Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Procida 1799. Cap. VIII "Signora Libertà"

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Dalle finestre del castello filtrava un tenue sole primaverile, Procida iniziava ad ammantarsi di mille colori, la natura si risvegliava rigogliosa, il mare ed il cielo brillavano di un azzurro intenso, per le stradine la gente passeggiava serena, molti erano intenti a lavorare dentro e fuori le botteghe, il porto era gremito di viandanti, carretti ricolmi di frutta, verdure e cesti di pesci. 

Dopo lunghi giorni di freddo e burrasca i pescatori avevano ripreso il mare pacifico ed ora tornavano soddisfatti,  trascinando a terra reti stracolme di pesci, alghe e crostacei, fischiettando, richiamandosi tra loro coi nomignoli più strambi, tra gli striduli versi dei gabbiani che arrivavano a stormi sulle loro teste, elemosinando qualche dono dalle abbondanti reti. Sembrava un’isola felice, tranquilla, piena di vita, sole e pace.

Bernardo lasciò il castello alla buon ora, tuffandosi nei colori di quello splendido mattino. Si guardava intorno con il cuore a pezzi ed  una soffocante angoscia  nell’anima, qualche popolano iniziava a sorridergli, a salutarlo con un pizzico di simpatia, i nobili decaduti lo evitavano peggio di un appestato bersagliandolo arcigni.

 

- Commissà…commissà, me lo date un tornese? Gli fece un bambino dagli abiti laceri, scalzo ed il viso lentigginoso.

-Certo che te lo do, tieni!

-Grazie commissà! Come sono belle le monete che avete portato da Napoli!

-Ah, si ti piacciono?

-Si, sono colorate, ma la più bella è quella grossa d’argento. L’ho vista in mano a dei pescatori. Vale molto mi hanno detto, e come è pesante!

-Quale dici, la piastra?

-Si, la piastra. Ma è roba da ricchi.

-Come ti chiami?

-Michelino.

-E dove abiti?

-Nelle case dei pescatori, mio padre fa il marinaio.

-E chi è, lo conosco?

-Ma certo, commissà, lui parla sempre tanto bene di voi. Io sono il figlio di Giacinto.

-Giacinto Calise?

-Si, e tengo altri cinque fratelli.

-E fai il marinaio pure tu?

-Certo, quando il mare è calmo mio padre mi porta per mare con lui! Ma posso chiedervi una cosa?

-Dimmi…

-Me la fate vedere quella cosa che avete portato da Napoli? Ne stanno parlando tutti, chi bene, chi male,  ma io non l’ho ancora vista. Penso che è bellissima, è una cosa nuova. Mio padre dice che sono ancora piccolo per capirla, ma io voglio vederla lo stesso. Vi prego, me la fate vedere voi? Lo so che la tenete. Siete stato voi a portarla da Napoli!

-Non ho capito, cosa devo farti vedere, la coccarda tricolore,  la piastra d’argento?

-No, quelle le ho già viste! Io vorrei vedere quella cosa che avete portato da Napoli, quella cosa che ora state difendendo, come si chiama?? Ah, si… la libertà!! Si chiama libertà!

Bernardo rimase incredulo, intenerito, totalmente disarmato di fronte a quegli occhioni neri innocenti, pieni di vita, di curiosità.

-La libertà non è una cosa, Michelino, la libertà è quando tu non hai più un padrone che devi servire e tutti gli uomini sono uguali.

-Allora io e voi siamo uguali?

-Si, siamo uguali.

-Ma io sono un bambino.

-Certo, adesso sei un bambino, ma fra non molto crescerai e diverrai un uomo ed allora comprenderai meglio quello che ora ti sto dicendo.

-Voi e mio padre siete uguali?

-Si, Michelino, siamo uguali per la nostra Repubblica. Ascoltami, guardati intorno. Vedi com’è bella Procida? Quest’isola è tua, è mia, è di tutti noi, non appartiene ad uno solamente.

-Ah, ora ho capito. Invece quando c’era quel re cattivo l’isola era la sua. Sapete, commissà, io quello che stava qui prima di voi, quel governatore, quel vecchio brutto, brutto, come si chiamava….ah, si,  De Curtis, io quello non lo sopportavo proprio. Ci guardava tutti con occhi cattivi e nessuno poteva dirgli niente altrimenti ci mandava le guardie e ci metteva in prigione.

-Lo so, Michelino, lo so, ed è per questo che abbiamo fatto la rivoluzione. Ora siamo una Repubblica e siamo uomini liberi. La Repubblica appartiene a tutti, ai ricchi, ai poveri, insomma a tutti!

