Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le origini della canzone napoletana fra musica colta e popolare

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A Napoli, verso il 1250, la canzone era già tanto in voga che nacque la leggenda secondo cui Cupido avrebbe donato l’arte della canzone alla Sirena la quale, a sua volta, ne aveva fatto dono al popolo.

Lo stesso Giovanni Boccaccio accennò, con versi, alle canzoni che resero incantevole il suo soggiorno a Napoli, scrivendo:

Su la poppa sedea d’una barchetta /che ‘l mar segando presta era tirata /la donna mia con altre accompagnata/cantando or una or altra canzonetta.

Con la scoperta della polifonia, nel ‘300 e nel ‘400, la musica napoletana compì un gran passo in avanti, che portò, nel tardo ‘400 allo strambotto, famoso sia in ambienti aristocratici che popolari.

Lo stile del componimento oscillava tra la lirica d’arte d’ascendenza petrarchesca ai versi spontanei diffusi dai musici-poeti popolari.

Nel prosieguo gli interessi della cultura musicale napoletana si orientarono verso un’arte diversa, più semplice, più profana e si evidenziò una nuova inclinazione per le forme musicali popolareggianti. Così dallo strambotto nacque la villanella o canzone villanesca.

 

La villanella ebbe tra i suoi esponenti napoletani artisti quali il Primavera, Junno Cecala e il più famoso Velardinello. Con constoro ebbero origine a Napoli, per poi diffondersi in altre parti d’Italia, le famose filastrocche dette glommere, le pastorali, ossia quei generi musicali che nel Seicento Giovan Battista Basile rievocò con grazia e descrisse con virtuosismo, tramandando precise nozioni sulla composizione di piccole orchestre formate da strumentisti della lira, del liuto, del “pignatiello”, che negli anni successivi avrebbe preso il nome di “ putipù”, lo “zucozuco”, della “cocchiara sbattuta” e del “ vottafuoco”.

Salvator Rosa, oltre che pittore eclettico, fu poeta, commediografo e chitarrista, e compose alla fine del secolo XVII, la famosa Michelemmà, che costituì una vera svolta verso la realizzazione di una canzone moderna, ironica e sentimentale.

La pienezza fu raggiunta nel Settecento con i componimenti di Giambattista Pergolesi che scrisse Ammore è ‘na pazzia e la più celebre Gnora crediteme, dall’opera Lo frate ‘nnammurato,  e di  Niccolò Piccinni che scrisse la Molinarella, dall’opera omonima.

A quei tempi anche i maestri più celebri musicavano le opere su testi dialettali e scrivevano arie che erano vere e proprie canzoni “adottate” e cantate dal popolo come la famosa Palummella, risalente alla metà del Settecento ed spirata da un’aria del personaggio di Brunetta dalla citata opera buffa La Molinarella di Niccolò Piccinni, andata in scena a Napoli nel 1766.

Una citazione a parte la merita Lo Guarracino, di autore ignoto, scritta alla fine del Settecento. Benedetto Croce le dedicò uno scritto di analisi estetica del testo, definendola “una singolare fantasia, capricciosa e graziosa e di un brio indiavolato”. Successivamente Gino Doria, la classificò “fra le cose più fresche, più festive, più colorite, più saporose e sarei a dire più odorose, della poesia semipopolare o semidotta che dir si voglia”.

L’amorosa vicenda, che vedeva protagonisti dei pesci, si svolgeva in fondo al golfo di Napoli verso la fine del ‘700. Lo Guarracino, un giovane e aitante pesce, volendosi sposare, aveva messo gli occhi sulla signorina Sardella, già promessa, però, ad un certo Alletterato; la signorina Sardella, sensibile alla prestanza del Guarracino, lo aveva preferito al promesso sposo.

Ferito nell’orgoglio, l’Alletterato non si diede per vinto e scatenò una rissa alla quale presero parte, divisi in due partiti, tutti i pesci del golfo di Napoli e molti venuti addirittura da acque lontane del Mediterraneo.

 

 

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