Procida 1799. Cap.III "Il dolce soffio della Libertà"
L’alba era giunta tarda in un cielo livido ammantato di nubi. L’isola umida di pioggia ancora sonnecchiava quando nel quartier generale l’ansia di lavorare per la causa comune aveva tolto poche ore di sonno a molti, nonostante la lunga notte di festeggiamenti. Alla buon ora molti patrioti erano già ripartiti per Napoli, altri si erano riuniti al castello d’Avalos per ricevere disposizioni e la fascia tricolore: blu, gialla e rossa. Il Commissario Alberini senza troppi indugi, serio ed impettito, iniziò col nominare i suoi collaboratori fasciati. I sacerdoti Antonio Scialoja e Niccolò Lubrano furono chiamati a divulgare le nuove idee tra il popolo e predicare il catechismo repubblicano che il giurista Francesco Astore aveva già dato alle stampe. Si trattava di un catechismo laico, uno strumento per la propaganda delle idee repubblicane, elaborato con lo scopo di orientare le masse verso il nuovo Governo, in modo da poter avere il più ampio consenso possibile. Unendo insieme la sintesi dei principi politici e la figura del buon repubblicano, il catechismo era il testo popolare da utilizzare nelle varie assemblee e presso le masse analfabete. L’intreccio tra scrittura e oralità permetteva di raggiungere non solo coloro che erano in grado di leggere gli opuscoli, ma anche, e soprattutto, essendo la maggior parte della popolazione, gli analfabeti, che per canali diversi da quelli della lettura diretta, potevano assaporare questi nuovi principi. Un compito arduo considerata l’idiosincrasia naturale del popolo ad ogni radicale cambiamento, senza contare quella degli stessi preti dissidenti che si ostinavano a chiamare sacrileghe le nuove idee ed a fare terra bruciata intorno ai patrioti. Le altre nomine del Governo furono per notai, medici e possidenti dell’isola che si erano presentati spontaneamente all’assemblea.
- Ho bisogno di esponenti del popolo, marinai, contadini, artigiani. La gente comune deve partecipare e difendere con noi la nostra Repubblica, pertanto attiviamoci e cerchiamo di reclutare uomini. Da Napoli stanno istituendo delle nuove batterie sulle spiagge di Miliscola e Capomiseno per assicurarci una maggior difesa dal mare e noi dobbiamo fortificare le nostre sull’isola. Ho bisogno di uomini operosi sulle torri di avvistamento e su tutte le alture. Per il momento faremo uso delle munizioni che abbiamo nei magazzini e di quelle che abbiamo portato dalla capitale. Ho bisogno di tutti voi, anche medici e farmacisti valenti pronti ad adoperarsi in caso di necessità. Chi tra voi è disposto a collaborare si faccia avanti. - Io sono un chirurgo, mi chiamo Vincenzo Assante e sono pronto a difendere ed offrire il mio aiuto. - Ed io sono un farmacista. Sono il cittadino Onofrio Schiavo e sono pronto a rendere i miei servigi. - Io sono il cittadino Andrea Florentino, sono un possidente e sono a diposizione della Repubblica. - Anch’io. Sono un notaio e mi chiamo Salvatore Schiano. - Ed io pure. Sono il cittadino Michele Costagliola e sono un mastro di Atti. - Io sono un artigiano e sono stanco di Ferdinando e della sua corte. Voglio essere un cittadino della Repubblica. Mi chiamo Francesco Fevola. - Bene, vi nomino tutti rappresentanti del Governo, ma c’è necessità di reclutare anche esponenti del popolo. - Me ne incarico io! – fece il sacerdote Antonio Scialoja – Ho sentito dire dal nostro buon amico e patriota Marcello Eusebio Scotti che a Napoli due capi lazzari, un certo Tommaso Avella, detto “Pagliuchella” e Michele Marino, conosciuto come “Michele il pazzo”, stanno facendo proselitismo tra le masse. Troveremo anche noi il nostro capo lazzaro. Datemi qualche giorno. - Va bene, ma non dobbiamo indugiare troppo, dobbiamo fortificarci con solerzia. Ferdinando IV è scappato a Palermo, ma, conoscendo la sua brama di potere, abbiamo motivo di credere che non tanto facilmente rinuncerà al suo regno. Sicuramente starà organizzando forze per tornare e noi potremmo essere tra i primi ad essere esposti ai suoi attacchi. Pertanto nemmeno per un istante dobbiamo abbassare la guardia. Dopo i festeggiamenti sull’isola era calato un silenzio sinistro, inquietante; le stradine erano semideserte, rari viandanti andavano curvi ed imbacuccati contro gelide raffiche di vento forti come lame taglienti, la gente si era asserragliata nelle case preservandosi oltre che dal freddo, dal timore di incrociare i patrioti e finire reclutati. La maggior parte avvertiva in quella tanto decantata libertà qualcosa di osceno, devastante. Inconsapevoli del loro essere servi della monarchia del Borbone, avevano imparato ad amare il carceriere, ed ora che la porta della prigione era stata spalancata sentivano un profondo terrore a mettere