Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Procida 1799. Cap.IV "Luci ed ombre della Repubblica"

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Trascorsero un paio di settimane e lentamente sull’isola iniziavano a delinearsi dei comuni progetti. Il buon contadino Cesare ed il marinaio Giacinto avevano intrapreso con entusiasmo la loro missione e giorno dopo giorno stavano riuscendo ad accendere, specie nell’animo dei più giovani, l’amore per la Patria, la Repubblica e la Libertà.

I vecchi ricusavano di ascoltare, nelle popolane poi la ritrosia era totale. Da quando i sacerdoti Lubrano e Scialoja si erano messi a predicare il catechismo laico, le loro chiese si erano spopolate. Vecchie bizzoche incattivite dalla miseria più dell’anima che del corpo, avevano sparso in giro la voce sinistra che quei preti erano invasati dal demonio e la casa del Signore dove loro operavano era stata profanata, voce malefica amplificata dai curati dissidenti che si erano asserragliati nei loro dogmi inespugnabili.  Trascorsero giorni convulsi tra picchi di entusiasmo e di scivoloni di desolazione.

Da Napoli di tanto in tanto arrivava qualche copia del Monitore, ma anche notizie non ufficiali; erano i marinai a portarle da un porto all’altro o  qualche coraggioso pendolare che non desisteva dall’avventurarsi per il mare in burrasca.

Le gabelle imposte dal Governo erano state molto impopolari, aggravando il malcontento, le munizioni erano sempre scarse e si temevano attacchi improvvisi. Ciononostante arrivavano anche delle buone nuove: il conte di Ruvo, Ettore Carafa, era partito con la sua legione per democratizzare gli Abbruzzi e le Puglie e, tra fiumi di sangue, stava riuscendo a conquistare diverse terre, alle porte di Napoli  il fortino di Vigliena era stato arricchito di uomini ed armi e così gli altri forti.

Procida,  Ischia e Capri stavano cercando di corazzarsi alla meglio, Procida in particolar modo per essere la più vicina a Napoli e la più esposta alle mire di riconquista borboniche. Alcuni  patrioti facevano la spola tra le isole cercando di scambiarsi aiuti, notizie e viveri.

Aurora e Bernardo non si erano più rivisti; avendola attesa invano per diverse sere nella piazza davanti alla chiesa, più volte il Commissario l’aveva cercata per le locande di Marina Grande senza fortuna.  Forse era ripartita per Napoli, aveva pensato, forse qualcosa doveva averla costretta a lasciare l’isola senza un preavviso, forse  la tristezza che traspariva dai suoi occhi era dovuta  ad un segreto che serbava nel cuore. Tante ipotesi, nessuna certezza solo il desolante vuoto dell’assenza.

Ricomparve una sera, avvolta in un mantello di pizzo nero, pallida e pensierosa. Fu il caso o forse il destino a far si che Bernardo si trovasse a passare da lì a notte inoltrata; cerano stati dei tafferugli giù al porto e per ristabilire l’ordine si era reso necessario un suo energico intervento. Tornava stremato, confuso ma, quando la vide seduta al chiaro di luna, la stanchezza gli cadde di dosso ed una vampata di calore gli ritemprò l’anima.

- Aurora…. sono stato tanto in pena per voi!

- Sono felice di rivedervi Commissario.

- Io di più…. sono giorni che vi cerco. Dove siete stata?

- Son dovuta tornare a Napoli. Come state?

- Bene pur se stanco. Sto appena venendo  dal porto. C’è stata una lite tra marinai, cose ordinarie, ma sapete, quando si alza un po’ troppo il gomito si finisce male. Vi vedo pallida, stranita, state bene? Non avete freddo? E’ una notte glaciale…. Come fate a resistere lì seduta?

- Desideravo tanto rivedervi.

- Anch’io, altrimenti non vi avrei cercata. Fa tanto freddo questa notte, sto bramando il fuoco del camino ed un pasto caldo, anzi, a dire la verità sto desiderando l’estate. Procida deve essere bellissima ammantata da un sole raggiante. Quando arriverà  vi prometto che vi porterò in barca e faremo tante cose!  Ma perché siete così addolorata? Cosa è successo, a cosa pensate?

- All’estate….. alla prossima estate…..

- Ed allora? Il sole rallegra, porta la vita, il mare qui è incantevole! Su Aurora, fatemi un sorriso!

Si sforzò di farlo, ma era tanta la tristezza che serbava nel cuore. Bernardo era un ragazzo pieno di vita, di speranza, il sole di cui parlava traspariva dai suoi occhi, ignari di quell’ amaro destino già scritto e che non gli avrebbe consentito di vivere quella nuova stagione tanto attesa.

- Se domattina il mare è calmo e riesco a liberarmi per un paio di ore mi piacerebbe portarvi a Vivara. Ci siete mai stata?

