Antonio Genovesi: il riformatore

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Categoria: Storia XVIII sec.
Creato Sabato, 09 Gennaio 2016 22:59
Ultima modifica il Lunedì, 25 Gennaio 2016 17:55
Pubblicato Sabato, 09 Gennaio 2016 22:59
Scritto da Giovanni Cardone
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Antonio GenovesiLe riflessioni  Antonio Genovesi,  maestro riconosciuto della Scuola di economia della seconda metà del Settecento, furono orientate ad  affrontare  e  superare  la  piaga  dell'arretratezza.

Per  favorire  il  benessere  e  l'aumento  dei  consumi, secondo il Genovesi, era necessario  promuovere  in  ogni  modo  la  cultura  e  la  civiltà, perché tutti i  progressi andavano  di  pari  passo  con  l'autonomia  della  ragione  e  con  l'affermazione  della  libertà.

Bisognava diffondere la cultura anche e soprattutto nei ceti più bassi affinché potesse realizzarsi   l'ordine  e  l'economia  dapprima nelle  famiglie, e poi nella civiltà  in  generale. A tal scopo esortava  gli  intellettuali  ad  approfondire  "la  cultura  delle  cose", evitando  di  perdersi  in  vane  speculazioni  metafisiche, che  non  potevano  risolvere  i  problemi  concreti  della  società.

Genovesi  attribuiva  una  notevole  rilevanza  al  ruolo  svolto  dall'educazione per la  formazione  degli  uomini proprio. A tal proposito riteneva  fondamentale  lo  sviluppo  delle  scienze  e  delle  arti, in  aperta  polemica  con  Rousseau, per  il  quale  il  cosiddetto  "progresso"  costituiva  la  fonte  di  tutti  i  mali umani.

Genovesi  esaltava  anche l'importanza  del  lavoro  per  il  bene  dei  singoli  e  della  società, denunciando  la  presenza  di  un  numero  eccessivo  di  persone  che  vivevano  esclusivamente  di  rendita..

La premessa alla ristampa del saggio di Ubaldo Montelatici, Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l’agricoltura,  segnò, nel 1753, il passaggio di Genovesi dagli studi filosofici agli studi di economia e di “Filosofia pratica”.

Tramite l’amicizia con il toscano Bartolomeo Intieri, amministratore dei beni dei Corsini e del Medici, il Genovesi ottenne  la cattedra di economia.

Le sue lezioni riscossero un grande successo, attirando  un gran numero di giovani, per i temi trattati che non erano usuali. La fusione tra temi filosofici e teologici e temi economici e di vita civile si delineava nell’opera  Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze. Secondo il Genovesi “I primi filosofi furono in un tempo istesso i legislatori, i padri, i catechisti, i sacerdoti delle nazioni. La loro filosofia era tutta cose, e la vita era vita di cittadini persuasi che come partecipavano a’ comodi della società, così dovevano aver parte alle cure ed alle fatiche, o per lo ben pubblico o per lo ben domestico”.

Ponendosi a mezza strada fra le posizioni di Broggia e Doria e quelle fisiocratiche del Verri, il Genovesi era vicino alle idee mercantiliste di Vincent de Gournay.

Nel suo Discorso, insisteva sulla necessità di creare accademie agrarie per studiare il suolo, di educare i giovani a iniziare dall’agricoltura, di diffondere la nuova mentalità superando tutti i possibili ostacoli.

La nuova strada intrapresa da Genovesi spostava l’interesse dai temi di una cultura metafisico-teologica a quelli pratici rivolti a studiare il mondo per appagare i bisogni delle popolazioni utilizzando gli apporti della rivoluzione scientifica operata da Bacone e da Galilei e tutte le invenzioni e tecniche che servivano a migliorare la condizione umana.

La diffusione della nuova cultura e dell’istruzione, oltre ad ammodernare le attività produttive, avrebbe dovuto contribuire ad elevare lo stato sociale e civile del popolo. Solo la conoscenza dei bisogni degli individui e della società poteva suggerire i mezzi e i rimedi per migliorare gli stessi.

Per attuare un piano di rinnovamento occorreva sviluppare la coscienza diretta delle necessità e delle risorse particolari per poter attuare la rigenerazione e l’affratellamento degli uomini. Il reame, “semenzaio di nobili e grandi ingegni”, poteva migliorare e diventare il faro di una risorgente civiltà italiana.

“La ragione non è utile se non quanto diventa utile e pratica”, affermava Genovesi nel Discorso, sostenendolo di averlo scritto “più con zelo dei veri vantaggi della Patria che con sapere e arte”. Il pensiero di Genovesi relativamente ai diritti dell’uomo nella società, appariva ispirato a un ideale di giustizia, ad una ‘egualità naturale’ da cui scaturiva il rispetto dei diritti del singolo. Ogni persona aveva ricevuto  dalla natura un ‘diritto di esistere’, e per legge di natura ‘niuno in niuna maniera attenti ai diritti primitivi di niuno’.

