Il deputato Giuseppe Ricciardi e il brigantaggio postunitario
La storia del brigantaggio postunitario è spesso ricostruita arbitrariamente, senza una rigorosa documentazione storica, non tenendo conto del dibattito parlamentare di quel tempo incentrato sulle diverse opinioni, non solo tra gli esponenti della Destra governativa e della Sinistra, ma nell’ambito della variegata Sinistra storica. Oltre ai vari aspetti della questione postunitaria, il dibattito si focalizzò sulle modalità con cui essa era affrontata dal governo, dove alcuni esponenti della Sinistra storica fecero sentire la loro voce dissenziente in più occasioni. Tra costoro si distinse il deputato della Sinistra storica Giuseppe Ricciardi (Napoli, 1808-1882). Nella seduta parlamentare del 15 maggio 1861, il Ricciardi, di ritorno da un viaggio a Napoli durato un mese, presentò un’interpellanza per esporre «fatti assai gravi colà avvenuti» e per chiedere chiarimenti ai ministri della Destra storica. La seduta fu fissata per la seduta del 30 maggio. In tale occasione, come anche nella seduta successiva del 30 dicembre, il Ricciardi fece intendere che non ci si poteva limitare a considerare la questione del brigantaggio in maniera prettamente criminale. L’intervento del Ricciardi si mostrò molto critico verso il governo della Destra, esponendo un ampio panorama della situazione del Meridione d’Italia, facendo rilevare che, pur essendo il brigantaggio contrassegnato da una reazione borbonica di carattere legittimistico, non si poteva ignorare un forte malcontento da parte delle popolazioni, dovuto allo sbandamento dell’ex esercito borbonico e alle promesse non mantenute verso la classe sociale dei contadini. Pertanto i rimedi, secondo l’analisi del Ricciardi, non potevano essere solo «i mezzi di rigore», ma occorrevano anche «quelli diretti a contentare il paese». Ed a proposito di questi mezzi di rigore aggiunse: «solo vi dirò in massima generale che per l’avvenire bisogna evitare assolutamente ciò di cui fummo testimoni purtroppo. Finora abbiamo avuto nel fatto lo stato d’assedio, sebbene non fosse decretato dal Parlamento, anzi neppure dal Governo; ma lo stato d’assedio ha le sue norme, le sue garanzie protettrici della vita e delle sostanze dei cittadini, quali la pubblicità dei giudizi, la libera difesa, il dibattimento contraddittorio; ora nessuna di queste garanzie venne applicata fra noi». Grazie agli interventi parlamentari del Ricciardi, supportato soprattutto dal deputato milanese Giuseppe Ferrari, ci si avviava verso l’inchiesta parlamentare che avrebbe evidenziato quanto la questione meridionale fosse più complessa di quella che i ministri della Destra, soprattutto Ricasoli e Minghetti, propagandavano. Secondo quanto riporta Franco Molfese, la Commissione era composta dai deputati Silvio Spaventa, Achille Argentino, Paolo Emilio Imbriani, Antonio Mosca, Nicola Giacchi, Giovanni Morelli, Giuseppe Pisanelli e lo stesso Giuseppe Ricciardi. Nella seduta del 18 aprile 1863, Giuseppe Ricciardi ritornava sull’argomento: «Ho udito e odo parlare dell’abolizione della pena di morte, ma questa è una derisione; prima che si pensi a questo, abolite il diritto che nelle provincie meridionali capitani e tenenti si arrogano sulla vita dei cittadini», facendo riferimento a quanto era accaduto nel Matese, non lontano da Piedimonte d’Alife, dove «una compagnia di bersaglieri, nel perseguitare i briganti, arrestò cinque carbonari, fra cui due padri di famiglia, li arrestò, o signori, e un quarto d’ora dopo li faceva fucilare siccome briganti. Eppure erano tutti innocenti!». A ben considerare - scrive Franco Molfese - «l’inchiesta parlamentare sul brigantaggio costituì un importante strumento di indagine nel groviglio di cause politiche e sociali che, in poco più di due anni, avevano sospinto il Mezzogiorno sul pendio dell’opposizione antiunitaria reazionaria». I gruppi democratici napoletani, a cui apparteneva Giuseppe Ricciardi, impostarono la loro piattaforma rivendicativa su punti essenziali: massimo appoggio alla commissione parlamentare per illuminarla adeguatamente e per far fallire un probabile sabotaggio da parte del governo della Destra, a cui si chiedeva un mutamento nell’indirizzo sulla questione; utilizzare uomini di chiara fede liberale e democratica per combattere il brigantaggio sul piano militare; fiducia ai gruppi liberali e democratici delle province meridionali che si battevano per le rivendicazioni inerenti alla ripresa delle operazioni demaniali e all’alienazione dei beni della cassa ecclesiastica, concepite allo scopo di conquistare i contadini alla causa del regime unitario. I liberali e i democratici delle province meridionali si collocavano su posizioni generalmente più radicali degli esponenti noti del movimento democratico italiano. Infatti, mentre operava la Commissione d’inchiesta parlamentare, i circoli democratici promossero a Napoli una pubblica assemblea nel Giardino d’Inverno, presieduta da Giuseppe Ricciardi, e a cui parteciparono, tra gli altri, Filippo De Boni, Giovanni Nicotera e Luigi Zuppetta. La Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio preparò, infine, due relazioni, una redatta da Giuseppe Massari e l’altra da Stefano Castagnola. Le due relazioni, lette alla Camera ai primi di maggio del 1863, concludevano con il recepire le istanze dei deputati della Sinistra storica che ritenevano il brigantaggio postunitario una realtà complessa, in cui, accanto alla componente reazionaria del legittimismo borbonico, si ravvisava la delusione dei contadini meridionali per le speranze che avevano riposto nel moto risorgimentale democratico e che erano state disattese, in relazione alla “divisione delle terre”.
Bibliografia: Franco Gaetano Scoca, Il brigantaggio postunitario nel dibattito parlamentare, Napoli, 2016 Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano, 1966
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