-Che cosa bella, commissà, perciò mio padre ne parla con gioiai e dice che vi dobbiamo volere bene perché ci avete liberati! E me lo ha detto pure quella signora l’altra notte….

-Quale  signora?

-Una signora che ho incontrato qualche sera fa nella piazza davanti alla chiesa di S. Maria.

-Era una signora giovane, vestita con dei pantaloni scuri ed una strana marsina azzurra?

-Si, aveva degli abiti che non ho mai visto prima, ed un volto che non saprei descrivervi. La conoscete anche voi? Meno male, perché, sapete,  io a volte vedo delle cose strane e mia nonna mi ha detto che mi succede perché ho delle parole mancanti nel battesimo.

-Cosa vedi?

-Vedo delle persone che non ci sono più!

-Vuoi dire presenze, fantasmi insomma?

-Non dite così, mi mettete paura. Io vedo delle persone così come ora vedo voi. Qualcuno di loro mi parla, qualcuno mi sorride. Qualche volta mi hanno chiesto di salutare mio padre,  qualcuno della mia famiglia, ma quando l’ho fatto mio padre mi ha detto che non stavo bene, che avevo visto della gente che era già morta da tanto tempo e mi ha portato in chiesa e dal dottore tante volte. Da allora, pure se li  vedo non lo dico più.

-Io ti credo, invece, e non dirò nulla a tuo padre. Dimmi ancora di quella donna, Michelino. Ti ricordi come si chiamava, te lo ha detto?

-Fatemi pensare, è un nome strano. Si chiamava….si chiamava… Aurora, si  mi ha detto che si chiamava Aurora!

Bernardo trasalì, il volto gli si fece ancora più pallido. Michelino non poteva mentire, non ne aveva motivo.

-Quando l’hai vista?

-Due o tre sere fa. Era una bella signora e mi sorrideva. Io stavo guardando l’albero che avete piantato e lei mi ha chiesto come mi chiamavo, e poi mi ha detto delle cose che non ho tanto capito.

-Cerca di ricordare...

-Ma voi mi promettete che non direte nulla a…

-Ti prometto tutto quello che vuoi!

-Anche la piastra d’argento?

-Eccoti la piastra d’argento! Ma ora, avanti,  dimmi cosa ti ha detto Aurora!?

Il bambino afferrò la moneta con uno slancio di  gioia irrefrenabile e sgranò gli occhi scintillanti di allegria.

-Dodici carlini… e c’è pure la signora libertà sopra! Grazie commissà, grazie!!!

Ebbe il desiderio di abbracciare forte quel giovane Commissario tanto buono e generoso e lo fece, gli si aggrappò addosso di istinto e lui rispose caloroso, ma poi fissandolo in volto comprese quanta sofferenza stava provando quell’uomo ed allora gli aprì il cuore senza remore.

-Mi ha detto: “Vedi Michelino, tu non dovrai avere paura. Vivere queste giornate è quanto di più bello possa esserti capitato. Ora sei un piccolo uomo libero e tra non molto sarai un piccolo eroe anche tu. Pure se il tuo nome non verrà scolpito su una lapide tra i nomi dei grandi, io farò in modo che non finirà dimenticato”. Non capivo, la guardavo meravigliato, ed allora lei ha tirato fuori dalla tasca della marsina una di quelle cose che usate voi per scrivere e mi ha detto “La vedi questa? Questa è  una semplice  piuma d’oca ma è capace di fare miracoli. Basta intingerla nell’inchiostro e saper scrivere. Questa piuma ti darà delle ali grandi, Michelino”.

Nei pensieri di Bernardo  balenarono le ultime parole della marchesa Eleonora “ La mia arma  è la penna ed a lei affiderò la grande speranza di far sopravvivere la memoria di tutti noi!”

-E cos’altro ti ha detto? -

-Niente più. Mi ha sorriso, mi ha abbracciato. Era proprio una bella signora e spero di incontrarla ancora così glielo dico che la state cercando. Perché voi la state cercando, non è così?

-Si, è così!

-Se la rivedo glielo dico, commissà, statene certo. Mi avete fatto un regalo troppo grande. Questa piastra la porterò sempre con me, sempre! Ora devo scappare, la mamma mi sta aspettando!

Gli diede un bacetto volante sulla guancia intenerendogli  il cuore , lui tese la mano e  gli carezzò paterno le guance paffute e lentigginose.

-Ciao piccolo e vienimi a trovare.