Nelle Lezioni di commercio o sia di economia civile, tenute nel 1757-1758 il commercio, nell’analisi del Genovesi rappresentava un fattore di benessere e di incivilimento, un’attività dell’uomo volta non solo al soddisfacimento dei suoi bisogni, ma allo sviluppo dei rapporti tra gli individui e i popoli.

Dalle lezioni del Genovesi partirono tutte le idee di riforma e tutte le opere più significative del Settecento, da quelle del molisano Francesco Longano a quelle di Giuseppe Maria Galanti, da quelle di Domenico Grimaldi a quelle di Gaetano Filangieri. La ragione, oltre che a nutrire e perfezionare le scienze e le arti si rendeva “operatrice” per diffondersi nel costume e nelle arti in modo da costituire una “sovrana regola”.

Dopo la pubblicazione dell’Esprit des lois nel 1748, iniziò una grande discussione, che assunse il carattere di critica tradotta dal Genovesi in una serie di postille apposte sul testo tra il 1760 ed il 1766.

Il confronto con Montesquieu, per Genovesi, si poneva nel discorso attinente al lusso che richiamava le due opposte valutazioni contenute nella Favola delle Api di Mandeville e nell’Utopia di Morelly, ma era anche posto su un piano più moderato in quanto il lusso veniva visto come stimolo per uno sviluppo economico efficace.

Ma è sul piano delle considerazioni dell’economia che l’opera del Genovesi acquistava tutto il suo vigore, perché non solo criticava l’ordine esistente, ma offriva uno stimolo per tutte le classi a modificare le condizioni economiche del Regno di Napoli.

In tutti i suoi scritti  Genovesi si preoccupava di fornire delle regole per dare la felicità agli uomini e, nel contempo, per dimostrare che cosa occorresse perché una nazione fosse felice e potente. Il testo, col quale sul piano dell’etica Genovesi riprese  le discussioni con Montesquieu, Rousseau, Muratori, Hume, è Della diceosina, o sia della filosofia del giusto e dell’onesto per gli giovanetti, pubblicata ampliata con un manoscritto dell’autore nel 1777.

Il lavoro ebbe una grande influenza, divenendo un testo base sui concetti del giusto e dell’onesto, con l’invito “ai giovanetti filosofi” ad avere una visione realistica di tutta la società. Genovesi affermava che il primo dovere del filosofo “si è di coltivar sua ragione non colle inutili ricerche, e colle contese di setta, ma colla scienza delle cose divine e umane”.

Per quanto concerne la nascita delle “repubbliche, regni ed imperi, Genovesi precisava che esse “non han potuto nascere, né si conservano, che per un patto sociale, espresso o tacito, tra molte famiglie, pel quali si stringono fra loro e col capo”. L’accordo si basava sulla valutazione di un vantaggio comune. Per giovare oltre che a se stesso alla società di cui faceva parte, occorreva che l’individuo sentisse il dovere morale di esercitare un’attività. Genovesi non condivideva l’idea che dalla proprietà discendessero i mali e che lo stato di natura rappresentasse un vantaggio per i cittadini.

Il diritto di cittadinanza si perdeva se la Repubblica veniva interamente rovesciata e distrutta. E precisava in seguito che “se un paese da Repubblica o regno diveniva vero dispotismo di botto tutti cessavano di essere cittadini, non già per veruna legge di giustizia, o per giusto diritto di guerra, ma per violenza, perché nel dispotismo ogni persona è schiava”.

Nel Ragionamento sul Commercio in universale premesso alla Storia del Commercio della Gran Brettagna di John Cary, Genovesi chiariva che il primo fine dell’economia politica era l’aumento della popolazione per cui era necessario da una parte eliminare “le cagioni spopolatrici”, siano esse fisiche che morali, dall’altra favorire le “cagioni aumentatrici”, consistenti nel promuovere lo sviluppo a vasto raggio. In tal modo, l’aumento della popolazione assumeva  un significato non tanto di natura demografica, quanto di natura sociale ed economica, ma anche politica nell’accrescere la gloria, la sicurezza e il rispetto degli Stati vicini.

L’uomo politico doveva conoscere anche le cause spopolatrici della popolazione per poterle rimuovere o limitarle, estirpando pestilenze, ma anche correggendo “ gli eccessi fiscali”, eseguendo lavori di bonifica e favorendo le varie arti.

Genovesi ritieneva importante che la nazione non dovesse dipendere dalle altre perché ad una “minore dipendenza”, corrispondeva una maggiore ricchezza e una maggiore forza.

Ogni classe doveva avere una sua funzione. “Il diritto di vivere è un diritto primitivo, e la terra un primitivo patrimonio di tutti; al quale diritto, e al quale patrimonio non si rinuncia per il patto delle genti se non quando si può vivere in altra maniera”.