Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giuseppe de Guidobaldi e Vincenzo Speciale, i boia togati del 1799

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‘Napoli, 22 luglio 1799. Il re, in considerazione di distinti servigi, della riconosciuta fedeltà, attaccamento alla real corona, ed ottimi requisiti e talenti del Barone D. Giuseppe de Guidobaldi, è venuto a destinarlo a Presidente della Gran Corte della Vicaria Civile e Criminale coll’annuo soldo annesso alla carica di duemila e quattrocento ducati, e con altri ducati cento al mese a titolo di gratificazione e vuole che al medesimo si dia il possesso della medesima carica nella Chiesa della Pace…’ (1)

Era nato a Nereto, in provincia di Teramo Giuseppe de Guidobaldi il 1 febbraio del 1744 da Franceso e da Maria Oliva Marciti. Dopo gli studi di legge conseguiti Teramo, nel 1769 si trasferì in Napoli per l’esercizio della professione nel ramo criminale, con notevole successo, tanto da acquistare il nobile feudo di S. Egidio dal marchese Giuseppe Maria Malaspina di Ascoli.

Nel 1795 fu sollevato all'onor della toga ottenendo l’impiego di Avvocato de' poveri presso la Gran  Corte della Vicaria. In seguito fu nominato avvocato fiscale e Caporuota col rango di Consigliere della Suprema Regia Corte.

Nel 1798 gli fu affidala la direzione generale di polizia. Durante la fuga di Ferdinando IV a Palermo alla fine del 1798, il Guidobaldi rimase al Governo di Napoli in qualità di Assessore del principe Pignatelli che era stato nominato Vicario Generale del Regno, ma un mese dopo, nel gennaio del 1799, seguì la corte borbonica a Palermo, per poi tornare a Napoli nel luglio del 1799 con la carica di Presidente della Vicaria. (2)

Principale autore con Vincenzo Speciale dei processi sommari che costarono la condanna a morte ai patrioti della Repubblica napoletana del 1799, dopo quella ecatombe non ebbe altri incarichi da parte del regime borbonico. Esonerato dai pubblici uffici durante il decennio francese fu esiliato a Teramo dove rimase fino alla morte sopravvenuta nel febbraio del 1814.

 

‘Guidobaldi, depresso all’entrar de’ francesi, maltrattato, prigione ottenne, in mercè di preghiere e per pietà di canuta vecchiezza, vivere confinato in un piccolo villaggio degli Abbruzzi ch’era sua patria […] poco tempo vi dimorò come in carcere, e disperatamente morì.

Più tristo del Guidobaldi era stato nel 1799 il ferocissimo Speciale. Viveva in Sicilia sua patria, dispregiato, allorchè dai disordini della coscienza turbato l’intelletto, divenne maniaco, furioso, soffrì tutti i dolori e le ingiurie di quel misero stato; morì e tanto odio pubblico lo accompagnò nel sepolcro, che i suoi congiunti, vergognando, nascondevano il pianto e non osarono vestirsi a bruno. (3)

‘Qual mostro era mai questo Speciale! Non mai la sua anima atroce ha conosciuto altro piacere che quello di insultare gl’infelici. Si dilettava passar quasi ogni giorno per le prigioni a tormentare, opprimere colla sua presenza coloro che non poteva uccidere ancora. […] Sotto la direzione di un tale uomo, ciascuno può comprendere quale sia stata la maniera con cui sieno stati tenuti i carcerati. Quante volte quegli infelici hanno desiderata ed invocata la morte!’(4)

‘Speciale e Guidobaldi, colle mascelle ripene di carne umana, rigurgitavano sangue.  Guidobaldi era un uomo miserabile, inetto. Fra gli altri tradimenti che commise eziandio quello di denunciare un suo amico, e cliente insieme, che lo consultava sulle accuse che temeva. Egli fu, che fece cadere i maggiori sospetti contro Carafa, , e questa infamia ebbe per ricompensa la toga. Spinse la ferocia oltre ogni linea, fu più crudele e più vile. Si son ritrovate lettere sue, nelle quali prometteva premi e cariche ad alcuni, per indurli a deporre contri i pretesi rei. Fu tanto riputato in questo ramo che la corte lo scelse direttore del tribunale di polizia ossia di pubblico spionaggio. Portò tant’oltre le sue idee di crudeltà che, immaginando il gran numero degli impiccati,  che vi sarebbero, i quali secondo lui dovevano oltrepassare quello di duemila solamente nella capitale, per fare un benefizio al fisco, fece una transizione col boia, a cui invece di ducati sei ad operazione, che prima esigeva, stabilì una mesata fissa. Soleva dire ai suoi favoriti che egli allora pranzava con giubilo, quando piovevano le teste de’ giacobini nella piazza del mercato.’(5)

Giuseppe de Giudobaldi e Vincenzo Speciale furono fedeli alla monarchia borbonica fino alla morte. Fedeli e degni di quel regime che nel 1799 stroncò nel sangue il diritto alla libertà e l’uguaglianza.

 

 

 

 

 

 


      

 

Bibliografia

(1) Archivio Storico Diocesano di Napoli, Fondo Vicari Generali. Carte inedite del 1799.

(2) Niccola Palma,Storia Ecclesiastica e Civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli (oggi città di Teramo) - Volume 5, Stampatore U. Angeletti, 1835-1836.

(3) P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, Milano, 1992.

(4) V. Cuoco, Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli del 1799.

(5) F. Lomonaco, Rapporto al cittadino Carnot”.

 

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