Perché la Sicilia odiava i Borbone

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Il revisionismo storico si mostrerebbe necessario se avesse lo scopo di  implementare l’indagine storica, ma in tanti casi esso si mostra d’accatto e a dir poco fuorviante della semplice e acclarata verità.

Qual è l’origine dell’odio che la Sicilia nutriva per il regime borbonico? E’ noto a qualsiasi liceale; eppure si cerca di non prenderne atto, anche nella consapevolezza che si tratta di storia certa, innegabile e comprovata. La Sicilia, prima dell’arrivo dei Borbone di Spagna, per effetto del gioco tra potenze, aveva subito anche la dominazione dei Savoia  dal 1713 al 1720, a conclusione della guerra di successione. Passata nel 1734 ai Borbone insieme al Regno di Napoli, l’isola si rivelò una forte spina nel fianco della dinastia borbonica, pur rimanendo distinta dal Regno di Napoli fino al 1816.

Nel corso del Decennio francese la Sicilia, nel 1812, ottenne la Costituzione, ma con la restaurazione borbonica, decisa al Congresso di Vienna, nel 1816,  essa fu incorporata per la prima volta nel Regno delle Due Sicilie e il Borbone, unificando le due corone, di Napoli e di Sicilia, acuì l’odio dei Siciliani, abituati fin dal tempo dei Vespri a marcare una netta distanza da qualsiasi governo continentale, soprattutto di dominazione borbonica.

I sovrani, che si erano succeduti sul trono di Sicilia (Borbone compresi) avevano sempre giurato sulla costituzione, la cui soppressione avrebbe portato ai seguenti 44 anni di dure lotte. Infatti dall’istituzione del Regno delle Due Sicilie, i Siciliani si sarebbero sempre sollevati in maniera compatta contro i Borbone, e a tali sollevazioni partecipò tanto la nobiltà quanto il popolo. Lo stesso escamotage, ideato dai Borbone, di escludere i siciliani dalla coscrizione obbligatoria, se da un lato consentì la convenienza da parte del regime di poter fare affidamento su un proprio esercito dislocato sull’isola, dall’altro suscitò grandi ostilità nei  siciliani che si sentirono soffocati da un regime di totale dominazione e occupazione.

 

Tuttavia nell’esercito erano presenti ufficiali e sottoufficiali del periodo murattiano, la cui cultura politica intrisa di liberalismo e costituzionalismo, avrebbe condotto, in breve tempo,  ai moti del 1820-21 e successivamente a quelli del ’48.

La prima delle tante rivoluzioni europee  avvenne proprio in Sicilia il 12 gennaio 1848. La Sicilia ambiva all’autonomia ed era portatrice di un forte ed antico sentimento indipendentista; i siciliani odiavano quel Regno delle Due Sicilie, governato da tiranni di casa Borbone.

Dopo un terribile inverno segnato dalla povertà , il 12 gennaio il popolo palermitano eresse le barricate e si rivoltò, sventolando  il tricolore italiano e inneggiando all’Italia ed alla costituzione. Dalla tetra fortezza di Castellammare le forze militari monarchiche bombardarono la città e scagliarono piogge di proiettili contro la folla degli insorti.

I borbonici batterono in ritirata solo dopo aver lasciato sul terreno trentasei vittime. Il loro sacrificio non fu vano, poiché nel giro di pochi giorni i contadini delle campagne si unirono ai rivoltosi , assaltando i municipi e dando alle fiamme i registri delle imposte e del catasto.

L’esercito borbonico, capitanato dal generale De Majo, cercò di opporre resistenza ma, dopo che Palermo fu luogo di aspri combattimenti, si ritirò e si insediò un comitato generale che si assunse le funzioni di governo, chiedendo la convocazione di un Parlamento. Il 25 marzo, dopo 30 anni, venne proclamato nuovamente il Parlamento di Sicilia, presieduto da Vincenzo Fardella di Torrearsa, fra l’ottimismo e la gioia dei politici e del popolo, e la Sicilia riuscì ad essere nuovamente retta da un governo costituzionale che proclamò il nuovo Regno di Sicilia.

Il capo del neonato governo, Ruggero Settimo, già ammiraglio della flotta borbonica, ma che da sempre nutriva schietti sentimenti liberali e si opponeva alla tirannia borbonica nei confronti del popolo isolano, fu accolto con entusiasmo e salutato come padre della patria siciliana. Tra i ministri, furono nominati Francesco Crispi, Francesco Paolo Perez, Mariano Stabile, Michele Amari e Salvatore Vigo
La bandiera del Regno della Sicilia fu il tricolore: verde, bianco e rosso.

Il grido di dolore dei Siciliani, in tutta Europa, anche dopo il bombardamento di Messina, fu lanciato dallo stesso Carlo Marx, che scrisse parole durissime indirizzate alle potenze liberali per far cessare la repressione contro chi aspirava all'indipendenza e alla libertà.

Anche , dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848, i siciliani, come prima e più di prima, continuarono negli anni successivi a battersi per l’indipendenza e per la costituzione e furono fino alla fine la durissima spina al fianco del regime, che non volle considerare la forte tradizione di costituzionalismo che affondava le radici nei tempi dei Normanni, e a cui l'orgoglio siciliano non avrebbe rinunciato a costo di tanto sangue versato.

 

 

 

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