- No, ma la guardo sempre da Santa Margherita. Bisogna raggiungerla per mare.

- Si, ma se prendiamo una barca dalla marina di Chiaiolella il tragitto è  breve. Che ne dite, vi fa piacere?

- Si, se lo desiderate , verrò volentieri.

- Allora ditemi in quale locanda posso venire a cercarvi.

- Non ce ne è  bisogno. Sarò qui domattina alle dieci.

- Promesso?

- Promesso!

 

La notte per Bernardo trascorse lenta. Era emozionato all’idea di rivedere Aurora e starle accanto per qualche ora, tanto da dimenticare le ansie ed i gravosi impegni che quel momento richiedeva, ma aveva intorno degli ottimi collaboratori su cui contare.

Giunse quell’alba tanto attesa e poi una mattinata ravvivata da un tiepido sole. Gli si stampò sul volto un sorriso luminoso nel vederla arrivare puntuale, raggiante come non mai, con quegli strani pantaloni neri, la lunga marsina azzurra, ed i capelli al vento, appariva avvolta in un fascio di luce. Si strinse al suo braccio, mentre lui non riusciva trovare parole sensate per esprimerle la contentezza che provava.  Montarono insieme su un maestoso cavallo bianco, galoppando sereni per stradine strette e scoscese. Giunti a marina di Chiaiolella, Bernardo lasciò il cavallo  nella stalla di una vicina masseria rigogliosa d’alberi di aranci e limoni e si misero in cerca di una barchetta. Un pescatore gli offrì la sua  in cambio di pochi tornesi.

- Siamo stati fortunati,  il mare stamattina è calmo e non tira nemmeno tanto vento.

- Si, è  tutto così bello.

- Ed in questa cornice voi lo siete ancora di più Aurora. Non immaginate quanto vi sono grato per aver accettato il mio invito.

- L’ho fatto con piacere.  È così gradevole stare con voi.

- Anche per me è la stessa cosa.

Il mare ondeggiava lento, complice, i gabbiani volavano bassi in un cielo terso e turchino come gli occhi di Bernardo. Arrivarono sull’isolotto di Vivara in poco tempo. Intorno era quasi tutta vegetazione.

- E’ un paradiso di natura e quiete. Carlo III ne aveva fatto una sua personale riserva di caccia popolandolo di selvaggina. – fece lui mettendosi a sedere sulla spiaggia. Lei lo seguì.

- E’ un posto incantevole, pur se così tanto vicino a Napoli sembra di stare fuori dal mondo.

- Si, dite bene, ed è proprio lì che vorrei essere….

- Fuori dal mondo?

- Si, lo vorrei!

- Tutta l’Europa ha lo sguardo puntato sulla Repubblica Napoletana e voi che siete tra i fautori ora desiderate essere fuori dal mondo? Non vi pare un controsenso?

- Si, potrebbe essere,  ma detesto sentirmi in questo stato di agitazione,  non riuscire più a trovare un momento di pace. Abbiamo fatto la rivoluzione, abbiamo proclamato la nostra Repubblica, ma riuscire a vivercela con serenità sembra impossibile. Incombe su noi tutti lo spettro della morte, tanto che stiamo imparando a conviverci e questo ci impedisce di pensare a domani perché potrebbe non arrivare mai. Ieri vi hi detto che desidero l’estate, ma in cuor mio sento che non ci arriveremo. E’ vero, ora non sto parlando da buon repubblicano, ma il mio dire non è dettato da sfiducia nella causa che stiamo sostenendo, bensì dalla consapevolezza che quel maledetto Borbone non rinuncerà tanto facilmente al suo regno. Tornerà fortificato dagli inglesi e dalle truppe mercenarie. Noi siamo soli, armati esclusivamente di coraggio ed amor di Patria che per quanto sia tenace e vero non basterà a fermarlo. E di fronte a questa amara consapevolezza sogno spesso di poter rinascere e tornare qui tra cento, anzi duecento e più anni e vedere cosa è cambiato, se i nostri sacrifici sono tornati utili, se la gente avrà finalmente compreso.

- Si ritorna sempre nei luoghi dove si è lasciato il cuore, tra mura impregnate di pensieri. Si ritorna per ritrovare il passato, riviverlo e recuperare ciò che si è lasciato in sospeso.

- Lo credete davvero?

- Si… lo credo.

- Credete nel destino?

- Credo alla storia già scritta e quella che torna a recuperare memorie per farsi riscrivere e far rinascere i suoi eroi.

- Bene, allora prometto a me stesso che se un giorno ritornerò lo farò da un uomo libero…ma libero in ogni senso.

- Perché ora non vi sentite tale?

