Scampato a Dachau e ucciso dai titini
La violenza delle dittature non ha pietà di nessuno. Il 10 febbraio in Italia si è celebrato il Giorno del Ricordo, per ricordare le foibe e il dramma dell’espulsione dei nostri connazionali dall’Istria e dalla Dalmazia, eventi terminali della lunga contrapposizione tra italiani e slavi che aveva visto prima l’italianizzazione forzata di quei territori e poi l’occupazione da parte delle nostre truppe, con corollario di repressione, eccidi e persecuzioni. Una delle vicende più paradossali è quella ricordata da Riccardo Ghezzi su «L’Informale»: la storia del meccanico Angelo Adam, ebreo sopravvissuto a Dachau ma ucciso dalle truppe di Tito. Ebreo, italiano di Fiume, già legionario con Gabriele d'Annunzio, poi antifascista confinato a Ventotene, dopo la caduta del fascismo e l’armistizio Angelo a 45 anni entra nella Resistenza, diventando membro del Cln cittadino. Catturato dai tedeschi e deportato a Dachau il 2 dicembre 1943, con il numero di matricola 59001, riesce miracolosamente a sopravvivere al lager. Tornato a Fiume, trova una città occupata dalle truppe di Tito, con un clima di terrore e una comunità ebraica ormai dispersa. In nome dei suoi ideali autonomisti, Adam prova a riannodare il contatto con gli amici partigiani, antifascisti e sindacalisti, tentando di mantenere un filo diretto con il vertice del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia. All’inizio di dicembre del 1945, gli sgherri di Tito si recano a casa sua e lo prelevano con la forza assieme alla moglie Ernesta Stefancich, per la colpa di essere italiano e autonomista e quindi un potenziale oppositore del partito comunista jugoslavo, come tale da eliminare. Quando la figlia diciassettenne Zulema chiede alle autorità notizie sui genitori, sparisce nel nulla anche lei. I tre corpi non sono mai stati trovati. Probabilmente sono finiti in una foiba.
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