Mieli, un viaggio nella Storia al servizio della verità
La storiografia di professione dovrebbe tentare di ricostruire il passato sulla base di documenti e di testimonianze riscontrabili, con la dovuta autonomia e prendendo le giuste distanze dall’argomento oggetto della ricerca. Ma dalla notte dei tempi c’è chi fa un “uso pubblico della storia” (volendo utilizzare la definizione coniata nel 1986 dal filosofo tedesco Jürgen Habermas), per costruire consenso o veicolare la vulgata di comodo dello storytelling nazionale. Da qualche anno Paolo Mieli, giornalista e storico, negli anni Settanta allievo di Renzo De Felice e Rosario Romeo, conduce una lodevole battaglia contro la mistificazione e l’alterazione degli eventi storici, con una rubrica molto seguita sul Corsera, trasmissioni televisive e saggi che fanno luce su episodi controversi della storia mondiale. L’ultimo capitolo di questa sfida, appena uscito in libreria per i tipi della Rizzoli, s’intitola “In guerra con il passato. Le falsificazioni della Storia” (pp. 280), che fa seguito ad altri due volumi che toccano lo stesso tema, “L’arma della memoria” e “I conti con la Storia”. La guerra a cui allude Mieli è quella alla verità storica, attraverso cui il passato viene piegato alle categorie e alle necessità del presente, spesso al servizio della classe dirigente di turno.
Un conflitto senza armi e non dichiarato ma ugualmente micidiale, che continua fino ai giorni nostri. Un’operazione destinata a provocare danni incalcolabili, “primo tra tutti quello di disarmare le generazioni che dovrebbero essere pronte ad affrontare le guerre, purtroppo non metaforiche, di oggi o di domani”. In questo nuovo saggio Mieli compie un altro viaggio in 27 tappe lungo i secoli, dall’antica Roma al dopoguerra, e traendo spunto da opere storiografiche recenti, smonta alcune versioni ufficiali di momenti cruciali della storia occidentale, antica, medievale e moderna. Ad esempio, siamo proprio sicuri che l’azione di Robespierre e il Terrore giacobino siano collegati agli ideali dell’Illuminismo? L’idea secondo cui Robespierre e il Terrore “segnarono l’epilogo naturale della Rivoluzione”, venne teorizzata da monarchici, cattolici e rivoluzionari pentiti allo scopo di screditare le idee illuministe, facendo finta di ignorare che i filosofi ispiratori e protagonisti della rivoluzione del 1789 furono brutalmente mandati alla ghigliottina dall’Incorruttibile. Con l’effetto perverso che quando l’Illuminismo venne rivalutato, lo fu anche la figura di Robespierre, al quale in Francia sono tuttora intitolate strade, scuole ed edifici. Anche la lettura del Congresso di Vienna del 1814-1815 esclusivamente come momento di avvio della Restaurazione presenta qualche falla, perché in quel consesso fu cercato e trovato un “cauto consenso tra liberali moderati e conservatori riformisti” che consentì all’Europa di transitare verso il futuro. Certe etichette cucite addosso ad alcuni personaggi meriterebbero una riflessione e in molti casi una revisione. Carlo Magno fu davvero il padre dell’Europa? Secondo Jacques le Goff la risposta è no, in quanto il suo progetto era quello di far rinascere l’antica civiltà romana, rianimandola grazie al cristianesimo. Un’altra figura controversa è quella di Junipero Serra, il gesuita nato nel 1713 a Maiorca e che aveva evangelizzato la California, beatificato nel 1988 da Giovanni Paolo II e proclamato santo da Francesco nel settembre 2015, al termine del viaggio a Cuba. Serra infatti secondo i rappresentanti delle tribù indigene utilizzò l’incarcerazione e la tortura per convertire al cristianesimo gli indiani della California, trasformando le missioni in campi di concentramento e causando la decimazione dei nativi. Che dire di un grande intellettuale come George Byron che nel 1824, poco prima di morire, tenne un discorso alla House of Lords in difesa dei luddisti e della tesi secondo cui la rivoluzione indistriale avrebbe creato disoccupazione? Sbagliava clamorosamente. Tra le pagine più interessanti in chiave italiana, quelle su D’Annunzio prigioniero di Mussolini, la vera trattativa su Stato e mafia e i primi scandali dell’Italia unita. L’invito che arriva dal libro di Mieli è duplice. Ai lettori e agli appassionati di storia, la disponibilità a rivedere i propri giudizi sui fatti e sui personaggi, nella consapevolezza che spesso anche la parte “giusta” ha commesso atti riprovevoli e facendo attenzione a non cercare a tutti i costi negli eventi i retroscena delle posizioni politiche del presente. E agli storici di professione di affrontare anche i temi più cari alla nostra memoria collettiva senza partigianeria e con “una buona dose di imperturbabilità”.
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