognitiva da lui praticata con successo, gli fornisce di fatto il diritto di fregiarsi del titolo di «filosofo». Ed infatti è proprio così che egli osa definirsi coram populo. È evidente però anche che si tratta appena di un’impudenza.

E precisamente si tratta di un’impudenza che letteralmente grida vendetta al cielo. Infatti, se a costui appartiene ormai per davvero la filosofia, ciò è potuto accadere solo perché quest’ultima è ormai solo pervertita, imbastardita e francamente davvero vomitevole.

È quella Filosofia che vilmente, vergognosamente ed opportunisticamente si è ormai calata letteralmente le braghe davanti alla Scienza, offrendosi inoltre all’amplesso con essa come una vera puttana.

Ma è chiaro anche che la vera Filosofia non sta affatto qui. E ad essa dunque l’ibrido scienziato-filosofo non potrà arrivare mai.

Del resto, comunque, si sa che l’impudenza è virtù tipica del Satan. E così, dopo aver constatato questo, non vi è per davvero bisogno di dire di più.

Non a caso lo stesso Jonas, commentando le possibili intemperanze alle quali va naturalmente incontro la stessa eugenetica più “positiva” (ossia quella che si occupa della “selezione” artificiale quale prevenzione delle malattie genetiche, e non invece della creazione di cloni e uomini perfetti, ossia superuomini), ha parlato di una prassi scientifica che di per sé è aperta tanto al “meglio” quanto anche al “peggio” (VII, 4 p. 134-135).

E ciò senza alcuna possibile mutua esclusione dei due aspetti. Questo significa allora che, a partire dal momento in cui la conoscenza ha ormai superato quei limiti che un’antica saggezza (repressiva ed oppressiva quanto si vuole) le aveva assegnato, allora il bene che essa può forse produrre è solo puramente relativo e secondario al male che essa intanto certissimamente produrrà.

Ed a nostro modesto avviso la coscienza civile dovrebbe ormai prendere chiaramente posizione davanti a tutta questa sconfinata serie di aberrazioni. Per fare questo, però, essa dovrebbe finalmente liberarsi dal vero e proprio incanto (occultante la verità) che la Scienza tecnologica ha gettato su tutti noi facendoci crede di dover essere incondizionatamente libera di proseguire il suo cammino senza alcuna possibile interferenza [Jonas, II, 1 p. 28-29 III, p. 37-54 IV p. 55-65, V p. 66-80].

 

 

 

Note

1) Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino 1997.

2) ohann Wolfgang Goethe, Faust, Garzanti Milano 2004, I, 398 p. 35, I, 1828-1829 p. 133, I, 2038-2039 p. 147.

3) Ernst Jünger – Martin Heidegger, Oltre la linea, Adelphi Milano 2010.

4) Friedrich Nietzsche, Noi dotti, in: Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi, Milano 2006, I p. 7-29, 204-205 p. 105-110; Friedrich Nietzsche, Lo spirito libero, ibd. 43 p. 48-51.

5) John C. Eccles, Das Rätsel Mensch, Piper München, Zūrich 1989; Karl R.Popper, John C. Eccles, Das Ich und sein Gehirn, Piper, München Zūrich 1989.

6) Guénon René, Il Regno della Quantità ed i segni dei tempi, Adelphi, Milano 2006.

 

 

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