il naso fuori. Il porto di Marina Grande, San Cattolico, dialettalmente chiamato Sent’ Co’, si presentava come un colorato biglietto da visita per chi giungeva dal mare: le case, nei tipici colori pastello, si aprivano a ventaglio sul costone settentrionale e il palazzo merlato si stagliava imponente. C’era un brulichio convulso tra la poca gente del porto: alcuni patrioti tentavano di reclutare uomini per la difesa, spiegando tra evidenti difficoltà il comune intento dei repubblicani, qualche pescatore noncurante si allontanava affaccendato, altri tiravano a terra le barche incalzati dal mare in tempesta, qualcun altro andava a bere nelle vicine locande, pochissimi si trattenevano ad ascoltare. Giacinto Calise era fra quei pochi e più degli altri aveva compreso il valore della libertà. - Io sto con i patrioti, sono brava gente, stanno combattendo per tutti noi!! Dobbiamo aiutarli a difendere la nostra isola. Quest’isola è nostra adesso, la Repubblica appartiene al popolo non al re, e il popolo siamo noi e siamo tutti uguali! - Si, tutti uguali… ma cosa dici? Ma non vedi che quelli sono sempre nobili e noi saremo sempre poveri marinai? Sono tutte fesserie Giacì, pensa a lavorare, tanto il re prima o poi tornerà e se non la smetti finirai anche tu come loro…. appeso alle forche! - Ma almeno non morirò da schiavo. Sarò felice di aver dato la vita per la libertà! - E ai tuoi figli non ci pensi? Moriranno di fame peggio di adesso! - Almeno mi ricorderanno come un eroe morto per la libertà e non un servo del re! - Libertà…libertà…. beviti un buon bicchiere di vino e vedrai che libertà! - Ma allora non volete proprio capire? Ora siamo un popolo libero, siamo tutti uguali! - Giacì, e basta! Noi siamo solo povera gente di mare, siamo nati per combattere contro le tempeste e dal nostro lavoro riceviamo il nostro pane, non dalla libertà. Se la tenessero loro! Desolato Giacinto scrollò il capo. Non ebbe nemmeno il tempo di trovare parole nuove e più convincenti che si ritrovò a parlare da solo. Intanto per l’affascinante Commissario Alberini era giunto quel pomeriggio tanto atteso, ma quando fu nella piazza di Santa Maria delle Grazie, quella fantomatica donna non era ancora arrivata. Nell’attesa l’ansia lievitava l’ansia attimo per attimo. - Aspetterò ancora pochi minuti, poi andrò a cercarla giù a Sent’ Co’. – architettava impaziente, andando su e giù per la piazza. - Non posso averla solo sognata! Forse avrò bevuto un po’ troppo l’altra notte. Ma no, cosa mi salta in mente, che stupidaggine! Aurora non può essere stata solo frutto della mia fantasia! Mise a tacere tutti i pensieri in un sol colpo quando la vide giungere da lontano: aveva ancora degli abiti stravaganti, inusuali e troppo maschili per una donna, dei pantaloni lunghi scuri ed una marsina azzurra molto sobria chiusa sul davanti, ma agli occhi di Bernardo apparve incantevole con quel volto pallido, segnato da un tempo indefinito. Si muoveva leggera, inosservata, come se nessuno ne avvertisse la presenza. - Perdonate il mio ritardo. - Iniziavo ad angosciarmi, come state? - Bene e voi? Vi vedo teso. - Temevo di avervi solo sognata l’altra notte! - Temete i vostri sogni, allora. - No, temo i risvegli… - Ed allora, state tranquillo, non è ancora giunta l’alba. – fece lei con un pizzico di ironia. - Vi è gradito passeggiare un po’? – sorrise lui sornione e le porse il braccio con cavalleria. Tra una parola e l’altra, discesero una stradina tortuosa fin giù al porto di Sent’ Co’, qualche isolano nell’incrociarli riconobbe il lui il Commissario della Repubblica e timoroso abbassò lo sguardo. Indiscreti farfuglii si libravano da capannelli agli angoli di viuzze serpentine, ripide, intrecciate le une alle altre in un fitto labirinto. Non una sola occhiata compiacente, un cenno di saluto. - Ci considerano degli invasori, ma si ricrederanno presto, il tempo di assaporare in pieno l’aria della libertà. Vedrete, Aurora, io sono fiducioso e voglio credere che questa gente cambierà radicalmente. Hanno solo bisogno di più tempo. Purtroppo l’analfabetismo ci rende le cose più difficili. A Napoli la marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel sta divulgando le nuove idee sul Monitore, il giornale del nostro Governo, e sta cercando in tutti i modi di persuadere la gente ad imparare a leggere e scrivere. Conoscete la marchesa Eleonora? - Si, la conosco. - E chi altri conoscete del nostro Governo? - Un po’ tutti: il conte di Ruvo, don Gennaro Serra, l’avvocato Pagano, l’avvocato Pigliacelli. - Conoscete il conte di Ruvo, don Ettore Carafa? Questo mi meraviglia molto. E’ una persona dal carattere molto particolare, un nobile misterioso e tutto dedito alla massoneria. E’ stato per quattro lunghi anni