La visita del cardinale Schuster al seminario di Napoli
Lo strumento scelto per mandare ad effetto in Italia quel particolare modello di Chiesa, che era nei suoi intendimenti, furono le visite apostoliche, che interessarono le diocesi dell’intera penisola: un mezzo al quale Roma aveva fatto ricorso in parecchie altre occasioni, soprattutto all’indomani del concilio di Trento, quando era in gioco la necessità di assicurare la piena applicazione delle deliberazioni conciliari e delle direttive impartite man mano dalla Curia romana. Il 7 marzo 1904 la Congregazione del Concilio, con la promulgazione del decreto Constat apud omnes, indisse le visite apostoliche a tutte le diocesi d’Italia. La visita, secondo quanto fissato dalla normativa tridentina, sarebbe stata«locale, reale e personale»; da essa, quindi, non erano esclusi i seminari, sui quali si raccomandava di avere l’occhio attento, prendendo nota specialmente della vita di pietà e degli studi dei futuri preti. Nei primi mesi del 1905 giunse a Napoli il visitatore monsignor Giovanni Battista Costa, segretario dell’economato della Congregazione di Propaganda Fide, che si dichiarò pienamente contento del risultato della sua missione. Il 13 settembre di quell’anno il cardinale Vincenzo Vannutelli e monsignor Gaetano De Lai, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione del Concilio, espressero il loro compiacimento al cardinale Giuseppe Prisco, degno continuatore delle «gloriose tradizioni del Card. Riario», per il «molto bene» rinvenuto dal visitatore nella sua diocesi.
Di ciò essi erano già a conoscenza, ma averne avuto «conferma ed il vederne la perseveranza» era stato motivo di «alta consolazione» per il papa e per la Commissione cardinalizia per le visite apostoliche. Mostravano soddisfazione particolarmente per «la buona cultura e l’operosità del clero», per il «vero spirito ecclesiastico» riscontrato nei due seminari e per le «paterne e vigili cure» del clero e del popolo: «per ciò che riguarda il Seminario e la vigilanza sul clero – facevano sapere – le relazioni avute non lasciano nulla a desiderare»[3]. Avviate le ispezioni alle diocesi, papa Sarto prese in esame la situazione degli istituti di formazione ecclesiastica, che in quegli anni lasciava parecchio a desiderare e alla quale non era facile porre rimedio. Gli stessi che ragionavano o riempivano pagine su pagine per mettere a fuoco la necessità di migliorare la condizione dei seminari e di aggiornare i programmi di studio, non si nascondevano le difficoltà, a cominciare dalle scarse risorse finanziarie a disposizione, che impedivano ai vescovi di prendere serie iniziative in proposito. Soprattutto nelle diocesi più piccole mancavano docenti preparati e superiori e direttori spirituali idonei ad assolvere al loro ruolo di educatori. Parecchi seminari, inoltre, erano allogati in vecchie costruzioni, carenti perfino dal punto di vista igienico.
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