Procida 1799. Cap. I "Un destino segnato"
Maggio 1799. Sulla spiaggia di Miliscola il mare aveva restituito il cadavere di un uomo infagottato in una tela sottile intrisa di sangue; aveva i polsi legati ed una fune avvolta intorno alle gambe ed i piedi. Nonostante fosse già in decomposizione parve di riconoscere in lui il notaio Bernardo Alberini, Commissario dell’isola di Procida, nominato dal Governo Provvisorio della Repubblica Napoletana del 1799. Dopo di lui furono rinvenuti in mare altri cinquantadue cadaveri non identificati. Era l’inizio della fine. Il trentuno di marzo la flotta anglo - borbonica era salpata da Palermo, puntando sulle isole del golfo allo scopo di stroncare nel sangue il sogno repubblicano. In pochi giorni la monarchia di Ferdinando IV veniva brutalmente restaura. I patrioti, quelli che non erano caduti durante il feroce attacco, furono fatti prigionieri, incatenati e torturati sulle navi inglesi e nel castello di Ischia, poi condannati al patibolo tra il primo ed il quindici giugno. A Napoli la notizia era giunta assordante; l’esercito francese che presidiava la città a sostegno dei patrioti, era stato richiamato a combattere per la Repubblica Cisalpina e stava per ritirarsi, facendo bottino delle ultime miserie che si erano salvate dai saccheggi dei lazzari perpetrati durante i giorni dell’anarchia. - Tutti i nostri patrioti, accesi di sdegno, hanno giurato vendetta sul cadavere del nostro cittadino barbaramente assassinato! Scriveva la marchesa Eleonora de Fonseca Pimentel sul Monitore Napoletano, cercando di iniettare dosi di speranza tra i cittadini, nonostante la desolazione scolpita sui volti di Carlo Lauberg e Vincenzo Cuoco che le stavano di fronte, rendesse arduo il suo intento. La verità è che popolo rivoleva il suo re, quel despota che li aveva lasciati pascere felici nell’ignoranza e da cui, elemosinando, si erano sentiti protetti da ogni sventura. La Libertà tanto invocata dai patrioti era troppo complicata da comprendere, gestire, e quando un popolo non è preparato ad affrontare una rivoluzione ed il grande cambiamento che ne consegue ne decreta irrimediabilmente la fine. - Che ne sarà dei prigionieri, che ne sarà di noi? Abbiamo investito anima, corpo e sangue in questa rivoluzione e siamo riusciti ad innalzare i nostri alberi della libertà. Abbiamo sperato che il popolo comprendesse la necessità di cambiare, abbiamo sperato di cambiarlo, di acculturarlo e, invece…. Stanno esultando alla notizia che le isole sono già state riconquistate dal loro re! - Il popolo non ci ha mai accettati, mia cara marchesa, in Francia le cose sono andate diversamente perché la rivoluzione è partita dal basso, ma qui a Napoli ci odiano, temono la nostra cultura, temono le responsabilità che una Repubblica comporta, rivogliono il loro sovrano, mentecatto, ignorante e sanguinario lo sentono uno di loro. Esulteranno sulle nostre tombe e perseguiteranno chi, come noi, nei secoli a venire, cercherà di tirarli fuori dal loro stato melmoso! - Ma allora, Carlo, a cosa sono servite le nostre parole, il nostro esempio…. A niente? - A niente, donna Eleonora, a niente! Lo vedete questo giornale che abbiamo fondato con tanta passione? Finirà tra le fiamme, e maledetto sarà per loro chiunque riporterà alla storia il ricordo della nostra impresa! - Carlo, ma perché ora parlate così? Avete dimenticato con quanto entusiasmo abbiamo preparato la nostra Rivoluzione? Avete dimenticato quanti nostri cittadini illustri hanno investito tutti i loro beni per la causa? Avete dimenticato la nostra Società Patriottica ed i suoi impegni ed i sacrifici di tutti? - No, non ho dimenticato, e sono pronto a ripetere ogni cosa, a rifondare altre mille logge massoniche pur di difendere la libertà che abbiamo conquistato. Ma non basterebbe, donna Eleonora, non basterebbe, perché per quanto abbiamo cercato di essere in tanti non siamo stati mai abbastanza. Napoli sta nelle mani dei lazzari e dei parassiti, e lo sarà sempre e dopo di noi ancora di più! - Ci vorranno almeno duecento anni per far cambiare le cose! - Duecento anni? Siete ottimista, mio caro don Vincenzo…. Siete molto ottimista..! - Finiremo tutti sulle forche? E va bene. Ma io combatterò fino alla fine! - Donna Eleonora, voi avete già dato un esempio sublime. Voi avete usato la vostra penna alla stregua di una spada, urlando a tutti che la libertà è il bene più prezioso per un essere umano e con la libertà la cultura, l’amore per alti ideali. Lo avete dimostrato a noi tutti, ed il vostro esempio sarà osannato da tutti coloro che in futuro vorranno riscattarsi dalla loro condizione di inferiorità. Ma ora non è quel tempo… Ora dobbiamo solo pensare a metterci in salvo! - Volete scappare, Carlo? Volete andare via? Questo è da codardi!!! - Potrebbe sembrare da codardi, è vero, ma non abbiamo più speranze. I nostri francesi liberatori stanno per ripartire e rimarremo soli. Finiremo massacrati come quei poveri patrioti procidani che si sono difesi da eroi, ma alla fine sono stati tutti trucidati dal Borbone! Non abbiamo un esercito, munizioni sufficienti. Siamo