rinchiuso nelle carceri di Sant’Elmo con l’accusa di cospirazione e da poco è riuscito ad evadere e ad organizzare la sua legione. Come fate a conoscerlo? Non pensavo coltivasse delle amicizie femminili! - Ettore è un uomo valoroso che ha dato e darà tutta la sua vita per la Repubblica. E’ vero, ha una personalità esuberante, è un po’ scontroso e spesso sopra le righe, ma conoscendolo bene posso garantirvi che è una bellissima persona, pur se la sua impresa rischierà di passare alla storia controversa ed adombrata. - Lo conoscete molto bene da quanto dite, ne parlate con trasporto. – fece lui un po’ seccato mentre una fitta di gelosia gli oscurava il viso. - Io conosco tanti patrioti e per tutti voi spenderò sempre parole di ammirazione. - Lo farete anche per me allora? - Per voi farò anche di più! - E’ una promessa? - Potete contarci! - Ne sono molto lusingato, ma a cosa devo questo privilegio? - E’ la mia missione….Un giorno capirete…. - Siete qui per una missione? Non sarete mica una spia borbonica? - Non dite sciocchezze! Il mio intento è quello di celebrare la memoria dei valorosi patrioti e lo farò anche per voi. Ma adesso è presto, un giorno capirete. - Temo di non seguirvi, ma comprenderò…. un giorno. Ed è ancora lontano questo giorno? - Qualcuno bruscamente lo interruppe chiamandolo alle spalle. - Commissario, Commissario Alberini? Siete voi vero il Commissario Alberini? - Si, sono io. - Commissario io sono Cesare Albano di Spaccone e faccio il contadino. Don Antonio Scialoja mi ha detto che state reclutando esponenti del popolo. Volevo dirvi che io sono a vostra disposizione. Non mi importa quello che stanno dicendo tutti, che quando tornerà Ferdinando ci appenderà ai capestri. Io piuttosto che spaccarmi la schiena nei campi per lui voglio farlo per me e per la Repubblica. Voglio essere un uomo libero e sono pronto a morire per la libertà! - Sarete di grande esempio, cittadino Cesare. Venite da me domattina e vi nomino rappresentante del popolo di Procida. - Grazie Commissario, ma se nominate me dovete nominare anche Giacinto Calise, il marinaio che sta cercando di spiegare a tutti gli altri che non siamo più schiavi di quel re infame! - Portate anche lui, la Repubblica sarà fiera di avere dei figli così valorosi! - Voi sarete una rinascita per tutti noi! Viva la Repubblica! Viva la libertà! - Salute e Rispetto, cittadino Cesare. A domani! Aurora era rimasta ad ascoltare immobile ed i suoi occhi palesavano una profonda commozione. - Speriamo di avere il sostegno di tutti. Per ora siamo quattro anime in tutta l’isola. Lei annuì, ingoiando un attimo di tristezza, tirò un lungo respiro e continuò a passeggiare al suo braccio. Lui riprese. - Conto molto sull’aiuto del popolo, ma soprattutto dei sacerdoti. Chi più di loro è capace di persuadere questa gente? Devono comprendere che essere laici non significa essere senza Dio, senza una fede. Noi non manipoleremo mai le loro menti usando la religione. La libertà prima di tutto, e libertà significa anche essere liberi di avere un propria fede. - Bisogna aiutare la gente a capire, Bernardo, a conoscere, a ragionare in modo diverso, a liberarsi dai preconcetti, ma è un lavoro che richiederà tempi lunghissimi…. - Beh, almeno iniziamo a farlo. Se mai si inizia mai si finisce. Un giorno questo popolo comprenderà in modo chiaro ogni cosa. Così come io comprenderò cosa mi stavate dicendo prima che giungesse il buon Cesare. Allora? Volete essere così da gentile da spiegarmi perché mai sono un privilegiato per voi? Mi lusinga essere entrato nelle vostre grazie, ma non vorrei illudermi troppo. - C’è tempo Commissario, c’è ancora tempo! - Insomma, volete tenermi sulle spine. Soave arguzia femminile! Non basta la trepidazione che stiamo vivendo per la nostra causa, ora la state infondendo anche nel mio cuore! - Ci sono cose che devono compiersi e poi possono essere comprese. Perché volete correre il tempo? - Temo di non capire cosa intendete dirmi…..diventate sempre più enigmatica. - E voi sempre più curioso! Si è fatto tardi. Dovete tornare al castello, avete dei doveri e non potete tralasciarli. - Ma come, mi abbandonate così? - Non vi sto abbandonando. Ci rivedremo presto! - Non salutatemi con questa incertezza, ve ne prego. Quando vi rivedrò? - Presto, nei prossimi giorni. Ve lo prometto! - Dove? - Spesso di sera mi trattengo nella piazza di Santa Maria delle Grazie. Amo molto quell’angolo di paradiso dove avete piantato l’albero della libertà. Mi aiuta a pensare. - A pensare cosa? - Al passato, al presente, al tempo che fugge, alle memorie che lascia. - Vi aspetterò ogni giorno e vi penserò. - Vi penserò anch’io. Ma ora andate, la Repubblica ha bisogno di voi.
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