Einstein confutato?
E’ trascorso poco tempo da quando, a seguito della rilevazione delle onde gravitazionali, la teoria della relatività generale di Albert Einstein sembrò ricevere una conferma definitiva, fornendo un ulteriore avallo alla celebre intuizione secondo cui la gravità è una manifestazione della curvatura dello spaziotempo. Tuttavia i trionfi nella scienza hanno durata breve, e in questi giorni il pendolo si muove in direzione opposta (almeno in apparenza, giacché in ambito scientifico nulla può mai essere dato per concluso). Un recente saggio uscito sulla prestigiosa rivista “Physical Review”, scritto da Joao Mahueijo (Imperial College, Londra) e Niayesh Ashfordi (Perimeter Institute, Canada), mette addirittura in discussione il caposaldo della relatività einsteiniana, vale a dire la costanza della velocità della luce. E’ opportuno notare, a questo punto, che non si tratta affatto di un’assoluta novità. Dubbi su tale costante fisica erano stati avanzati da altri studiosi, e la sensazione che la teoria di Einstein iniziasse a mostrare delle crepe era tutto sommato già diffusa. Anche se essa conserva tuttora, almeno presso il pubblico dei non addetti ai lavori, una fama di infallibilità. Tuttavia questa volta i dubbi diventano più consistenti. I due scienziati appena menzionati ipotizzano una velocità della luce assai maggiore di 300.000 km al secondo nella fase iniziale della vita del nostro Universo. Non solo. Se l’ipotesi di Mahueijo e Ashfordi si rivelasse corretta e supportata da dati sperimentali, si giungerebbe alla conclusione che non vi sono leggi di natura invariabili. Anche le leggi, infatti, cambierebbero con lo scorrere del tempo. Abbastanza, insomma, da mutare in misura consistente il quadro della fisica come oggi la conosciamo. Si può notare che i cambiamenti epocali sono una costante nella storia della scienza, e della fisica in particolare. Di solito questo fatto viene tematizzato, più che dagli scienziati di professione, dagli storici delle varie discipline scientifiche e dai filosofi della scienza. E’ noto che Thomas Kuhn, epistemologo con una forte preparazione storica, cambiò radicalmente il panorama dell’epistemologia contemporanea con il suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”. In esso affermò che la storia della scienza è connotata da un incessante susseguirsi di “paradigmi”, vale a dire di teorie nuove che rimpiazzano le vecchie, individuando propria in tale successione la caratteristica principale della scienza stessa. Con ciò contestando in modo radicale la visione tradizionale che basava il progresso scientifico su un progressivo accumulo di dati. Ma, nel caso di Mahueijo e Ashfordi, è inevitabile che la mente si volga ancora una volta al pensiero di Karl Popper e alla sua epistemologia falsificazionista. Oggi le tesi popperiane sono spesso contestate, sembrando a molti che la sua negazione del procedimento induttivo sia ingiustificata. Eppure proprio dalla costruzione einsteiniana Popper partì per osservare che non esiste alcuna preminenza dell’osservazione sulla teoria, mentre si può argomentare a favore della preminenza opposta. La reazione di empiristi e positivisti fu aspra, salvo poi appurare che erano le idee di Popper – e non le loro – a riflettere in modo più adeguato la reale pratica scientifica. Si tralasci pure la sua celebre affermazione secondo la quale i veri scienziati sono sempre “felici di essere confutati”. Ovviamente non è vero, giacché a nessuno piace veder confutate le proprie idee, e ciò vale tanto nella scienza quanto nella vita quotidiana. E’ però un dato di fatto che lo scienziato è per definizione aperto alle critiche anche radicali, dal momento che la scienza è per sua natura sapere condiviso sul piano intersoggettivo, e non possono esservi in essa idee non sottoposte alla discussione collettiva. Popper notò anche che, purtroppo, ciò non vale nell’ambito della politica, ma questo è tutt’altro discorso.
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