-Certo che lo farò,  e vi porterò a fare un bel giro in barca!

-Va bene, ti aspetto!

-A presto commissà!

 

Si era fatta ora di pranzo e don Antonio Scialoja lo stava aspettando al suo palazzo. Decise di raggiungerlo a piedi: una lunga passeggiata dal castello d’Avalos fino alla punta Pizzaco, dove il sacerdote abitava, lo avrebbe aiutato a distendere i nervi. Dalla piazza di Santa Maria delle Grazie, prese la discesa per la Corricella: una strada serpentina, lunga e stretta, costeggiata da palazzotti dai cui cortili  lo sguardo raggiungeva vivai in fiore e  profumati aranceti.  Immersi nella meravigliosa natura di Procida, si snodavano una dozzina di sentieri tra giardini e orti, fino ad arrivare alla costa sul mare. Uno di questi, il sentiero del Pizzaco, costeggiava diverse residenze lussuose ed una caccetta reale, un’elegante villa, rimaneggiata nell’Ottocento e rinominata in epoche successive Villa Fegoli e ancora dopo Villa Lavinia, che ospitava i sovrani Borboni durante le partite di caccia. Più volte durante il tragitto Bernardo si soffermò ad ammirare quel paesaggio splendido ed incontaminato; una fitta boscaglia di alberi di roverella, ulivo ed agrumi, raggiungevano la punta Pizzaco a strapiombo sul mare.

Sobrio e signorile, palazzo Scialoja sorgeva al termine di un sentiero delimitato da caratteristici muri in tufo a confine di orti e giardini, che inquadrava il portale; era questo  inserito in un alto basamento trattato a bugnato rustico. L’edificio era costruito su due livelli e presentava segni di recente rimaneggiamento: al piano superiore il bugnato appariva più leggero e forato sulla facciata principale da balconi, incorniciati da fasce di intonaco chiaro, terminanti in alto in rosette di stucco. I balconi erano sormontati da timpani semicircolari, sulla facciata laterale, ai balconi si sostituivano le finestre. In alto la costruzione terminava in un cornicione retto da mensole e decorato con medaglioni in stucco.

 

-Buon giorno, Commissario, si accomodi prego, la stanno aspettando. – fece un domestico in livrea come lo vide comparire sul portale.

Don Antonio gli venne incontro con la sua figura altera in tunica nera e colletto bianco, e dietro di lui comparvero la sorella nubile ed il fratello sposato. Gli altri si fecero avanti con più timidezza.

-Venite, mio caro amico, venite. Vi presento mia sorella Teresa e mio fratello Nicola. La signora è sua moglie, Maria Morgione, e quei piccoli monelli sono i miei nipotini Antonio  e Luigi.

-Sono lieto di fare la vostra conoscenza. – esordì Bernardo, corrispondendo sorridente alla cerimoniosa accoglienza.

Le signore, dall’aspetto ancora giovane, indossavano delle vesti molto sobrie, in stile greco-romano,  una in bleu scuro e l’altra bordeaux, i capelli raccolti dietro la nuca, pochi monili e scialle di pizzo. I bambini, graziosi e paffuti, si fecero avanti ridacchiando: vestivano delle culottes rosse,  calze bianche, scarpine nere con fibbie dorate e  candide camice con plissé e deliziosi fiorellini ricamati. Il piccolo Luigi nel 1817 sarebbe divenuto il padre di  Antonio Scialoja junior, senatore del Regno d’Italia, anch’egli di fede antiborbonica.

Don Nicola apparve più rigido, sia nell’aspetto che nei modi, con la sua parrucca  incipriata e tirata dietro la nuca dal codino, calzoni lunghi color panna, scarpe nere finemente ricamate con tacchetto, gilet corto e marsina in velluto verde cesellato coi bordi rifiniti in oro,  senza asole e paramani ridotti, così come la moda francese richiedeva.

Al centro di un salone ben guarnito da arredi di lusso, tendaggi di seta, quadri e specchiere intarsiate,  era stata imbandita con cura una lunga tavola ricolma di vivande. I bambini saltellavano intorno gioiosi mentre le signore cordialmente iniziarono a dispensare biscottini all’anice e  mandorle  e liquori d’antipasto.

Nel giro di pochi minuti si era già creata un’atmosfera gradevole e calorosa. Don Antonio lo fece accomodare al tavolo offrendogli una prima coppa di buon vino.

-Ho saputo che ieri non avete portato buone notizie da Napoli. – esordì don Nicola intavolando dolenti note.

