Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il gioco d’azzardo nel costume della Venezia settecentesca

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Durante il  Settecento la povera gente, soprattutto delle città di Firenze, Roma e Napoli soleva spesso giocare al lotto, un'abitudine esercitata anche con un certo accanimento, tanto che a Firenze fu coniato il proverbio «lotto, lusso, lussuria, lorenesi: le elle che han rovinato i miei paesi».

La cosiddetta "buona società" del Settecento veneziano, oltre al lotto, preferiva giochi ben più temerari.

Un romanzo, pubblicato a Venezia nel 1757, dal titolo "Le Memorie di Madame Tolot ovvero la giocatrice di lotto" , scritto da Pietro Chiari, ebbe uno straordinario successo forse perché  nel cognome della protagonista era chiaramente ravvisabile l'anagramma di "lotto".

Sulle origini del gioco non ci sono notizie certe, ma, se si vuol tenere fede alle Memorie di Carlo Goldoni, esso fu praticato dapprima a Genova e a Venezia intorno al 1734, con immediato successo.

Tuttavia nella Venezia settecentesca non era il lotto il vero gioco d'azzardo, bensì altri tramite i quali si rischiava di dissestare in brevissimo tempo cospicui patrimoni.  Il  più rinomato era  “il Ridotto”, citato spesso da Goldoni nelle sue Memorie.

La passione era molto più forte della palese commedia. Nonostante la denunciata pericolosità del gioco, la malafede dei bari ed i trucchi delle bische, si giocava nei caffè, negli alberghi, nei casini di campagna, nelle ville e nei salotti, e soprattutto nei ridotti dei teatri, dove il gioco era gestito da appaltatori tutelati dalla legge.

 

Le donne giocavano in misura maggiore dei loro mariti. Il “Ridotto”, citato dal Goldoni, era stato aperto nel 1638 dal patrizio Marco Dandolo nel suo palazzo a San Moisé, con regolare licenza governativa, ed era nei fatti una pubblica casa da gioco: oltre alle sale da gioco vere e proprie, aveva due “sale da rinfresco”, una per il caffè, the, cioccolato, l’altra per vino, formaggio, salumi frutta.

Un’annotazione degli Inquisitori di Stato del 16 marzo 1747 riportava che “nel casino in salizzada a San Moisé si tripudia di disordini, vi va ogni sorta di persone, huomini e donne, in fino sacerdoti[…] si fa bottega di caffè e si gioca ogni sorta di carte; di notte vi va ogni sorta di vagabondi, e infino meretricie delle case pubbliche”.

Quando il “Ridotto” fu chiuso dalle autorità  nel 1774, “per sopprimer il vizio nella sua principale sede”, come recitava l’ordinanza del Maggior Consiglio, il Goldoni non nascose la sua soddisfazione. Del resto le sue pubbliche denunce del pericoloso gioco gli avevano creato non pochi nemici.

Ma, seppur banditi dal Ridotto, i giochi, lontanamente dal cessare, si trasferirono nei locali privati, nei caffè e nei teatri. La passione smodata per il gioco aveva creato nei locali dove lo si praticava, una sorta di zona franca.

Tanti erano gli aneddoti di cronaca sugli eccessi dei giocatori.

Dopo aver trascorso la notte a giocare, da quanto riportato da Giacomo Casanova nelle sue “Memorie”, all’alba i giovani giocatori della buona società si recavano all’Erberia di Rialto, dicendo che fosse “un gusto vedere arrivare tutte quelle centinaia di barconi carichi di frutta e verduta, e di fiori[…], ma si sa che hanno passato la notte al gioco e, perso tutto, vengono qui, dopo essere stati vittime della loro imprudenza, per respirare un’aria più libera e placare la loro agitazione”.

 

 

Bibliografia

Carlo Goldoni- Memorie, Parigi, 1787

Giacomo Casanova- Memorie scritte da lui medesimo, garzanti, 2015

 

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