soli Eleonora, soli! Ed io piuttosto che farmi afforcare da quel dannato tiranno preferisco finire i miei giorni da esule! - Sono d’accordo con voi, Carlo. Oramai non ci resta che partire. Sarò anch’io un codardo, donna Eleonora, forse un giorno impazzirò per questo mio gesto, ma vado via anch’io coi francesi, e vi consiglio di farlo anche voi, ed al più presto. Per tutto l’dio che questo popolaccio infame ha nutrito questi mesi, scempieranno anche i nostri cadaveri e la nostra memoria! - No, voi andate pure se lo ritenete giusto, io resto. Per me scappare adesso significa tradire i nostri fratelli che stanno dando la vita giorno per giorno sui campi di battaglia. Leggete… ci sono focolai di rivolta dappertutto e, seppur a fatica, stiamo riuscendo a democratizzare tante province. Io darò la mia anima per la Repubblica, come loro, fino alla fine! - Perdonateci Eleonora. Il vostro coraggio ha superato quello di un esercito di mille uomini e ci fa sentire umiliati perché l’istinto di sopravvivenza in noi ha preso il sopravvento. Non possiamo che augurarvi di essere per tutti il miglior esempio di virtù. Perdonateci! Si congedarono a testa bassa, richiusero l’uscio alle spalle e nella stanza piombò il silenzio. Ora poteva piangere Eleonora, nessuno le avrebbe chiesto il perché delle sue lacrime: non erano per se stessa, la vita le aveva già inflitto tanta sofferenza e da tanto aspettava la morte. Pianse nel presagire la tragedia umana, i fiumi di sangue che da lì a poco sarebbero stati versati. Rivide i volti vividi di entusiasmo dei suoi compagni patrioti, quell’ardore che li aveva resi forti e capaci di sopportare tutto, e tutto avrebbero dovuto ancora sopportare: lotte, catene, torture ed infamie, fino al patibolo. Il tragico epilogo era vicino. Quante gioie e quanti dolori era costata quella libertà! Due rintocchi alla porta. Asciugò in fretta le lacrime e si schiarì la voce. - Donna Eleonora, scusatemi. – si introdusse timida una giovane donna, dal personale distinto e gradevole: era Luisa Sanfelice. - Venite pure. - Perdonatemi, ma ho appena saputo del notaio Alberini, e stento a crederci! E’ terribile, un ragazzo di appena trent’anni anni così pieno di vita, è terribile! - Si, è terribile, ma voglio ancora sperare che non si tratti di lui. Quel cadavere è stato rinvenuto in avanzato stato di decomposizione, a qualcuno è parso di riconoscere Bernardo, ma non è cosa certa. Pensare che era stato qui da me qualche settimana prima ed aveva anche parlato con l’Ammiraglio Caracciolo con la speranza di ricevere aiuti per la difesa dell’isola! Il Comandante del castello di Ischia, Buonocore, lo aveva avvertito del ritorno del Borbone e… povero figlio! Ho il suo volto impresso nella mente… un angelo triste e pallido, ma pronto ad affrontare eroicamente ogni lotta pur di salvare la Patria! - Anch’io lo ricordo… la sera della proclamazione della Repubblica a Procida… un ragazzo così gentile, un’anima rara! Chi mai avrebbe mai potuto prevedere una simile tragedia? Eravamo consapevoli delle difficoltà, ma avevamo tante speranze dalla nostra parte. Perché l’armata francese ci sta abbandonando proprio adesso che i nemici stanno per tornare? Perché non ci aiutano a sostenere la nostra Repubblica, invece che lasciarci da soli tra le mani del carnefice. Loro lo sanno che non abbiamo uomini e mezzi sufficienti per difenderci, ed anche quel maledetto Borbone lo sa per questo è sicuro di vincere. Mio Dio, Eleonora…. cosa ne sarà di noi? Eravamo così felici, così veri, ed ora la falsità di sta annidando dappertutto per distruggerci. Cosa ne sarà di noi, dei tanti giovani che sono andati a combattere nelle province armati d’amor di Patria? Bernardo Alberini era luminoso di gioia nel piantare l’albero della libertà a Procida. Ricordate Eleonora? Ricordate la notte che fu proclamata la Repubblica nelle isole? Tutti lo eravamo, tutti! Ci sentivamo vincitori, invulnerabili. Maledetto Borbone, maledetto nei secoli! Ci piomberà addosso con tutto il suo odio! Quale sofferenza ci aspetta? - Qualsiasi sofferenza non potrai mai essere più grande di quella che sto provando adesso, Luisa. Stanno arrivando notizie da tutti i nostri fronti, dalla Calabria, l’Abruzzo, le Puglie. Ferdinando ha trovato ottimi alleati negli inglesi e nel cardinale Ruffo. Hanno costituito eserciti di mercenari pronti a tutto pur di riportarlo a Napoli! - Ma ho sentito dire che il cardinale Ruffo ha promesso le capitolazioni. Forse possiamo capitolare e salvarci la vita! - Capitolare? Non credo a tanta nobiltà d’animo. Sono false promesse per obbligarci ad arrenderci. Ferdinando non farà capitolare nessuno e ci condannerà tutti i morte, così come ora sta insanguinando Procida. E’ stato costituito un tribunale di morte ed i nostri poveri fratelli non hanno avuto alcuna possibilità di difendersi. Sono già stati condannati tutti al patibolo, e così sarà per ognuno di noi. - Ma allora è un destino già segnato! Desolata, la marchesa Eleonora non rispose.
Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo
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