-Si, è una situazione difficile, ma stiamo cercando di fortificarci. – rispose Bernardo,  un po’ seccato.

-Fortificarci? E come? La gente non sa nemmeno cosa vuol dire essere patrioti, i più bramano il ritorno del re, il re ha trovato alleati. Come pensate che potremmo difenderci? –incalzava don Nicola, senza tener conto della pesantezza con cui al giovane Commissario giungevano le sue parole.

-Questo era prevedibile.. -  barbugliò a  stento, mentre l’altro continuava a darci dentro.

-Ma allora, se tutto era così prevedibile perché è stata fatta la rivoluzione? Perché compromettere tante buone famiglie, tanti uomini di talento. Insomma non sarebbe stato meglio aspettare tempi  migliori?

Bernardo rimase in silenzio per qualche istante finché non intervenne risoluto don Antonio percependo la sua  insofferenza.

-Perché si sperava di ripetere una seconda rivoluzione francese, senza comprendere che alla fine il popolo napoletano ha goduto solo dei giorni dell’anarchia e questa  ha fatto venir fuori tutta la bestialità. Se ricordo quei poveri fratelli Filomarino trucidati davanti all’Immacolatella! Con quanta brutalità inveirono anche sui loro cadaveri, e poi i saccheggi, i vilipendi, una violenza inaudita!

Come  bambini e le signore si misero a tavola  l’argomento, con gran sollievo di Bernardo, fu troncato ed iniziarono a pranzare. Quasi tutti i cibi erano a base di pesce, la pasta, la zuppa e  le frittelle.

-Sapete Bernardo che qualche anno fa per i miei nipoti ho scritto una grammatica italiana? Ho cercato di dare loro un nuovo metodo di apprendimento. Sarebbe davvero utile per questi piccoli avere delle scuole pubbliche dove poter insegnare tutte le materie con metodi innovativi.

-Certo sarebbe bello… - rispose lui stentato e distratto da una moltitudine di pensieri che gli ronzavano per la testa; nemmeno quella gradevole compagnia riusciva a mitigare l’inquietudine, anzi, a tratti la faceva accrescere.

-Questo palazzotto appartiene alla mia famiglia da generazioni. Una decina di anni fa abbiamo ampliato un’ala per permettere a mio fratello Nicola e sua moglie di abitare con noi.

Continuava don Antonio, cercando di carpire la sua attenzione e tenere una tranquilla atmosfera conviviale.

-E’ davvero molto bello ed accogliente –  commentò  Bernardo  ed  aggiunse poi, più per educazione che per reale interesse - Vivere in un luogo appartenuto al proprio sangue da una sensazione di continuità, è come tenere sempre in vita gli spiriti del focolare.

-Si, è vero, non ci si sente mai soli. E voi a Napoli dove abitate?- riprese don Nicola.

-Abito, anzi, abitavo alla via Dei tre cannelli, una traversa di Porta di Massa. – rispose lui con velato rammarico al ricordo di come aveva lasciato quelle mura appena un giorno prima.

-Si, conosco la zona. E non avete moglie e figli?

-No! – troncò Bernardo  seccato, senza aggiungere altro.

Ben conoscendo  il tormento che il suo ospite si portava nel cuore, don Antonio riprese la discussione  risoluto.

-Ma lui è ancora tanto giovane, ha  poco più di trent’anni…. Arriverà il suo momento. Piuttosto facciamo i nostri complimenti alle signore che hanno preparato un pranzo davvero squisito.

-Si infatti, perdonate la mia mancanza, stavo per congratularmi. Tutto buonissimo e preparato con cura! – replicò  il Commissario con un sorriso di circostanza.

Le donne ricambiarono lusingate, mentre i bambini incominciavano ad essere insofferenti alle sedie. Il dolce li trattenne ancora qualche minuto, poi schizzarono via a giocherellare per le stanze ed anche le signore li lasciarono da soli a conversare in salotto. Non ebbero nemmeno il tempo di riprendere quella discussione sospesa prima di pranzo e sorseggiare il caffè che furono bruscamente  interrotti dal domestico.

 

 

Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo

Procida 1799. Cap. I "Un destino segnato"

Procida 1799. Cap. II "La luce dell'Aurora"

Procida 1799. Cap.III "Il dolce soffio della Libertà"

Procida 1799. Cap.IV "Luci ed ombre della Repubblica"

Procida 1799. Cap. V “Un posto nella storia”

Procida 1799. Cap. VI "Isole nel vento rivoluzionario''

Procida 1799. Cap. VII "Verso Napoli nella tempesta"

 

 

 

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