- Si, si che lo sono, ma vorrei respirala a pieni polmoni la mia libertà e non solo a piccole dosi.

- Perché avete scelto questa vita, Bernardo? Perché non avete continuato a stare a Napoli, lavorando come notaio, magari mettendo su famiglia, occupandovi dei vostri figli, dei  vostri beni?

- Non sono nato per questo. Era il desiderio di mio padre e non mi ha mai perdonato per la mia scelta. Lui avrebbe voluto che io seguissi il suo esempio, occupandomi delle nostre tenute, facendo l’uomo di legge e sposando la donna che lui aveva scelto per me. Un giorno mi costrinse ad andare ad incontrarla nel monastero di Donna Romita, ed io ci andai, ma giusto per spiegare a quella povera fanciulla, la cui famiglia insisteva a voler combinare le nozze, che non ero io la persona giusta per lei, che non avevo alcuna intenzione di legarmi a qualcuno che non amavo, che nemmeno conoscevo, insomma,  che non la volevo. Mi ritrovai di fronte ad una giovane inerme che mi aspettava muta e speranzosa, in balia di un destino che altri avevano scelto per lei. Avvampò quando mi vide ma io, sinceramente, non riuscii nemmeno a fissarla  negli occhi, non volli farle del male usando delle parole dure.  Chi sono gli altri per imporre scelte al nostro cuore? Perché unirsi con un sacro vincolo a qualcuno che non amiamo solo per convenienza, pubblico rispetto? Riuscii solo a dirle “Perdonatemi, ma io non posso!” ed andai via. Mio padre andò su tutte le furie perché avevo mandato a monte il suo proficuo affare e minacciò di diseredarmi per la mia insolenza. Mi diede del pazzo, del figlio degenerato, e da allora non mi parlò più, se non per  umiliarmi ancora. Da quel momento scoprii nella causa repubblicana il senso della mia esistenza. E’ la libertà il bene più prezioso; il vero amore può nascere solo dalla libertà di amarsi.

Aurora era rimasta in silenzio ad ascoltarlo, assorta, rilassata come su una soffice nuvola. Aveva tanta voglia di raccontarsi Bernardo, tanto desiderio di essere compreso, assecondato. La fissò intensamente cercando il suo assenso e per trasmetterle tutto ciò che la parole non riuscivano a dire. Le sorrise, le prese dolcemente la mano e la portò al suo cuore.

- Voi siete diversa Aurora, e non solo per questi abiti stravaganti che indossate. Voi siete la libertà in persona. Vi ho incontrata adesso e spero di non perdervi e rincontrarvi ancora…..magari tra secoli.

- E pensate che saremo migliori?

- Non lo so, ma sicuramente avremo anime così tanto sensibili da riconoscerci e richiamarci l’un l’altro. Io vi riconoscerò tra mille, vi riconoscerò guardandovi negli occhi e ci ritroveremo a  parlare di questo tempo, di ciò che è stato e di ciò che sarebbe potuto essere, quando oramai la nostra storia è già stata scritta ed in tanti l’avranno anche dimenticata.

- La storia non si dimentica, e quando rischia l’oblio torna per farsi sentire più forte.

- E noi ritorneremo Aurora?

- Speratelo con tutto il vostro cuore e abbiate fede in ciò che state facendo!

Stava per carezzarle il viso, quando dal mare vide una barca avvicinarsi ed un uomo, foriero di cattive notizie, fare a gran voce il suo nome.

- Commissario, Commissario!

- Cosa succede? – sobbalzò lui levandosi di scatto e l’altro riprese:

- Dovete tornare a Sent’ Co’. In un’osteria  è scoppiata una rissa  e non riusciamo a fermarli!

- Non indugiate Bernardo, andiamo! – fece preoccupata Aurora, alzandosi lesta.

- Va bene, sto arrivando! – esclamò lui. Corrucciati tornarono in fretta alla barca.

- Vedete? Nemmeno il tempo di una carezza, di una parola, nemmeno il tempo di….

- Non rammaricatevi per questo. Ora dovete pensare alla Repubblica, dovete fare il vostro dovere!

- Perdonatemi….

- E di cosa, Bernardo? Siete una persona dolce e gentile, di cosa vi  dovrei perdonare? Sarete un eroe della Repubblica ed è questo il prezzo.

- Promettetemi che ci rivedremo presto.

- Mi rivedrete, state tranquillo Ma ora andate subito al porto.

- Vi voglio bene Aurora!

- Anch’io ve ne voglio, ma dovete fare il vostro dovere di patriota. Presto, andate!

 

Come la barca toccò la riva  Aurora saltò fuori veloce e si dileguò, mentre  lui veniva accerchiato dalla gente del porto che lo esortava ad  intervenire con solerzia.

- Commissà, hanno ricominciato! Hanno litigato per via di una partita a carte ed hanno messo sotto sopra l’osteria Sent’ Co’, quella che sta all’angolo.  Uno di loro ubriaco ha anche tirato fuori un coltello ed ha ferito l’oste.

- Avete chiamato un medico e la Guardia Civica?

- Si, certo, stanno già dentro.

Adirato, Alberini irruppe nell’osteria facendo piombare tutti in un timoroso silenzio: tavoli e sedie rovesciate, cocci,  vino e cibo sparsi sul pavimento, una caciara infernale.

- Allora? Cosa è successo qua dentro?

- E’ successo che hanno bevuto troppo e come al solito sono venuti alle mani.

Fece un giovane soldato della Guardia Civica e proseguì:

- Hanno sfasciato tutto e colpito l’oste.

- E dove sta adesso?

- Nel retrobottega. Abbiamo chiamato il dottore Assante che lo sta medicando.

- E’ grave?

- No, pare di no, ma ha rischiato il peggio. E’ stato colpito all’addome.

- Portate questo pazzo ubriaco al castello e sbattetelo in cella!

- Agli ordini  Commissario!

- E questo sia di monito per tutti! Quel poveretto sta rischiando la vita per una stupida rissa!

- E voi state rischiando il capestro, vero Commissario? Non vedo l’ora che ve ne andate tutti all’inferno!

Fece il marinaio arrestato, beffardo ed ancora fradicio di vino, mentre le guardie lo tenevano per le braccia.

- Come ti permetti di parlarmi così! –  ribatté irritato Alberini e l’altro continuò provocatorio:

- Quanto vi hanno dato i francesi per stare su quest’isola dannata? Siete un traditore, vi siete venduto anche l’anima!  A morte i repubblicani, viva il re, viva il nostro unico re!

- Schifoso beone!  - scattò brutale il Commissario,  tirandogli un pugno dritto sulla bocca. Il marinaio rise sguaiato, piantandogli sul volto una cera malvagia e vendicativa, mentre dal labbro veniva fuori un rigolo di sangue. Lui lo riafferrò per la camicia sudicia e consunta, stava per colpirlo ancora quando intervenne lesta la  guardia.

- Basta Commissario, lo portiamo in cella! Basta adesso! Non sa nemmeno cosa dice!  – e se lo trascinò fuori.

Gli astanti piombarono in un silenzio glaciale, si guardavano l’un l’altro intimoriti, desiderosi di schizzare fuori dall’osteria e  dileguarsi, e lo fecero non appena Alberini si allontanò nel retrobottega.

- Come sta dottore?

- Se la caverà, per fortuna non è una ferita profonda, il fendente non ha raggiunto organi vitali, ma ha perso ugualmente molto sangue. Ho chiesto ad Onofrio Schiavo il farmacista di portarmi delle erbe mediche e dei bendaggi in modo da scongiurare un’infezione.

- Grazie per il vostro intervento, dottore.

- E’ mio dovere Commissario, come è stato vostro dovere far arrestare quel brutto ceffo. Purtroppo certi soggetti disturbatori  vanno tenuti al fresco quanto più a lungo è possibile. Gente insolente e pericolosa!

- A Napoli avrebbero usato maniere ancora più dure. Ora vi lascio lavorare, se avete ancora bisogno di me mi trovate al castello.

Si ritirò con un’emicrania terribile, rammaricato per  la rissa, per quell’impeto che non era riuscito a frenare, ma soprattutto per aver dovuto interrompere bruscamente quel romantico idillio con Aurora; avrebbe voluto cercarla e riprendere da dove avevano lasciato, ma c’erano dei doveri da rispettare e non poteva venire meno. La serbò nel cuore, come una pietra preziosa, inviolabile e sacra.

Non appena tornò al quartier generale trovò ad attenderlo il sacerdote Scialoja, presto divenuto il suo più fidato e stretto collaboratore, molto preoccupato per l’accaduto al porto.

- Ho saputo… hanno sfasciato mezza osteria ed hanno tramortito quel povero oste. Ho visto la Guardia Civica con quel marinaio che avete fatto arrestare. Comprendo che non avete potuto fare diversamente, certa gente va isolata e punita. E’ appena arrivata una comunicazione da Napoli. Hanno chiesto di convocare un’assemblea generale, tra due giorni  alcuni rappresentanti del Governo torneranno qui.

- Torneranno? Per indire un’assemblea in così breve tempo ci saranno delle notizie importanti, non vi pare?

- Si, penso di si, ma non allarmiamoci e prepariamoci a riceverli.

 

 

 

 

Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo

 

Procida 1799. Cap. I "Un destino segnato"

 

Procida 1799. Cap. II "La luce dell'Aurora"

Procida 1799. Cap.III "Il dolce soffio della Libertà"

 

 

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